Ma siamo veramente in pericolo?

Le motivazioni alla base di tale scelta – giunta a poco meno di due mesi dalle elezioni che vedranno il prossimo 29 aprile anche gli elettori di quel comune scegliere il loro primo cittadino – sono state evidenziate in una dichiarazione al quotidiano locale da uno degli esponenti di quella Giunta: “Abbiamo sempre ritenuto che il nostro dovere è quello di garantire la tranquillità e la sicurezza dei nostri cittadini, dei loro figli e figlie, evitando in ogni modo di favorire ed introdurre qualsiasi tipo di pericolo nella nostra comunità”.E così, per l’ennesima volta, ogni richiedente asilo viene descritto a priori e senza tema di smentita come un potenziale pericolo.Noi ci illudiamo ancora che alla Politica spetti affrontare un fenomeno complesso come quello dell’immigrazione evitando il ricorso ai luoghi comuni ed alle immagini populiste e scontate: atteggiamenti che nell’immediato possono anche “premiare” in termini di voti ma che, per continuare a garantirsi il consenso elettorale, obbligano ad alzare sempre un po’ di più l’asticella della diffidenza e della paura verso l’”altro”. In un escalation che preoccupa proprio perché non è chiaro dove porti.L’immigrazione va regolata e non subita. Ma per farlo, chi fa della salvaguardia del bene comune la propria vocazione, non può considerare immigrati o richiedenti asilo come una massa omogenea ed indistinta. Coloro che definiamo “rifugiati” o “richiedenti asilo” sono, prima di tutto, singoli uomini e donne  la cui dignità va riconosciuta e difesa; persone ricche – come ciascuno di noi – di una propria storia, unica ed originale, ed impegnate a costruire un futuro per sé e per i loro cari.Continuare ad alimentare la paura dell’invasione si scontra con la constatazione che fra le migliaia di rifugiati e richiedenti asilo passati in questi anni nel nostro territorio, la percentuale di quanti hanno tentato di fermarsi fra di noi una volta ottenuto il tanto atteso documento ministeriale raggiunge una percentuale dello zero virgola.

I dati resi noti dal Comune di Gorizia ci hanno informato che nell’excapoluogo provinciale a fine 2017 risiedevano 30 (trenta) afghani e 10 (dieci) pakistani: considerato il numero di  richiedenti asilo e rifugiati transitati in passato per i centri di accoglienza isontini, il rapporto numerico è presto fatto.E se abbiamo la pazienza ma anche l’onestà di leggere senza pregiudizi i dati forniti dalle Forze dell’Ordine, ci accorgeremo che la percentuale di reati commessi dalle migliaia di uomini giunti in riva all’Isonzo da tutto il mondo non è superiore (anzi!) a quella del resto della popolazione.A far perdere la fisionomia storica ai centri dell’Isontino non è certo la presenza di rifugiati e richiedenti asilo. Guardandoci attorno troviamo sempre più cartelli “vendesi” su case ed esercizi commerciali di città e paesi che saranno certamente ancora a “misura di pensionato” ma risultano sempre meno attrattivi verso giovani costretti ad andarsene lontano alla ricerca di un lavoro; le poche fabbriche rimaste chiudono ed  i centri commerciali fagocitano quella piccola distribuzione che rappresentava un riferimento non solo economico ma prima di tutto sociale particolarmente nelle comunità più piccole. Elementi di un processo entrato nella fase di non-ritorno da ben prima che rifugiati e richiedenti asilo imparassero l’esistenza di una città di nome “Gorizia”.Parlare sempre e solo di immigrazione aiuta troppo spesso la politica a non affrontare quei problemi quotidiani della vita delle persone per i quali ci sarebbe bisogno di profezia, della capacità di saper gestire l’oggi pensando però già al domani.Non si fa molta strada sigillando le porte delle case o innalzando muri (fisici o legali) per tenere lontano quegli esseri umani a cui affibbiamo l’etichetta di “pericoloso”: vivremo in città apparentemente sicure e tranquille ma senza futuro.Può aiutarci rileggere le parole di papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 2018: “In molti Paesi di destinazione si è largamente diffusa una retorica che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati, disprezzando così la dignità umana che si deve riconoscere a tutti, in quanto figli e figlie di Dio. Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia, che sono fonte di grande preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore la tutela di ogni essere umano”.