Cecilia Seghizzi: per non dimenticare una goriziana illustre

Un giorno capitò da me (ancora guidava) con un quadro sottobraccio: “hai una casa troppo buia e triste con quei quadri cupi” mi disse e mostrandomi un suo acquarello tutto luce, lo appese dove c’era lo spazio opportuno, cioè al posto di un altro quadro triste secondo lei.Un gesto che la descrive nel suo carattere forte nel decidere nella sua visione la luce come mondo interiore e come espressione di sé con un gesto di amicizia che si fa dono ed affetto insieme. Parlare di Cecilia Seghizzi è parlare di una Vita ricca di animi ma specialmente di talenti di qualità nella musica, nella pittura e via via nella formazione alla didattica pedagogicamente ricca e coerente come dovrebbe essere sempre in chi per mestiere o per scelta deve insegnare. Specialmente nella musica, suo grande amore, si è sempre dimostrato convinto ed appassionato l’impegno di dare visibilità e nuovo ascolto ai classici del Rinascimento musicale italiano, quali Orlando di Lasso, Vecchi, Luca Marenzio, Gabrieli e Monteverdi, parte viva dei suoi programmi svolti nei concerti del Polifonico, una sua amatissima creatura, di cui i giornalisti del tempo evidenziavano “l’aspetto aristocraticissimo”.  Dotata di uno spirito libero e nelle scelte sempre equilibrate e forti sia nelle scelte riguardanti il proprio fisico, esaltato nelle lunghe passeggiate in montagna, nei soggiorni prolungati al mare, a Grado, ma anche nello scendere e nel risalire ogni giorno due rampe di scale della propria abitazione quando non riusciva più a muoversi come avrebbe voluto. Non ha cercato riconoscimenti, li ha ottenuti per logica conseguenza del proprio vivere e del proprio operare dal piccolo e prezioso premio “San Rocco”, al più paludato ed ufficiale riconoscimento del premio cittadino intitolato ai Santi Ilario e Taziano patroni della Città, promosso insieme da due realtà da lei non particolarmente frequentate e riconosciute come il Comune di Gorizia e il Decanato della Città.Infatti non aveva frequentazione assidua dei due ambiti perché li trovava polverosi e vecchi, lei che onorava la Città con la propria vita e la propria arte ed aveva imparato a lodare il Signore esprimendo concretamente i doni da Lui ricevuti.Amava l’arte e la natura ed esprimeva questa predilezione onorando l’una e l’altra con i colori e con le note soavemente in ambedue le forme senza la presunzione supponente della maestra ma con la continuità operosa e la costanza affettuosa della pedagogista impegnata sul campo. Con il crescere degli anni  non ha mancato di porre particolare attenzione alla vita della Città sempre più vecchia e spenta e alle tecnologie sempre più nuove. Infatti a cent’anni aveva incominciato ad usare il computer, insaziabile di sapere e di scoprire realtà nuove. Una delle sofferenze di questi ultimi anni  è stata la scomparsa della “sua vecchia Scuola di Musica” in cui aveva speso tanto della sua vita di insegnante e di musicista compositrice. In essa aveva fatto sorgere quel mirabile piccolo complesso corale che è stato il Polifonico Goriziano che portò onore a lei e alla Città tutta, vincendo premi e ottenendo riconoscimenti non solo in Italia. Non riusciva darsi ragione del fatto che la scomparsa di questo “orgoglio” della cultura goriziana e della storia della Città, avvenisse senza che ci fosse una risposta adeguata, sollecitata da lei stessa con una lettera pubblica rivolta a chi avrebbe dovuto attivarsi. E qui ancora una volta va rilevata la sofferenza per la retorica fumosa di tanti atteggiamenti “presenti” solo nelle feste di compleanno. Il saluto che la Città le ha dato nell’occasione del suffragio è stato un po’ l’immagine di un comportamento dimentico, quindi colpevole, di troppi “illustri goriziani”.