“Chi semina vento raccoglie tempesta”

Fuori sede per qualche giorno di riposo, ho avuto la malaugurata idea di leggere il giornale della mia amata Città, per restare incredulo, avvilito e alla fine addolorato, profondamente addolorato. Mi domando come mai amministratori della cosa pubblica utilizzino categorie profondamente inadeguate – e dannose assai – per giudicare situazioni e fatti della nostra cittadina.Scandalizzarsi e basta per l’elevato numero di “stranieri” destinatari dell’ultima assegnazione di case popolari in Campagnuzza è affermazione davvero eccessiva, specie se letta in un giornale. Denuncia una cultura politica assolutamente povera per chi è portatore di responsabilità di governo della cosa pubblica.L’elevato numero di “stranieri” nelle case popolari non dimostra forse ancora una volta chi è maggiormente colpito dalla crisi economica e si trova più in necessità? Dobbiamo dispiacerci se oltre il 72%  dei nostri concittadini vive in case di proprietà (dati Eurostat 2018)? Se sono di meno gli italiani che in proporzione ne hanno bisogno?Se ci sono dei furbetti nelle assegnazioni, bene, vengano scoperti e corrette le graduatorie. Ci sono famiglie che hanno diritto, ma molte tra loro parlano altre lingue e appartengono ad altre culture? Bene, si attivino quanto prima dei processi pratici di integrazione e convivenza pacifica tra tutti, che ne abbiamo sempre più bisogno.Aizzare invece i concittadini gli uni contro gli altri con affermazioni di pensiero elementare, ma di sicuro effetto mediatico, non porterà invece prima o poi qualcuno a sentirsi investito della disgraziata “missione purificatrice” prendendo in mano un bastone (o peggio) per ripulire il “nostro” territorio dagli “allogeni” e dagli “alloglotti”?Se non è bastata – o se forse qualcuno non conosce – la storia di un secolo fa per comprendere dove portano certe impostazioni ideologiche e certi discorsi, basterebbe sfogliare i giornali di oggi e – se amiamo davvero le benedizioni dei nostri sacerdoti – un po’ di Sacra Scrittura: questa dice che “chi semina vento raccoglie tempesta” (Osea 8,7); i primi invece ci raccontano del tiro al piccione sulle persone di colore in corso nel nostro Paese durante queste queste settimane. E questo che si vuole fare anche a Gorizia, la multiculturale e da sempre multietnica Gorizia? Vorremmo sentire qualcos’altro da chi è stato richiesto di amministrare una Città, nobile, antica, piena di risorse intellettuali e morali, un territorio che ha bisogno di far crescere la natalità, non di creare ostacoli a chi i figli li fa, di creare posti di lavoro per i giovani, di attrarre persone per rianimare il commercio, di pensare a quale ruolo vuole assumere nel futuro il nostro territorio, ridotti come siamo a piccolo vaso di coccio tra vasi di ferro.Questo sul metodo di intervento in pubblico. Sul merito, invece: non è un po’ miope, se non autolesionistico, prendersela con chi riempie le nostre classi scolastiche e consente di tenere aperte le scuole, con chi riempie le nostre piazze, i nostri ricreatori, i nostri quartieri? Ciò che si vuole per Gorizia sono delle vie con negozi chiusi e scritte “vendesi”? E quando si pensa al “bene comune” o alla “cosa pubblica”, non bisognerebbe forse aspirare al bene di una città nel suo insieme e non solo di una presunta “etnia”? Sul concetto di “straniero” a Gorizia, poi, sarebbe sufficiente compiere un veloce excursus sui cognomi degli ultimi cinque secoli, come quotidianamente noi sacerdoti siamo chiamati a fare consultando i registri dei battesimi. Sempre ammesso che la realtà storica possa dire qualche cosa di fronte all’ideologia, cosa di cui potremmo cominciare a dubitare, purtroppo. Troveremmo di tutto e di più, turchi convertiti compresi. A dire il vero, per essere precisi, c’è stato un solo periodo, tra gli anni Trenta e Quaranta del ’900, in cui vediamo molti cognomi corretti, perché diventassero meno “stranieri”. Non è stato un periodo felice per nessuno, italiani per primi.Si vuole ritornare lì? Dispiace dover constatare che soltanto a quelle fonti di pensiero sembrano attingere alcuni. Altri modi di pensare che puntano all’incontro, alla collaborazione, alla coesistenza dei diversi popoli sono stati molto più utili e produttivi per la nostra Città, per la sua vita, la sua economia e identità.  Infine, ritengo che dovremmo uscire da una grande ipocrisia collettiva, che sotto il nome di “stranieri” apparentemente non graditi in realtà dice assolutamente altro. Se davvero il problema fossero gli “stranieri”, perché non ci opponiamo gli stranieri che entrano a Gorizia con Gusti di Frontiera, occupando spazi per gli “italiani”? Perché non ci siamo opposti agli stranieri che per decenni hanno fatto la spesa nei “nostri” negozietti della Vecchia Gorizia? Perché non mandiamo via anche le “straniere” che ospitiamo in casa nostra e che occupano le “nostre” stanze prendendosi cura dei nostri anziani? Allora forse dovremmo togliere la parola “stranieri” e inserire la parola vera: poveri. Non vogliamo poveri, tantomeno poveracci, di nessuna etnia e di nessuna specie, perché abbiamo paura che ci tolgano qualcosa del nostro benessere e perché non sappiamo bene come fare con “loro”, che sembrano così diversi da noi. E che fanno tanti bambini, mentre noi ci prendiamo cura degli animali da compagnia.Forse saremmo più sinceri e potremmo finalmente iniziare a pensare ed agire a carte scoperte e con più lucidità per la nostra città.