“Ci chiama per nome in quanto tali…”

Anche quest’anno, nonostante il COVID e come da tradizione, ci ritroveremo in cattedrale a Gorizia, martedì 18 gennaio alle ore 20.30, nella celebrazione comune interconfessionale cattolico/evangelica. Pregheremo insieme.Cosa significa comunemente per noi, pregare? Solo due parole: non è un presentare al Signore una “lista della spesa” di ciò che vorremmo Lui ci approvvigionasse, non è uno scaricargli addosso le nostre rabbie, le nostre frustrazioni, magari anche le nostre lacrime. E’, viceversa, un metterci in silenzio, il cuore aperto, con la nostra umanità ferita, debole, anelante, un’umanità che Cristo conosce, fino in fondo, e comprende… E’ Ascoltare. Il Signore regala due verbi a Israele: Zachar (ricorda) e Shema’ (ascolta). Li dice anche a noi. Porteremo così anche il nostro silenzio insieme alla voce che si leverà in cattedrale: voce plurale, come sono i nostri cammini, ma unica, poiché uno è il Cristo.Spesso facciamo nostra la paura di Romano Guardini, quella dello scolorarsi del rapporto diretto e personale con Cristo nel convenzionale e astratto. Non ora. Più che mai, quel “Dove due o tre si riuniranno nel mio nome…” risuona con gioia, come i passi sul  cammino che percorriamo per incontrarci e abbattere divisioni. Perché ci incontreremo ancora e sempre, anno dopo anno, arricchiti delle reciproche diversità, come famiglia che può spendersi al servizio del mondo.    Più in là, sempre Guardini, in La figura di Gesù Cristo nel Nuovo Testamento, dice che “Allorché Paolo perseguita Stefano, Cristo gli grida: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” poiché è Cristo che viene oppresso nelle persecuzioni alla Chiesa, come è Cristo che soffre per le divisioni, gli irrigidimenti, per le ingiustizie che possono turbarla…”. Tutti noi possiamo impegnarci, e lo facciamo, per vincere persecuzioni e ingiustizie, ma non sarà facile se prima non saneremo le nostre divisioni. Ancora, Carlo Maria Martini, spirito alto di un dialogo che abbraccia l’umanità, in Verso Gerusalemme, medita sul salmo 122, sul Pellegrinaggio, simbolo del cammino umano, della vita di tutti gli uomini come collettività… Dunque non  un vagare senza scopo, e neppure una fuga dal paradiso, priva di speranza: è un camminare verso un termine.E quando abbiamo riconosciuto che tale cammino ha un senso e una meta, scoppia la gioia.Gerusalemme è la meta del cammino, simbolo universale perché si tratta di una città, luogo di incontro…, dove i diversi si ritrovano. Quindi l’umanità non va verso una dispersione, una Babele confusa, ma verso un luogo dove tutti si incontreranno, si capiranno, intesseranno rapporti reciproci… Nella spiritualità del Nuovo Testamento è penetrato il pensiero delle moltitudini, di tutte le tribù della terra. Le moltitudini salgono verso tale città, e sono chiamate “moltitudini del Signore”…. La chiesa non è la meta, la grande città, ma è un popolo in marcia verso quella città… Noi, cristiani in cammino, possiamo precederne i passi, se uniti.Andiamo con gioia!