Profezia per Amatrice

La strada che attraversava il centro storico passa oggi fra due alti muri plastificati che – correndo per alcune centinaia di metri – nascondono alla vista cumuli di macerie: sono le ultime dolorose tracce di quella che è stata la quotidianità di uomini e donne, bambini ed anziani, di chi nel borgo risiedeva da generazioni e di chi in questa terra aveva trovato un lavoro provenendo da Paesi lontani o l’aveva scelta come luogo per le proprie vacanze.Qui ci si scontra con immagini che non sono quelle a cui i terremoti del passato ci hanno abituato, nel bene e nel male.A 24 mesi dal 6 maggio 1976, nel Friuli post-terremoto quello che colpiva erano i suoni: le voci dei muratori sulle impalcature, il rumore delle macchine nei cantieri… Seppur non mancassero i problemi, l’idea trasmessa era quella di un futuro nuovamente possibile che, giorno dopo giorno, stava delineandosi.Nello stesso arco di tempo, a farla da padrone nell’Aquila postterremoto  del 2009 era il silenzio. Nella zona rossa, decine di migliaia di tubi innocenti collegavano un edificio ad un altro, in una ragnatela che – anche visivamente – univa case, negozi, chiese del centro storico in un unico destino. Varcavi la soglia di un’abitazione e tutto ti rimandava a quello che era stato: a mancare era “solo” la gente.Ad Amatrice è diverso.L’aria che si respira è particolare: ferma e sospesa. Pare di essere di un limbo: una realtà di cui non si riesce a cogliere l’ieri, non si comprende l’oggi e non si immagina il domani. La visione satellitare di Googlemaps ti permette di osservare dall’alto quello che rimane di Amatrice: Street view, però, ti riporta indietro di due anni, fra le strette viuzze del paese con le sue case con i mattoni a vista, i fiori su balconi che paiono toccarsi da una parte all’altra della strada… Ti chiedi quale sia stato il destino delle persone che le immagini hanno catturato mentre fissano con curiosità l’autovettura con la telecamera sul tettuccio: qui sono state più di 200 le vittime. 248 storie diverse che la Chiesa di Rieti ha voluto non andassero perdute per sempre, raccogliendole in un volume intitolato significativamente “Gocce di memoria”.”Ricordare i nostri morti – aveva detto nell’occasione il vescovo monsignor Domenico Pompili – è la cosa più gratuita che possiamo fare ed è giusto e doveroso farlo per riprendere i fili della nostra vita e della nostra comunità perché se ce la caveremo, ce la caveremo solo se saremo insieme”.Certamente le Sae (le famose casette denominate burocraticamente “Soluzioni abitative di emergenza”) hanno permesso a tante persone di rientrare dal soggiorno obbligato negli alberghi della costa marchigiana; alcune storiche attività commerciali hanno riaperto i battenti nel centro commerciale inaugurato da pochi mesi; la cappella che può trasformarsi in sala polifunzionale continua a svolgere, grazie anche all’impegno delle suore e della parrocchia, la sua funzione di luogo di incontro…Amatrice  è stata e continua ad essere destinataria di iniziative di solidarietà promosse in tante parti d’Italia e che hanno permesso non venisse meno l’attenzione dell’opinione pubblica per questo angolo del nostro Paese anche quando si sono spenti i riflettori dei massmedia internazionali.La sensazione, però, è che a mancare sia oggi un progetto organico di ricostruzione che vada oltre la gestione dell’emergenza: al di là delle dichiarazioni ridondanti, Amatrice e tanti altri centri devastati dal terremoto non paiono essere più una priorità per la Politica italiana, prigioniere dell’indecisione di chi invece è stato votato dai cittadini per decidere. Anche se questo rischia di essere impopolare e non assicurare un consenso elettorale immediato.Ma fare politica è soprattutto essere capaci di gestire l’oggi guardando al domani. Ed Amatrice ha veramente oggi bisogno urgente di questa capacità di profezia.