La tutela della salute: oltre la cura, la prevenzione

Abbiamo due strade per guardare ai problemi che il contatto con l’amianto ha portato in molte case di lavoratori soprattutto a Monfalcone e nel mandamento. Problemi che si traducono in malattie mortali e quindi in sofferenza profonda in tante famiglie. Ben sapendo che le sofferenze non si cancellano, possiamo fermarci al passato, guardando alle responsabilità di chi non ha tutelato la salute delle persone sul lavoro e fuori la fabbrica, alle azioni delle istituzioni pubbliche, sia sul piano delle risposte sanitarie che su quello della solidarietà sociale. Il passato insegna molto, ma fermarsi solo a quello non significa dare piena giustizia a chi ha sofferto e a chi ancora soffre le conseguenze dell’uso dell’amianto in molte produzioni e attività. Una parte del discorso, quello delle responsabilità, è stato ed è all’esame della magistratura. Condanne ci sono già state e i processi continuano anche se il numero degli imputati si è assottigliato per cause naturali. Fare dei temi del passato un uso elettorale può servire a scaldare qualche discussione, ma non aiuta il presente e non affronta la realtà dell’oggi e la prospettiva del domani. Guardare responsabilmente in faccia il problema presente è l’altra strada, quella che possiamo percorrere con la testa in avanti. In occasione della IX Conferenza regionale dell’amianto, lo scorso aprile, il presidente della apposita Commissione regionale dott. Fabio Vassallo ha espresso sul nostro settimanale una valutazione sull’incidenza delle malattie correlate all’amianto nell’area giuliano-isontina: “Negli ultimi anni il numero medio di casi annui si aggira intorno ai 50: è un numero molto elevato considerando che nella popolazione generale questo tumore è estremamente raro, si tratta di una concentrazione di casistica molto rilevante. Sono casi venuti a contatto con un’esposizione all’amianto in un periodo variabile tra i 40 e i 70 anni fa”. A causa dell’amianto, dunque, ci si continua ad ammalare e a morire; molte famiglie hanno bisogno di solidarietà e sostegno concreto; persone hanno necessità di cure, assistenza ed accompagnamento in un percorso che non è affatto facile. Allora, superando anche con tristezza la nostra emotività, è opportuno chiedersi che cosa stiamo facendo oggi sia sul piano sanitario che dell’assistenza a malati e famiglie.Il Centro Regionale Unico Amianto, che ha sede a Monfalcone, dovrebbe assumere il ruolo di riferimento in più occasioni annunciato, ma non ancora realizzato con una dotazione di personale adeguata in numero e competenze. Rispondere ad esigenze e paure di chi è stato esposto all’amianto, in fabbrica o a casa, è un obiettivo da rafforzare attraverso una mirata sorveglianza sanitaria, un sostegno psicologico al malato e a chi vive con lui, una attività assistenziale e sanitaria nel territorio. Cosa richiede tutto questo? Come raggiungere questi obiettivi? È su questo che ’la politica’ è chiamata a ragionare, confrontarsi con i cittadini e prendere decisioni concrete, magari tenendo d’occhio anche le direttive europee in relazione alla questione amianto. La nostra Regione ha scelto da anni di impegnarsi a togliere l’amianto dagli edifici; nel territorio della ex Provincia di Gorizia si è stati pionieri nel decidere di sostituire le condotte dell’acqua potabile in cemento e amianto; nel territorio comunale di Monfalcone si è giunti alla mappatura e alla rimozione dell’amianto dagli edifici. Tutto questo positivo lavoro non basta perché di amianto si continua a morire e chi studia l’andamento della malattia sul territorio ci dice che il picco delle tristi conseguenze dell’esposizione all’amianto è aggiornato attorno al 2030. Non ci si può quindi fermare alle discussioni sul passato. C’è un presente che urge e vuole risposte.      Non è poi di secondaria importanza la valutazione da fare costantemente sulle conseguenze dell’uso dei materiali che hanno sostituito l’amianto, soprattutto nelle fabbriche ed in particolare nel Cantiere navale. Negli ultimi anni ci si è mossi anche in questa direzione, ma l’impegno deve avere una attenzione ed un seguito costanti.E qui il discorso non può che allargarsi perché si rafforza una richiesta di tutela della salute dei cittadini di Monfalcone e del mandamento nella loro globalità. Qualunque sia il nostro personale pensiero sulla produzione dell’energia, pare che per almeno due anni il carbone sarà utilizzato nella centrale di Monfalcone.Nel territorio vi sono importanti insediamenti industriali, c’è un porto che si vuole sempre più allargato in spazi e operatività, c’è un notevole traffico veicolare. Si è sentito parlare anche del possibile insediamento di un impianto per la gestione di una grande quantità di rifiuti. Non sarebbe il caso di aprire una trattativa globale con la Regione e con lo Stato su costi e benefici per una popolazione che vive un territorio sul quale insistono insediamenti ed aziende di rilievo regionale e nazionale che incidono, nel bene e nel male, sulla vita dei cittadini?  Non si tratta di monetizzare un disagio, ma di chiedere investimenti per la ricerca scientifica, per i presidi sanitari sul territorio che operino nella prevenzione e non solo nella cura, per una analisi delle potenzialità e dei limiti di sopportazione dell’ambiente, per programmare una politica industriale che offrendo occupazione, salvaguardi dignità e salute di chi vive e lavora su questo territorio. Anche di questo vorremmo sentir parlare nelle piazze e sui social in vista delle elezioni amministrative del 12 giugno.