Unioni, unificazioni: o troppo altro in libertà?

Il cittadino medio non sembra soddisfatto di quanto riceve (in termini di servizi) da parte della pubblica amministrazione; le lamentele non mancano e anche la sfiducia. Da parte loro le istituzioni chiedono riforme sostanziali: prima fra tutti la soppressione in forme diverse (unioni o unificazioni) dei Comuni. Sono troppi e troppo piccoli.  La figura dei sindaci – nel recente passato – ha avuto grandi riconoscimenti e poteri, probabilmente anche fuori dal contesto giuridico, ora sono in ribasso; le attese sono aumentate e così le richieste. Soprattutto in tempi nei quali anche i desideri sembrano destinati a diventare diritti. Magari diritti civili.La risposta a questa nuova situazione è quella di mettersi in gioco, tutti: mettere da parte le dichiarazioni di disponibilità teoriche e (tutti) mettersi appunto in gioco per cercare di cambiare veramente considerando che l’attuale condizione appare senza vie di uscita e, perciò, va superata. Senza tale disponibilità -come avverte in tutte le maniere il primo ministro in carica- non c’è futuro: tutto potrà essere migliorato ma a condizione di essere disponibili a cambiare. Anzi, “cambiare verso” è diventato un vero e proprio comandamento.Mettersi insieme -prima di tutto per i Comuni- per migliorare i servizi e la loro organizzazione, è dovere di tutti perché l’obiettivo finale è quello  di consentire ai cittadini di vivere meglio. In modo particolare “sentirsi riconosciuti e accolti”, accompagnati nelle difficoltà, non dimenticati. In una parola: qualità dei servizi e migliore organizzazione: il compito è degli enti locali, primo fra tutti il Comune, considerato dalla pubblica opinione come il luogo per eccellenza dove il cittadino ha la possibilità di vedere risposte concrete alle sue attese. Al centro è il cittadino, il cittadino inserito in comunità, famiglia, comunità di lavoro e di vita, società.Dunque, dopo la eliminazione (parziale) delle Province, uno si aspettava una adeguata ridistribuzione delle competenze e dei servizi fra Comune, Regione e Stato in collaborazione, appunto, con la famiglia e tutti quelli che vengono chiamati le forze sociali sul territorio (organizzazioni volontariato ed enti intermedi). Così insegnava il diritto ed il buon senso. L’equilibrio delicato poggia sul principio di sussidiarietà e di solidarietà: tutti hanno un compito,  nessuno può sopraffare quello dell’altro; nessun aumento di enti e nessun doppione, perché sarebbe un danno per tutti. L’occasione -quella liquidazione delle Province- era buona; niente invece si è fatto e, giorno dopo giorno, si polemizza sui giornali per la attribuzione di competenze fra enti (si è tentati a crearne altri!), mentre il cittadino resta nell’incertezza anche del poco sul quale pensava di poter contare. La parola “stabilità” chiude ogni speranza. Politica è morta. Costruzione di un nuovo assetto del Comune, revisione della struttura elefantiaca della Regione autonoma e quindi dello Stato: questo era ed è il compito di Comuni, Regioni e Parlamento per dare via ad un domani diverso e nuovo.  Condizione indispensabile, la revisione della spesa pubblica e di una nuovo finanziamento degli enti locali, riformati ed al servizio reale del cittadino e della comunità sociale. Tutti ne parlano e, intanto, ad esempio, in Regione FVG resistono due università, due cliniche universitarie, due o tre enti portuali e non parliamo degli altri doppioni che costano e rubano risorse. Niente di tutto questo è avvenuto se non una cancellazione del nome (Provincia); si è provveduto a far nascere una nuova strutturazione (Uti). Un pacco di norme dal quale il cittadino rischia di capirci poco e di non avere vantaggi pratici; non solo, arrivano voci di chi  parla delle Unità territoriali come di un passaggio, necessario, ma che deve essere superato.Tutti vedono che, in questo modo, il dibattito -anche a proposito di Unioni o fusioni (nel Mandamento ha un peso la proposta che riguarda i tre comuni di Monfalcone, Ronchi e Staranzano- risulta stagnante. Sono state intanto raccolte firme per celebrare il referendum; scelta