I Caduti russi di Brazzano saranno onorati dal loro Paese

Il centenario della fine della prima guerra mondiale è passato da qualche mese, ma degli eventi e delle conseguenze di quel conflitto che  provocò milioni di morti e che ridisegno i confini dell’Europa se ne parla ancora.  Grazie al lavoro che storici e studiosi hanno compiuto in questi anni, sulla spinta anche di questo anniversario, emergono nuovi particolari o episodi poco noti al grande pubblico.Uno degli aspetti, che sono stati trascurati dalla storiografia nazionale incentrata in gran parte sugli avvenimenti bellici che videro l’Italia scendere in guerra contro l’Austria, riguarda il nostro territorio, quello che allora era chiamato il Litorale e che faceva parte dell’impero austroungarico.Qui tra il 1915 e il 1917 si  combatterono tra le più cruente battaglie che insanguinarono il Carso e l’Isonzo, ma la guerra era vista con occhi diversi: il territorio era occupato dall’esercito italiano, ma i giovani e gli uomini di questa terra  combattevano su altri fronti indossando la divisa austroungarica, quella che per l’Italia rappresentava il nemico. In migliaia, che combattevano in Galizia e in Bucovina, furono fatti prigionieri dall’esercito zarista e internati all’interno della Russia. Di queste vicende ne hanno scritto in particolare Marina Rossi e Camillo Medeot diffusamente, ma ben poco si sa  dei prigionieri che l’Austria aveva catturato e poi internato in campi di concentramento sparsi per l’Europa. Uno di questi venne realizzato dall’Austria a Brazzano nel novembre 1917, pochi giorno dopo la battaglia di Caporetto. Di questo campo di prigionia, noto alla popolazione locale ma solo per tradizione orale, si sono conosciuti nuovi particolari grazie a foto inedite e mappe trovate all’Archivio e pubblicate nel libro “Cormons e Brazzano 1917-1918”, edito nel dicembre scorso dalla Società Cormonese Austria, recensito anche da questo settimanale. In questo campo di prigionia, che occupava praticamente l’intero paese, secondo una stima molto attendibile, furono internati 1.150 prigionieri russi, di cui 150 morirono e vennero sepolti prima nel cimitero di Cormons e poi in quello di Brazzano.  Soldati che dopo cento anni saranno per la prima volta onorati dalla loro patria. Ed è infatti questa una pagina nuova che si apre nella grande storia della prima guerra mondiale. L’ambasciata russa a Roma, grazie al libro – curato da Giovanni Battista Panzera, Livio Ciancarella, Giacomo Cavalli e da chi scrive queste note – è venuta a conoscenza del cimitero militare di Brazzano e nei giorni scorsi due addetti militare dell’ambasciata sono giunti a Cormons e hanno visitato il camposanto prendendo così visione di una realtà di cui ignoravano l’esistenza. I due diplomatici – il maggiore Eugeny Sapozhkov e il colonnello Dmitry Ostroukov – si sono soffermati dinanzi alle croci dove sono sepolti i soldati russi e alla fossa comune dove su una lastra di cemento sono riportati i nomi di tutti i prigionieri sepolti: oltre a 37 russi e due ignoti, ci sono 240  soldati austro-ungarici. Da questo sopralluogo, svoltosi in forma privata, è già emersa la volontà da parte  dell’ambasciata russa di onorare questi loro connazionali con una cerimonia ufficiale che, di intesa con le autorità locali, si svolgerà probabilmente nel prossimo autunno.  Il cimitero militare di Brazzano, tutelato dalla Croce nera austriaca e gestito dall’Amministrazione comunale grazie a una convenzione con Onorcaduti, è l’unico in regione che raccoglie i resti di prigionieri russi ed è l’unico in tutta Italia che dei 150 militari russi sepolti, 111 hanno una tomba con la croce e nominativo singolo. Nel Nord Est ci sono altri cimiteri che raccolgono spoglie di prigionieri russi, in particolare nel Trentino Alto Adige: a Ora, Merano, Laives-San Giacomo e  Dobbiaco in provincia di Bolzano e a Rovereto in quella di Trento. Ma in questi cimiteri i resti dei prigionieri russi sono stati raccolti in fosse comuni. L’esistenza dii alcuni di questi è nota alla Russia: nel grande cimitero militare di San Giacomo a Laives. accanto alla fossa comune contrassegnata da una croce ortodossa, in occasione del 700° anniversario del beato Sergio di Radonezh e del centenario  dello scoppio della prima guerra mondiale è stata realizzata una cappella votiva “con la benedizione del patriarca di Mosca e di tutte le Russie”, come si legge sulla lapide collocata a ricordo dell’avvenimento.  Nella prima guerra mondiale il numero totale dei prigionieri russi, catturati dall’esercito tedesco e austro ungarico,  furono in totale 3 milioni 638mila 271. La maggior parte vennero internati in circa 300 campi di prigionia di medie dimensioni e un milione e mezzo in 50 grandi campi di concentramento. Di questi 191.292 (il 13% circa) morirono durante la prigionia.Dopo la battaglia di Caporetto gli austriaci trasferirono circa 5 mila prigionieri russi in Sud Tirolo, ora provincia di Bolzano, e circa 1.150 nel campo di prigionia di Brazzano.I prigionieri venivano utilizzati quale forza lavoro e soprattutto a Bolzano furono dislocati anche nei paesi limitrofi mentre a Brazzano rimasero nel campo di prigionia anche se giornalmente alcuni uscivano per lavori esterni.Finita la guerra, tutti i prigionieri russi che si trovavano nei territori ex austriaci diventati italiani furono raggruppati e trasferiti nel campo di prigionia dell’Asinara (Sardegna). In tutto erano circa 6.500 uomini e di questi circa 1.500 accettarono di ritornare in Russia e combattere con le armate bianche zariste. Il resto fu trasferito a Odessa. Rimasero in Sardegna una ottantina di prigionieri che costituirono una cooperativa di lavoro.