Quale identità per Monfalcone?

Identità, essere uguale; percezione di se stessi; caratteristiche che determinano una persona e la rendono unica. Noi veniamo ’riconosciuti’ attraverso la ’Carta di Identità’, una serie di nostri dati per cui io sono proprio io: nato a…, il…, cittadino di un Paese, residente in…, stato civile, professione, statura, cappelli, occhi, segni particolari… firmato il sindaco. Al di là di questo ci sono io che mi percepisco per i molti aspetti che mi fanno sentire me stesso e mi mettono in relazione ad altre persone e all’ambiente in cui mi trovo. Proprio le relazioni in un gruppo di persone generano esperienze di vita che possono portare ad un sentire comune, ad una condivisione di valori e di criteri: è una identità di gruppo, che può allargarsi ad una comunità intera, ma potrebbe anche essere solo una parte di una più vasta ’società’. Recentemente anche a Monfalcone si parla e si discute di identità della stessa città e in questi mesi pare che il simbolo dell’identità si stia posizionando in piazza della Repubblica. Anzi la stessa piazza dovrebbe essere la manifestazione di questa identità che emergerà dal ’pilo’ che pare destinato a tornare al centro di quello spazio cittadino. Ma cosa era il ’pilo’ per la Repubblica di Venezia? Chi va a Palmanova lo capisce subito: nella grande piazza centrale una solida base sostiene una alta asta sulla quale ’garriva al vento’, si diceva una volta, lo stendardo con il leone di San Marco. Quello stesso leone veniva rappresentato sugli edifici più importanti e in molti altri posti con le ali ed il libro, a volte aperto e a volte chiuso a seconda della situazione in cui la città si trovava. Ricordava bene chi fosse al potere in quel momento. A Monfalcone quello stendardo rimase dal 1420 fino 1797 quando il Trattato di Campoformido assegnò queste terre all’Austria, sancendo nel contempo la fine della Repubblica di Venezia. Prima di Venezia, però, sul territorio e sulle mura di Monfalcone si innalzava lo stendardo con l’aquila dei Patriarchi di Aquileia. Il potere temporale era stato conferito dall’imperatore Enrico IV al patriarca Sigeardo nel 1077, comunque come vassallo dell’imperatore tedesco. E anche l’antica Roma qualche orma l’ha lasciata sull’odierno territorio di Monfalcone. Le Terme romane, appunto, le ville che si affacciavano sul Lacus Timavi, lungo quella strada che portava ai luoghi sacri delle fonti del Timavo e a quelli rinomati per il vino Pucino, prima di inerpicarsi sul Carso ed andare verso l’Istria.Monfalcone ha visto innalzarsi molte insegne e bandiere. Era un luogo interessante perché contemporaneamente separava ed univa il mondo che stava nella pianura del Po ad occidente con i passi che portavano facilmente verso le terre del Sud Est dell’Europa. Era il luogo dove per secoli si riscuotevano i pedaggi per il passaggio delle merci che entravano in città o ne uscivano dove oggi inizia e termina via Sant’Ambrogio. Erano merci che anche si potevano fermare per dare vita al mercato che diede nome alla stessa località: Neumarkt per la lingua tedesca e Trži? per quella slava.   Ancora una bandiera è arrivata ed è quella che oggi sentiamo come nostra: il tricolore italiano arriva ufficialmente per la prima volta con i soldati che entrano a Monfalcone il 9 agosto 1915 e poi,  stabilmente, dai primi giorni di novembre del 1918. Dopo la fine della seconda guerra mondiale ci sarà su questo territorio ancora uno sventolare di bandiere diverse, a testimonianza di un terribile momento di scontro tra ideali contrapposti, di divisioni e di odio: da quella italiana, in versione con o senza la stella rossa, a quella jugoslava, a quelle inglese ed americana. I potenti della terra di quegli anni decisero infine che a Monfalcone ci sarebbe stata