Terremoto: un anno dopo

3.36. Quel boato, a squarciare il cuore della notte e gli animi di una fetta d’Italia consapevole ma impreparata alla prova più dura. L’orologio – quello della torre di Amatrice, il simbolo indimenticabile – ha le sue lancette impietrite, eppure i minuti, i giorni sono passati ed è trascorso ormai quasi un anno dal terribile sisma che ha cambiato per sempre il “volto” della geografia appenninica, rivoluzionando i placidi ritmi di innumerevoli borghi di Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo. Angoli di mondo abituati alla placida quotidianità, lembi di montagna sorti su un crinale morfologicamente pericoloso eppure così forti delle proprie tradizioni, dei legami e delle attività che proprio sulla terra hanno fondato il proprio esistere. L’entroterra marchigiano non ha ancora superato il trauma che quel 24 agosto 2016 ha provocato nelle viscere di una storia secolare, e reso ancora più tragico dalle scosse del 26 e 30 ottobre che, con un’intensità spaventosa, hanno minato, in certi tratti irrimediabilmente, il patrimonio artistico ed economico di una regione da sempre considerata oasi felice. Sì, perchè quello che da molti è stato definito il “terremoto bianco”, incapace di generare morti ma di procurare una distruzione senza precedenti, rimane tutt’oggi una ferita aperta: un gigantesco cratere di punti interrogativi, intrappolati in una burocrazia ganglosa e poco incoraggiante. Giornalisticamente, e lungi da ogni sterile polemica, la verità va raccontata per ciò che è, senza edulcorati filtri di cui le famiglie sfollate possono volentieri fare a meno. Superata infatti la fase emergenziale, il termine “ricostruzione” fatica a delinearsi con coraggio e risolutezza nei meandri delle tante – seppur lodevoli – iniziative solidali promosse in questi mesi. Mesi complessi, funestati dalla paura che gli inarrestabili movimenti tellurici suscita e resi ancora più difficili dal maltempo che, con le fitte nevicate di metà gennaio, ha letteralmente schiacciato la vita di tanti di quegli allevamenti, vero e proprio patrimonio dei marchigiani più coraggiosi. Le notizie, oggi, non smettono di rincorrersi e di oscillare tra il sogno della rinascita e il cupo pessimismo di finire nell’oblìo. Non passano inosservate le polemiche per la troppo lenta rimozione delle macerie dalle piazze, anima pulsante di Ussita, Camerino, Castelsantangelo sul Nera: comunità che stenteranno a tornare com’erano.Rimbalzano le statistiche, snocciolate proprio in questi giorni, a raccontare che, per effetto del terremoto, diminuisce il numero degli abitanti  desiderosi di andare in vacanza: nonostante lo svago dell’estate porta con sé la leggerezza necessaria, adesso sono altre le priorità su cui concentrare tempo e risorse. Già, perchè occorre decidere se ritornare nei luoghi natii abbracciati dalle amate montagne, oppure reinventarsi una nuova esistenza sulla costa. Occorre darsi da fare perchè i commercianti tornino a promuovere i prodotti dell’Appennino, vanto della gastronomia locale, e serve impegnarsi affinchè le chiese chiuse non rimangano una ferita aperta, accrescendo, anche spiritualmente, quello spopolamento incubo del turismo e non solo. Non è facile intravedere nella polvere segnali capaci di restituire alle popolazioni colpite lo slancio per ricominciare. Non è affar semplice, ma l’impegno, quotidiano, è pur sempre quello di scorgere germi di bene in grado di fiorire tra le macerie. Due esempi su tutti. Il 15 settembre riaprirà la scuola di Visso, miracolosamente rimasta illesa, e la struttura ospiterà anche gli alunni dei Comuni limitrofi. In queste settimane, invece, su iniziativa di Neri Marcorè, per amore della sua regione, si stanno tenendo i concerti che vedono come ospiti cantautori di calibro nazionale: tra le piane di Bolognola e il belvedere di Cingoli, è davvero un “RisorgiMarche”, come è stata battezzata la kermesse. Tra le note di musica e i banchi di scuola, chissà che allora questo anniversario di dolore non si colori anche di un tocco di speranza in più. Ne abbiamo bisogno.

* già direttrice del settimanale cattolico “Emmaus” – Macerata