responsabile. Poco o niente si è fatto per quella opera indispensabile e che viene prima. Partecipando a qualche assemblea pubblica, dove sono stato messi a confronto i diversi punti di vista, il cittadino non solo non sa ancora cosa troverà di meglio, perchè non ha avuto sempre motivi per confrontare dati omologhi (i servizi di polizia municipale, ad esempio), si è sentito parlare di risparmi ma non gli si è detto per quali servizi migliori e migliorativi; non ha capito quali strutture resteranno sul territorio e, soprattutto, quali nuove, saranno inventate per meglio servire il cittadino, la famiglia, la comunità. E con quali nuovi mezzi e persone tale operazione sarà portata a termine.Soprattutto, nella tensione che viene da lontano (quando l’obiettivo era la umiliazione del capoluogo), occorre chiarire in nome di quali opportunità si intende procedere: la eliminazione delle burocrazie e degli sprechi, semplificando le modalità, introducendo veramente la innovazione tecnologica (oggi si ciancia che tutti siamo connessi e invece ci fanno portare fotocopie della carta di identità in ogni servizio); la unificazione dei servizi, per quanto riguarda documenti e pagamenti, resta un auspicio e non una realtà alla quale tutti si attengono (impiegati comunali, bancari e servizi vari, compresi).In una parola, chiarito il senso ed il ruolo centrale degli enti locali, definito il baget, messo a prova il contributo della innovazione, dovrebbe essere possibile avviare su basi riconoscibili il processo della fusione o dell’ accorpamento o della collaborazione. Altrimenti capita quello che è capitato a proposito dell’ultrafamoso regionalismo fiscale sostenuto a spada tratta dai leghisti: un fallimento totale proprio perché scentrato rispetto alla cultura politica (personalismo) e alla vocazione (partecipazione democratica) delle comunità. La riforma, ridotta a mito o medaglia di cui fregiarsi, è caduta nel nulla.Di più: in riferimento a questa proposta (oltre alle opzioni ricordate) poco o niente si è sentito a proposito delle ragioni degli ultimi e di come -proprio in nome degli ultimi e dei poveri  e con la eliminazione delle accuse di ingiustizia individuale e sociale- si intende dare vita ad una logica amministrativa di risparmio e di buon funzionamento degli istituzioni. Per chi sente di appartenere  al Movimento politico cattolico tutto questo è impegnativo e, soprattutto, non ci si può nascondere dietro ad un dito: appartiene alle scelte di ogni autentica riforma sociale. Solo in questo modo l’invito pressante a modificare abitudini e pigrizie (oltre che sprechi) va accettato seriamente, quando si accompagna alla esigenza insopprimibile di correggere le contraddizioni personali e le logiche di sistema: una duplice battaglia che ci coinvolge tutti. Ed ha conseguenze per  ciascuno e tutti. Infatti -dopo Monfalcone Ronchi e Staranzano- tutto questo riguarda da subito S.Canzian e Turriaco fino all’Isonzo e oltre l’Isonzo verso il Collio o verso Gorizia, anche oltre al confine. Parlare di unificazione o unione, di collaborazione o altro fra le tre belle del reame, significa avere medesima visione e criterio per l’intera ex-provincia o per i paesi della ex-provincia della Bassa Friulana. Monfalcone, forse anche Ronchi con i suoi dodicimila cittadini, sono a misura di un centro con autonomia. Chiedere di collaborare, restando nell’autonomia, non significa continuare a fare quello che si è fatto fino ad ora. Tanto meno imporre statuti e nomi (vedi segnaletica autostradale Monfalcone nord – Monfalcone sud). Tutti vanno ascoltati e le loro opzioni tenute in considerazione.Considerazione finale: nessuno deve essere obbligato a sentirsi sottomesso a nessuno:  proprio perché hanno una idea precisa di autonomia ed identità, i bisiachi sono prima di tutto cittadini del mondo, vivono la loro identità locale dentro ad una appartenenza universale. Non privilegiano il localismo e, tantomeno, si fissano in una identità sciovinista; certo, non sopportano di essere messi sotto da altri, ma non si peritano di obbligare alcuno a non esistere per garantire a se stesso la sopravvivenza.