Ripartire dal territorio nel tempo del Web 3.0

È ormai una lunga tradizione quella che vede la comunità diocesana impegnata a sostenere ed a diffondere il proprio settimanale Voce Isontina nella domenica di Cristo Re, ultima dell’Anno liturgico.Per informare bisogna conoscere ma per conoscere c’è bisogno di vicinanza, di prossimità.Ai discepoli che gli chiedevano dove abitasse, Gesù non rispose con l’indirizzo di una città o di una via ma invitandoli a “venire e a vedere”.I settimanali diocesani sono il mezzo che accompagna le comunità a scoprire “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”.Possono farlo in maniera particolare – oserei dire quasi privilegiata – per quel legame particolare col territorio che hanno sin dalla loro fondazione (risalente in alcuni casi alla fine del XIX secolo). Di nessuno dei quasi 200 periodici cartacei e digitali associati alla Fisc (la Federazione italiana dei settimanali cattolici) si può dire che – come Melchisedek – è “senza padre, senza madre, senza genealogia”. Ognuno di essi è strettamente legato al suo territorio.Certamente può apparire strano parlare ancora di legame col territorio in un’epoca come la nostra dove una delle caratteristiche fondanti del mondo digitale sembra essere proprio la sua incollocabilità fisica e temporale.Ma il territorio non è solo geografia: è – certamente nel nostro Paese ma ancora di più in una terra come l’Isontino – storia, cultura, tradizione, arte, lingua, ambiente…Per un settimanale cattolico, allora, il territorio non è solo ciò di cui si occupa ma coloro a cui si rivolge: le persone che lo abitano e che lo costituiscono, la generazione presente e quelle passate. Un rapporto personale apparentemente distante anni luce del mondo del Web 3.0 ma che scommette ancora sul valore della relazione interpersonale.Questa presenza sul territorio permette al settimanale di potersi definire “Giornale di informazione locale” dove “locale” non è aggettivo riduttivo o sinonimo di campanilismo e particolarismo ma un dato che acquista ancora più valore nella dimensione ecclesiale che gli è propria.Don Elio Bromuri, direttore-poeta per decenni della “Voce dell’Umbria”, amava ricordare che la Chiesa sta in terra come una pianta con radici ben salde, legate ai paesi ed alle città, ma è sempre in mare aperto per evangelizzare popoli nuovi e terre sconosciute.Come non scorgere in questa definizione un’immagine della vocazione cui i settimanali diocesani sono chiamati nel loro servizio alla Chiesa?Quella vocazione che ci impone di andare alla ricerca delle “buone notizie”, raccontandole per condividerle. Anche perchè, prima di diventare notizie, sono pagine di vita quotidiana e non vi è “nulla di più genuinamente umano che non trovi eco nel cuore dei discepoli di Cristo”.Papa Francesco ha più volte sottolineato l’importanza della “buona notizia”; non certo – lo ha ricordato recentemente il presidente dei vescovi italiani, cardinale Gualtiero Bassetti – “per addomesticare l’informazione ma perchè la ’buona notizia’ è sinonimo di speranza. E la speranza è la più umile delle virtù perchè rimane nascosta nelle pieghe della vita ma è simile al lievito che fa fermentare la pasta”.A tutti voi lettori il “grazie” più sincero per il sostegno che continuate a dare al nostro lavoro.