Pellegrini per speranza

Le televisioni e i giornali in questi giorni ci ripropongono le immagini già viste nelle scorse estati, e presenti un po’ tutto l’anno, di gommoni e barchette che giungono sulle coste del Sud Italia o che vengono tratte in salvo (purtroppo non tutte) da mezzi più grandi che navigano in quelle acque. Vedendo quelle immagini viene da domandarsi che cosa può spingere qualcuno ad affrontare, magari anche con figli molto piccoli al seguito, un rischio così grande. Una prima risposta può essere la “disperazione”: solamente chi si trova disperato nel proprio Paese, per una situazione di conflitto armato o per una situazione di povertà cronica, può dire “tanto non ho niente da perdere” e può affrontare un viaggio così rischioso. Tuttavia la disperazione in genere non mette in moto le persone, tende a bloccarle, a paralizzarle, a farle sedere. Quello che fa muovere le persone non è la disperazione, ma è piuttosto la speranza. Solamente chi spera di trovare un luogo migliore, solamente chi spera di poter assicurare un futuro alla propria famiglia, solamente chi spera di poter mettere in gioco le proprie capacità può affrontare i rischi di un viaggio, i rischi di andare in un Paese nuovo in un continente sconosciuto. Per questo i migranti che vediamo arrivare in Europa sono quasi tutti giovani: non solo perché il viaggio può essere fisicamente impegnativo e chi è più avanti con l’età non è detto che abbia le energie per farlo, ma soprattutto perché sono i giovani ad essere guidati dalla speranza. È sempre la speranza che permette di affrontare anche l’altro grande viaggio della vita, quello che porta ad essere genitori. Se si guardano le statistiche delle nascite nell’unico punto nascita presente in diocesi, si rimane impressionati dal numero dei bambini figli di stranieri (circa il 30% del totale). Anche per mettere al mondo un figlio bisogna avere un buon bagaglio di speranza (e bisogna aggiungere che un’età abbastanza giovane dei genitori aiuta a ridurre i problemi della sterilità). Se c’è qualcosa di cui abbiamo bisogno nella nostra società, è proprio la speranza. La presenza crescente di cosiddetti NEET (acronimo inglese di “Not (engaged) in Education, Employment or Training”, ovvero persone non impegnate nello studio, né nel lavoro e né nella formazione) è un fenomeno molto articolato che dipende da diversi fattori. Tuttavia si può vedere anche in questo fenomeno l’indice di una disperazione che impedisce ai nostri giovani anche di impegnarsi a cercare e a cambiare, perché si sa che comunque qualsiasi cosa si faccia non servirà a niente.La presenza di immigrati nelle nostre terre, pellegrini dalla speranza, potrebbe essere stimolante per i nostri giovani perché riaccendano la speranza e vincano la passività e la rassegnazione che tocca almeno una parte di loro (i NEET ormai raggiungono quasi un terzo della popolazione tra i 18 e i 29 annidi età). La presenza di immigrati cattolici nelle nostre diocesi, potrebbe essere stimolante anche per le nostre Pastorali Giovanili che spesso fanno fatica ad entusiasmare i nostri giovani, a volte un po’ troppo sazi. La Festa dei Popoli che si vivrà con gli immigrati cristiani domenica 5 giugno a Udine sarà per le nostre Chiese allora una festa della speranza. Dedicare alle comunità cristiane degli immigrati nelle nostre terre uno degli incontri regionali in questo Giubileo della Misericordia è segno del desiderio che sempre più queste comunità non siano solo destinatarie dell’azione assistenziale della Caritas, ma soggetti attivi della pastorale ordinaria di tutte le nostre Diocesi. Sarà una domenica in cui condividere l’eucarestia, il pranzo, i racconti di vita, la gioia, la musica, la gratitudine. Sarà una domenica in cui condividere la speranza. È significativo che per individuare il logo di questa giornata interdiocesana dei migranti sia stato proposto un concorso ai giovani che metteva in pallio la partecipazione alla Giornata Mondiale della Gioventù. Infondo anche la GMG per i giovani che vi parteciperanno sarà un pellegrinaggio di speranza, molto meno avventuroso della traversata del Mediterraneo, ma speriamo con la capacità di risvegliare nei nostri giovani l’entusiasmo, la gioia, la speranza.