Il vangelo secondo Matteo

E se è vero che la Bibbia è il libro più diffuso al mondo, non si può dire che vi sia una conoscenza altrettanto ampia e approfondita. Questo si può affermare anche dei vangeli, sebbene siano i libri sacri più noti (il recente rapporto del Censis parla di una bassa percentuale di credenti che leggono il vangelo). Il cristiano ne ha bensì una conoscenza che potremmo definire di primo li-vello. Si conoscono così parole ed episodi del vangelo, ma per lo più non è chiaro quale sia il legame fra gli stessi e nell’insieme. Il vangelo secondo Matteo (primo nell’ordine disposto dalle nostre Bibbie, aprendo così il canone neotestamentario) era noto e citato già nel II e III secolo, essendo il libro del NT più commentato dai padri, pastori e teologi dei secoli successivi. È il vangelo che traccia un quadro completo della vicenda terrena di Gesù, dalle origini all’esaltazione gloriosa. Offre una sintesi ordinata e progressiva delle sue parole, raggruppate in grandi unità letterarie e scandite dall’attività taumaturgica e dalle controversie con i capi Giudei (con uno stile ieratico). Più degli altri si presta a essere riproposto nella Chiesa, risvegliando e animando la vita dei cristiani. È stato definito anche il “vangelo ecclesiale”, essendo peraltro l’unico in cui compare la parola “chiesa” (16,18; 18,17). In esso per cinque volte vi è il passaggio dai cosiddetti “discorsi” di Gesù alle se-zioni narrative. In questa alternanza si polarizza la tradizione evangelica sull’attività di Gesù. Tali parti sono precedute da un prologo (capp. 1-2) e seguite da un epilogo (capp. 26-28). Il prologo, sul vangelo delle origini, getta un ponte con i capitoli 26-28 (passione, morte e resurrezione). La vita di Gesù, infatti, è letta fin dall’inizio nel se-gno del rifiuto dei vicini (Erode e l’ambiente di Gerusalemme) e dell’accoglienza dei lontani (i Magi). E in questa lettura è compresa l’apertura del messaggio della sal-vezza a tutte le nazioni (28,19), ossia i popoli lontani e stranieri. Molte sono le perle che questo vangelo ci trasmette. Qui vorrei menzionarne una: il cosiddetto “discorso della montagna” (capp. 5-7) definito da qualcuno come il “vertice più alto, più puro che lo spirito possa raggiungere” (Lev Kopelev ). All’interno dello stesso vi è la preghiera del Padre nostro (6,9-13), la cui redazione è entrata nella prassi della Chiesa, a differenza di quella di Luca 11,2-4, più breve. Fin dai primi secoli ci si è interrogati su quanto il discorso della montagna sia da prendere alla lettera, circa per esempio il porgere l’altra guancia, l’amore dei nemici, il perdono, ecc.? Gli uomini saranno mai in grado di realizzare tali esigenze? Di fronte al male, perennemente sperimentato nella storia, agli orrori compiuti da uomini su altri uomini, quelli delle guerre e dello sterminio di popolazioni inermi, prevale una risposta negativa. La domanda, tuttavia, resta tale: come poter attuare nella realtà del nostro mondo le esigenze di Gesù? Per i due poli in tensione – il nuovo ordine, o “regno di Dio”, e il mondo così com’è – che composizione si può tracciare? Il pendolo ha oscillato avanti e indietro fra queste risposte: realizzazione piena delle esigenze di Gesù o attuazione relativa nella realtà di questo mondo. Il discorso della montagna è e sarà sempre un programma per ogni cristiano, perso-nalmente e secondo uno sguardo e una responsabilità comunitari. Certo è che esso non si realizzerà mai compiutamente nel tempo storico, ma solo nella “terra nuova” (Ap 21,1) per opera di Dio. La sfida e il compito, tuttavia, permangono. La lettura del vangelo secondo Matteo possa essere nelle nostre comunità una sfida e un compito, ossia, stando al testo sacro: “chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia” (7,24).