La giustizia riparativa? È possibile”

  rovare una soluzione condivisa fra le parti, in un sistema partecipativo e inclusivo, che promuova la riparazione, la riconciliazione, il senso di sicurezza collettivo e il recupero della dignità del detenuto. Questi i principi che stanno alla base della giustizia riparativa, tema di grande attualità approfondito negli scorsi giorni dal convegno “Mediazione e conflitto/giustizia e riparazione”, appuntamento inserito nell’ambito del Festival di Teatro e Arte del Carcere di Gorizia “Se io fossi Caino”, realizzato da Fierascena Compagnia teatrale con il sostegno di Caritas diocesana di Gorizia, dei Comuni di Gorizia, Gradisca d’Isonzo e Trieste, della Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia e del Kinemax.Ad aprire i lavori, ospitati alla Sala della Torre della Fondazione Carigo, i saluti del dottor Marco Braida, consigliere della Fondazione, a cui hanno fatto seguito quelli dell’assessore comunale al Welfare Silvana Romano, che ha colto l’occasione per confermare l’arrivo del finanziamento da Roma per la sistemazione dell’ex scuola Pitteri, dove verrà realizzata la nuova casa circondariale: “l’idea – portata avanti già dall’ex sindaco Ettore Romoli – si sta concretizzando e l’auspicio è quello di poter ospitare la prossima edizione del Festival “Se io fossi Caino” nella nuova struttura”.La parola è quindi passata alla presidente di Fierascena e direttrice artistica del Festival, Elisa Menon, che ha riportato l’attenzione sull’operato e sulla finalità del teatro sociale, che permette alla città di avvicinarsi ad una realtà – a volte sconosciuta – come quella carceraria in maniera trasversale, con l’arte, linguaggio universale. “Il teatro sociale inoltre permette di trovare un qualcosa che, nel tempo della pena e dello scollegamento con la società, crei una riconnessione, anche nell’ottica di ridurre le recidive”.La parola è passata quindi a monsignor Redaelli, arcivescovo di Gorizia, che ha posto una riflessione proprio sul senso della giustizia riparativa, che non opera tanto nell’ottica di “riparare un ordine che è stato interrotto, quanto proprio di rimettere in relazione; questo lo troviamo anche in Gesù, che non soltanto si è fatto uomo per risolvere i nostri errori, ma è esso stesso più elementi in relazione. Per cui, a mio avviso, se si ripristinano le relazioni, si è già fatto un passo sulla giusta strada da percorrere”.Il testimone è passato quindi ai “tecnici” – moderati da don Paolo Zuttion, cappellano del carcere di Gorizia – per un’analisi più approfondita che ha molto interessato i tanti avvocati ed esperti del settore accorsi al convegno. Ad avvicendarsi al tavolo dei relatori Caterina Iagnemma, dottore di ricerca in Diritto penale all’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano, Alberto Quagliotto, direttore delle carceri di Gorizia, Pordenone e Treviso, Filippo Vanoncini, mediatore e formatore del Centro di Giustizia riparativa della Caritas di Bergamo, Elisabetta Burla, garante per i diritti dei detenuti del carcere di Trieste ed Enrico Sbriglia, provveditore per l’Amministrazione penitenziaria del Triveneto.Tra gli spunti emersi, la presa di coscienza di come la cultura occidentale – e quella cattolica in particolare – abbiano proprio alla base la giustizia riparativa. È lo stesso episodio di Caino e Abele che ce lo fa capire, con un Dio che offre a Caino una strada – pur non semplice – ma lo “segna”, accoglie e indirizza. La giustizia riparativa si pone quindi come il creare un progetto, un collegamento e un processo di dialogo tra reo e vittima; un percorso non facile, definito da Iagnemma come “fatto di lacrime, sangue e dolore”, che non giustifica ma si pone però come un accompagnamento al dialogo. Tutto ciò va a colmare anche una richiesta di giustizia della vittima, non lasciando su questa il drammatico effetto collaterale (studiato scientificamente) del senso di colpa per aver a propria volta generato il male.