Ronchi dei Legionari: ricordare per non sbagliare più

Con questi sentimenti, martedì 26 maggio, a Ronchi, presso la parrocchiale decana di San Lorenzo, si è fatto memoria del dramma della profuganza delle nostre popolazioni. Cento anni fa infatti, l’annuncio della guerra nei nostri territori venne dato il 24 maggio 1915 e la partenza ebbe luogo a scaglioni nei giorni successivi mentre nel resto d’Italia la notizia s’era già diffusa il 20 maggio. Anche le popolazioni dei nostri paesi, in particolare le genti di Ronchi, Redipuglia, Fogliano, Sagrado, Sdraussina e successivamente Lucinico e San Lorenzo Isontino, vissero l’esperienza tragica della deportazione. La partenza ebbe luogo attraverso la stazione di Aurisina dove si raccoglievano tutte le famiglie. Fu perciò il momento di partire per rifugiarsi al sicuro in Stiria, in diverse località dell’Austria e dell’ Ungheria dove erano stati già allestiti accampamenti per accogliere le famiglie provenienti dalla prima linea del fronte. Il centro principale di raccolta, successivamente fu il campo di Wagna, la località della Stiria vicino a Graz che attualmente, in ricordo di quei 4 anni di esilio per i nostri popoli, è gemellata con Ronchi. Il campo profughi di Wagna, venne progettato e costruito tra l’ottobre e il novembre del 1914 per ospitare diecimila profughi polacchi della Galizia: era composto da 25 baracche, ciascuna “predisposta” per ospitare 400 persone al suo interno; inoltre nel campo erano presenti 7 cucine, un ospedale ed una scuola. I primi profughi provenienti dalla nostra regione, giunsero a Wagna a fine maggio 1915. Erano quasi 18 mila. La serata commemorativa intitolata “Profughi a Wagna 1915-2015, 100 anni – Ronchi ricorda” è stata impreziosita dall’alternarsi di un ciclo di letture intervallate con dei canti interpretati dai cori “Note in crescendo”, “Giuseppe Verdi”, “Jezero” e “Soul Circus”. La cerimonia è stata resa possibile grazie alla partecipazione dell’amministrazione comunale, delle parrocchie di San Lorenzo, Santo Stefano e Maria Madre della Chiesa, del Consorzio Culturale del Monfalconese, dell’Azione Cattolica cittadina e dell’Acli locale. Quattro sono stati gli eccellenti lettori che hanno interpretato i testi preparati con cura e precisione dal parroco don Renzo Boscarol. “La notte del ricordo”, che consiste in una raccolta di riflessioni, lettere, interviste e memoriali del tempo, è stata presentata dalla giornalista Cristina Visintini. Grande la partecipazione della comunità cittadina e delle altre realtà del Mandamento. Molto forti e toccanti sono stati i racconti di chi aveva vissuto quei tragici momenti, le testimonianze di Lino Fontanot, Giuseppe Ermacora, Giuseppe Sgorbissa, Maria Soranzio, Oreste Michieli poi le memorie storiche del prof. Alfio Perco.Dopo un’introduzione con le citazioni di alcuni passi dell’omelia che aveva pronunciato Papa Francesco a Redipuglia il 13 settembre 2014, si è passati al racconto di come le nostre popolazioni hanno appreso la notizia dell’inizio del conflitto. Poi, i canti e lo scorrere di alcune immagini storiche che sono state proiettate, hanno scandito altri momenti importanti: la partenza degli esuli, i particolari dello straziante viaggio verso l’Austria, la descrizione del campo e degli stili di vita durante la “permanenza” presso di esso, l’aspetto dell’assistenza, le opportunità della vita da campo per uomini e donne che potevano offrire la loro esperienza, la scuola, le morti dei bambini vittime innocenti ma anche i momenti di nostalgia e di protesta di tutte quelle persone.Molto importante è stata anche la parte dedicata al ricordo dei sacerdoti che sono stati punto di riferimento per la comunità durante gli anni di deportazione . Monsignor Luigi Faidutti, don Francesco Bandeu, don Roberto Barbieri, don Pierino Sepulcri e don Angelo Ballaben. Insieme con loro Pre Tita Falzari, che sarà poi parroco di San Lorenzo dal 1940 al 1942, assieme a don Corsig di Gorizia e molti altri. Tutti questi sacerdoti svolsero il loro ministero seguendo le sorti della popolazione costretta a fuggire dai propri territori, furono anche funzionari dello Stato ed esemplari insegnanti che si dedicarono al mondo della scuola dell’epoca con dedizione. Alla luce dei dati attuali che testimoniano il fatto che 53 milioni di persone sono oggi profughi nel mondo, si può confermare nettamente che essi vivono la dimensione reale di quanto è accaduto 100 anni fa ai nostri cari appartenenti a questi territori. Iniziative come questa, commemorativa del Centenario, ci diano dunque la possibilità di affermare senza riserve che tutto è perduto con la guerra. Si aprano perciò le porte del nostro cuore e della nostra mente per saper assumerci quelle responsabilità proprie di chi intende tutelare dei valori democratici insostituibili sanciti dalla Carta Costituzionale. L’uomo contemporaneo si dimostri allora capace di recuperare l’umanità e il sentimento della speranza per non voltarsi dall’altra parte dicendo: “A me che importa”. Fare finta di non vedere non è giusto. Bisogna ricordare sempre per non sbagliare più!