Quei “Sì, ma non ora…”

In quel momento l’Associazione che sosteneva, con documenti e convegni, la necessità di dare un’unica amministrazione comunale a questo territorio, era ancora quasi un circolo culturale. L’associazione, dopo anni, ha dovuto prendere atto che il mondo politico amministrativo, pur dopo aver apprezzato l’idea in generale, non muoveva passi determinanti per andare nella direzione di consultare i cittadini sulla proposta di un’unica amministrazione comunale. A questo punto ha ottenuto dalla Regione, con le dovute firme di un Comitato promotore, di poter chiedere le firme dei cittadini affinché la Regione stessa consenta lo svolgimento di un referendum che permetta agli elettori dei tre Comuni di esprimere la propria opinione in modo ufficiale e diretto. Dopo questo fatto, l’esponente di rilievo del partito che guida le maggioranze nei tra Comuni interessati, parla al suo partito e diventa paladino di una fusione ancora più grande: non solo tre Comuni, ma nove, tutti quelli del Mandamento. Naturalmente questo richiede più tempo e, quindi, la prospettiva non è di lavorarci subito. Adesso c’è altro da fare e quindi si vedrà più avanti. In quel partito la proposta è sembrata la ciambella di salvataggio per la scomoda posizione di negare l’importanza di un referendum in cui la popolazione potesse dire la propria opinione. Un coro di “si, ma non ora” si è levato in seno a quel partito, che però ha visto nascere anche un gruppo di ’dissidenti’ che ritengono invece si debba collaborare con chi propone il referendum.L’attuale motivazione di carattere istituzionale per dire di no alla raccolta di firme per ottenere il referendum è che si deve lavorare alla realizzazione dell’Unione Territoriale Intercomunale. Questa è dovuta per legge e, quindi, anche chi recalcitra all’idea di collaborare con altri Comuni, è alla fine costretto ad accettare di farne parte. Tra Uti e celebrazione di un referendum per la fusione di tre Comuni non appare esserci contraddizione, tanto che la legge che istituisce le Uti promuove anche le fusioni. Qualora si raccogliessero le firme necessarie, il referendum in questione si terrebbe certamente dopo l’istituzione dell’Uti e dopo le elezioni comunali per Monfalcone e Ronchi del prossimo anno. L’eventuale esito positivo contribuirebbe, negli anni seguenti, a snellire e semplificare il lavoro della stessa Uti, che altro non è se non una centralizzazione della gestione degli uffici e dei servizi dei Comuni, lasciando al loro posto tutti gli organi elettivi, sindaci, giunte e consigli comunali. Nei primi anni ’90 del secolo scorso, un sindaco del Mandamento, Adriano Cragnolin del Partito Comunista Italiano, aveva lanciato il progetto della Città Mandamento. Idea saggia e preveggente, fatta partire in accordi scritti tra i Comuni, ma, come talvolta succede, è stata fatta fallire dai più ristretti interessi di campanile. La storia si ripete o, dicono i sostenitori del referendum, si avrà il coraggio di dibattere apertamente con i cittadini sulle reali prospettive di sviluppo sociale ed economico e sull’assetto istituzionale di questo territorio? A questo serve il referendum; a dibattere, approfondire e capire i pro e i contro. Poi saranno gli stessi cittadini a scegliere con il loro voto la prospettiva che riterranno migliore.