solo la bandiera tricolore della Repubblica Italiana. La piccola città murata non c’è più; affiora da qualche vecchio tratto di mura, da qualche reperto e dalla memoria di chi ha studiato la storia e lo sviluppo urbano del territorio. Monfalcone oggi è ’altro’ da quella narrata nel passato. E’ cresciuta, fondamentalmente per il richiamo del lavoro nel Cantiere navale ed in altre significative industrie che lungo il Novecento si sono insediate sul suo territorio. Fin dall’inizio del secolo scorso vennero a lavorare qui friulani, sloveni, istriani e dalmati. Lo ricordano, se ci facciamo caso, i nomi di molte vie di Panzano. Poi il raggio di attrazione si allargò soprattutto alla Puglia e alla Campania, ma anche ad altre regioni italiane. Infine anche gli attuali confini nazionali sono stati superati e a Monfalcone sono venute a lavorare persone dai Paesi dell’Est, soprattutto Romania, Serbia, Croazia, e negli ultimi decenni dall’Asia, dal Bangladesh in particolare. Le ultime statistiche ci dicono che gli stranieri a Monfalcone sono il 26,3 per cento; come dire più di un quarto della popolazione residente. Tra questi, i residenti provenienti dal Bangladesh si aggirano sul 40 per cento. Una piccola città, poco sotto i trentamila abitanti, con i problemi di una grande città in cui confluiscono persone e famiglie provenienti da diversi Stati, con lingue, culture e religioni diverse. Inclusione, integrazione, dialogo, convivenza, rispetto, sono i termini che ricorrono spesso nelle grandi città europee per capire se e dove si è sbagliato in passato nei confronti di quelle comunità ’straniere’ che andavano formandosi al loro interno. Soprattutto dopo che episodi gravi di terrorismo hanno rivelato che nei ’ghetti’ stranieri facevano presa i semi dell’integralismo politico o religioso. A Monfalcone, negli ultimi anni, ci si pone davanti ai problemi  nell’ottica del recupero dell’identità, facendo di questa un richiamo al passato non senza una certa nostalgia: ’che bei tempi quando…’. Già, ma noi dobbiamo vivere il presente, che non cancella il passato, ma guarda al futuro. Allora è chiaro che l’identità corrisponde a quello che siamo oggi, che ci caratterizza e ci rende unici. Monfalcone, come del resto è stata in passato, è una città in cui sono presenti origini diverse con tutto quello che ciò comporta nelle espressioni di tradizioni, culture e religiosità. Oggi queste diversità sono più visibili che in passato. Questa è la Carta di Identità di cui dobbiamo tener conto. E qui noi, ’vecchi’ abitanti di Monfalcone che ci sentiamo responsabili della vita della città, dobbiamo fare una scelta: o vogliamo salvare l’ipotetica identità del passato o prendiamo atto dell’identità presente e collaboriamo nel costruire quella del futuro. Questa realtà è una vera sfida anche perché, se le tendenze demografiche si consolidassero, potremmo trovarci in una città con una maggioranza di cittadini con origini in altre Nazioni, così come oggi la maggioranza è di cittadini con origini in altri territori italiani di oggi e di ieri. Quale identità costruiamo?   Guardando alla vita delle nostre comunità cristiane, dovremmo prendere atto che anche nel nostro territorio non c’è più la sola, contrastata o meno, fede cattolica. Ci sono in maniera significativa i cristiani ortodossi, delle diverse osservanze nazionali; ci sono altre ’chiese’ cristiane; ci sono i mussulmani, anche loro con diverse appartenenze; ci sono molti che non aderiscono ad alcuna fede religiosa. Fare come se il contesto in cui viviamo non sia diverso da ieri non cambia la nuova realtà. Questa potrebbe però spingerci ad aprire una profonda riflessione su come essere testimoni credibili del Vangelo in questo nuovo contesto, sia come singoli credenti che come chiesa locale.