Il senso del presente

Noi credevamo… un anno fa, ascoltando le certezze e le contraddittorie esposizioni di virologi e di infettivologi di fama, sì pensavamo che la Cina fosse troppo lontana per contagiarci e che saremmo stati magari prossimi ad un’influenza invernale un po’ più pesante del solito… o forse no. Finché all’ospedale di Codogno non è stato “certificato” il primo malato italiano di Covid19. Abbiamo capito male, tardi e siamo stati colti di sorpresa dal diffondersi del contagio, dalla sua aggressività che non è stata affrontata adeguatamente anche a causa di un piano sanitario di emergenza datato e per di più  accantonato.Così dodici mesi dopo, nonostante il lockdown severo, l’abnegazione ed il coraggio del personale sanitario che si è speso rischiando in prima persona e nonostante il primo avvio delle vaccinazioni, siamo ancora in piena pandemia: oltre 95 mila le persone morte, in solitudine.Non è finita. Il lutto per molti, la mascherina ed il distanziamento per tutti, Dodici mesi con un ristagno fatto di disagio sociale, economico, relazionale. Ad intermittenza scuola in presenza e/o a distanza. Posti di lavoro in forse, attività commerciali in sofferenza, attività culturali interrotte o in streaming, residenze per anziani chiuse ai parenti…celebrazioni religiose ed attività ecclesiali a distanza. Ancora “tempi bui”, in cui continuiamo a dire “Speriamo che finisca presto”,scalpitando perché “Dobbiamo provare ad uscire dalle secche”, mentre l’idea di Futuro non pare concretizzarsi, se non nelle riflessioni di Alberto, 5 anni, che domanda, al momento del bacio della buonanotte: “Mamma, c’è un modo per andare nel futuro? “No, tesoro. Bisogna aspettare, ma perché vuoi andare nel futuro?” “Perché voglio che finisca il coronavirus e posso tornare dai nonni come una volta.” Che stia in questo bisogno di ristabilire contatti che Alberto esprime verso i suoi nonni la chiave che, anche per tutti noi adulti, apre la percezione dell’altro?E’ su questa lunghezza d’onda il Monastero di Bose:”Siamo chiamati ad avere attenzione per il quotidiano,quel quotidiano in cui siamo immersi e perciò rischiamo di non conoscere, di non dargli peso. Eppure è proprio il quotidiano il luogo in cui realizziamo la nostra umanità”.