Un sogno da portare a meravigliosa realtà

Entra nel vivo la campagna elettorale in vista delle elezioni che il prossimo 12 e 26 giugno interesseranno anche in diocesi numerosi comuni fra cui Gorizia.

Quello che è stato il capoluogo provinciale dell’Isontino in queste settimane ancora più drammaticamente si interroga su un domani che è già oggi: l’appuntamento che vedrà la città affiancare Nova Gorica nella proposta quale Capitale europea della cultura del 2025 può essere un’opportunità preziosa di rilancio oppure rappresentare l’ennesima (ma questa volta definitiva) occasione perduta per costruire un futuro capace di andare oltre un’inutile nostalgia di un passato irripetibile in quanto appartenente ad un’altra età storica e come tale sin troppo mitizzato.

Ai candidati sindaci che nei prossimi 40 giorni si daranno da fare per convincere gli elettori di essere i più idonei ad insediarsi nello storico palazzo Attems – Santa Croce in piazza Municipio può essere forse utile ricordare quanto accade in città esattamente 30 anni fa.

Il pomeriggio di sabato 2 maggio 1992 giunse in piazza Vittoria san Giovanni Paolo II e prima di celebrare la messa sul sagrato della chiesa di Sant’Ignazio rivolse il suo saluto alla città. Il muro di Berlino era caduto da poco meno di due anni e mezzo e solo undici mesi prima la proclamazione dell’indipendenza di Slovenia e Croazia aveva segnato la fine di quella che era stata la Yugoslavia: per l’Isontino si apriva un nuovo tempo segnato da attese e speranze per concretizzare quel futuro per cui tanti si erano spesi quando ancora il filo spinato divideva l’Italia dalla vicina repubblica socialista.

Il papa “venuto da un Paese lontano” tratteggiò in poche frasi il compito cui la città era chiamata: “Gorizia, situata all’incrocio di correnti di pensiero, di attività e di molteplici iniziative, sembra rivestire una singolare missione, quella di essere la porta dell’Italia che pone in comunicazione il mondo latino con quello slavo; porta aperta sull’Est Europa e sull’Europa centrale”.

Spesso, in questi sei lustri, – rileggendo quel discorso – ci si è giustamente soffermati a commentare il termine “porta” ma c’è però un’altra parola che merita altrettanta se non maggiore attenzione: “singolare”.

Un’espressione che sottolinea un’unicità ed esprime uno stupore: l’unicità di una tradizione capace di stupire chi ad essa si avvicini magari per la prima volta e scopra, a poco a poco, come questa parte d’Europa “particolarmente provata da due guerre terribili” abbia “saputo mantenere ardente il desiderio di rinascere a una speranza fattiva” intendendo la diversità “come ricchezza e termine di confronto e di solidale cooperazione”.

“Gorizia – fu l’accorato appello del pontefice – tu conosci il valore della cooperazione e del dialogo, dei passi solidali per realizzare un vero e integrale progresso. Sappi trarre frutto dalla tua sperimentata saggezza”.

Ed il mandato lasciato ai goriziani dal Padre Santo non poteva che essere la logica conseguenza di questo ragionamento: “Recuperare lo spirito della vostra identità culturale: ecco la strada maestra che voi sentite di dover percorrere al fine di dar vita a un progetto di rinnovata solidarietà. A questa impresa tutti si sentano chiamati a collaborare: uomini politici e di cultura, organizzazioni sociali e strutture economiche, Comunità civile ed ecclesiale”.

“Rinnovata solidarietà”: parlando nell’aprile 2015 ai membri della fondazione “Giovanni Paolo II”, papa Francesco indicava proprio in “solidarietà” una delle parole-chiave del Magistero del suo predecessore, “una parola – sottolineava – che qualcuno ha forse pensato dovesse tramontare ma che in realtà conserva oggi tutta la sua forza profetica”. E cosa intendesse per solidarietà il papa polacco lo aveva ben esplicitato con vigore nel 1987 nell’Enciclica “Sollicitudo rei socialis” osservando che essa non consiste in un gesto isolato o in “un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone” ma in una virtù che esprime “la determinazione ferma e perseverante d’impegnarsi per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti”.

Trent’anni dopo potremmo chiederci se in questo tempo Gorizia abbia saputo davvero conservare e valorizzazione la propria identità culturale fondata sulla solidarietà ma rischieremmo di impantanarci in sterili polemiche.

Quello che davvero oggi importa è che la strada maestra indicata da Giovanni Paolo II venga percorsa con convinzione da chi verrà chiamato a guidare la città nella preparazione e nello svolgimento di Go! 2025. Solo così quell’appuntamento non si ridurrà ad un semplicistico cartellone di eventi fine a sé stessi ma potrà essere occasione di progresso integrale per i cives goritienses (di qua e al di là del confine) di questa e delle prossime generazioni ma anche per chi fra tre anni giungerà da turista in riva all’Isonzo. 

Ed a chi potrebbe obiettare che si tratta solo di utopie non mi resta che rispondere, sottovoce, con una frase cara ad un altro papa santo, Giovanni XXIII: “Abbiate ciascuno il vostro sogno da portare a meravigliosa realtà”.