Una Chiesa capace di movimento

“Vuoi guarire?”. Mi ha sempre colpito e lasciato perplesso questa domanda rivolta da Gesù all’uomo paralizzato che da trentotto anni stava al bordo della piscina di Siloe, aspettando che un angelo agitasse l’acqua miracolosa, cioè che qualcuno facesse cambiare qualche cosa per lui (cfr Gv 5,1-9). È vero, l’episodio non appartiene al Vangelo di Luca che stiamo meditando quest’anno, ma a quello di Giovanni; la domanda di Gesù ad un infermo “vuoi guarire”, però, ci fa capire che non è così scontato il desiderio di cambiare, anche in chi bene non sta. Evidentemente ci si può anche affezionare al proprio lettuccio da infermo, alle proprie lamentele su di sé, ci si può sclerotizzare nell’attesa, vera o presunta, che qualcuno venga a smuovere le acque e a portare cambiamento. Salvo poi che quando questi arriva, come accade nell’episodio evangelico, davanti alla domanda esplicita “vuoi guarire”, non si abbia la forza o la voglia di rispondere “sì”, come il Vangelo stranamente testimonia, ma si ribatta con la solita sequela di lamentele: “io non sono capace, gli altri sono più bravi e veloci di me”.Questa l’immagine evangelica da cui vorremmo apprendere l’atteggiamento giusto per affrontare il lavoro, faticoso, ma necessario, nel quale sono immersi i nostri Consigli Pastorali Parrocchiali sull’iniziazione cristiana e i nostri presbiteri sulle unità pastorali. Una comunità diocesana in stato di laboratorio, per così dire, a molti livelli. Diffondere nel tessuto ecclesiale la buona impostazione ecclesiale nel generare i nuovi cristiani è lo scopo del percorso di formazione annuale con i quattro appuntamenti programmati a S. Nicolò di Monfalcone.Ma la parte più importante è quella che deve seguire: in parrocchia, con l’aiuto di alcune schede, a partire dal Consiglio Pastorale fino ai catechisti, conoscere come si fanno i cristiani nella Chiesa, confrontare e riflettere sulla prassi delle proprie comunità, per comprendere come “camminare”, lettuccio sottobraccio.Esercitare un’azione di discernimento pastorale sul proprio territorio, invece, è la richiesta avanzata dall’Arcivescovo Carlo ai presbiteri.Con i criteri offertici l’anno scorso nei quattro incontri di formazione con i consigli pastorali, raccolti in una bozza di lavoro, i presbiteri cercheranno di rileggere la vita delle parrocchie e delle comunità cristiane, seguiti anche qui quanto prima dai Consigli Pastorali parrocchiali. Al primo posto la riflessione sulla missionarietà, evidentemente, perché è questo criterio che deve guidare anche l’eventuale riconfigurazione delle nostre comunità sul territorio.Il lavoro sulle unità pastorali corrisponde ad una essenziale azione di ascolto delle comunità cristiane che impedirà l’accadere di “decisioni calate dall’alto”, evento paventato come inopportuno da tanti di noi. Non fosse altro che per questo motivo, sarà importante il supplemento di incontri necessari che, se accolti cordialmente e seguendo il metodo di lavoro proposto dal Centro Pastorale – incontri magari prolungati inter poculas -, arricchiranno la percezione condivisa della vita delle nostre parrocchie e comunità e soprattutto offriranno al Vescovo materiale indispensabile al suo discernimento.Evitare il compito, oppure sostituirlo con altre autorevolissime priorità o, peggio, con acute “profezie di sventura” sull’avvenire della Chiesa goriziana – che potrebbero richiamare l’infermo del Vangelo (“noi non siamo capaci, gli altri sono più bravi di noi”) – potrebbe non essere la risposta migliore. Perché alla fine la domanda ce la pone il Signore, che ci chiede se vogliamo davvero camminare.

(*) Vicario episcopale per l’evangelizzazione ed i sacramenti