Essere una comunità composita consapevole delle differenze

Due ore buone di incontro e di dialogo che ha messo in risalto le non poche difficoltà e ambiguità ma anche le fatiche; un confronto-dialogo che comunque ha fatto conoscere quanto la memoria sia corta e come la storia rischia di ripetersi quando la si dimentica in termini di migrazioni e di integrazione; un incontro nel quale comunque ancora appare notevole e strabordante l’abbondanza di luoghi comuni e di frasi fatte.Al tavolo dell’incontro – presieduto dal sindaco prof. Silvia Altran – erano il giornalista Giovanni Tomasin, Kimani Abdel Majin iman di Monfalcone e il parroco del Duomo don Fulvio Ostroman; la ragione dell’incontro un momento di riflessione alla luce dei fatti di Parigi – tema restato solo sullo sfondo e comunque un pretesto – e in particolare un dialogo fra culture e fra religioni. Alla fine si è trattato appunto di una occasione per una riflessione più modesta con l’unica prospettiva di mettere in fila alcune motivazioni così sintetizzabili: dobbiamo vivere insieme, siamo diversi, questa diversità esige ascolto, pazienza, conoscenza, dialogo e confronto, rispetto reciproco e convivenza nella integrazione.Monfalcone – come è stato ribadito da un intervento – oltre ad avere vissuto una storia di immigrazioni e di integrazioni (sloveni, istriani, meridionali…), vive oggi una condizione che registra una notevole presenza di stranieri: quasi un cittadino su quattro, una presenza comunque di oltre il venti per cento; settanta lingue e una larga rappresentanza di provenienze.Presa d’atto – quest’ultima e la prima – che facciamo fatica a somatizzare, quasi che fosse falsa; presa d’atto che riguarda il passato di migrazione che caratterizza il Paese e le nostre terre (Americhe, Francia e Belgio, Svizzera e Germania, Australia). Dalla difficoltà di capire i fenomeni – comprese tutte le loro componenti – alla carenza di formazione culturale, prima ancora di informazioni e di conoscenze sulla storia e vicende dei popoli, delle loro fedi e religioni, dei loro costumi e criteri di vita. Una ignoranza da vincere appunto con le armi dell’aprirsi, conoscersi e apprezzarsi vicendevolmente.L’alfabetizzazione è il secondo passaggio non semplice e non facile; poi viene il dialogo e l’aggregazione puntando le carte sulla reciprocità – una reciprocità possibile che nasce da condizioni pari non facili da assicurare a tutti i soggetti – e sulla volontà di integrazione nel rispetto delle diversità. La tentazione della colpevolizzazione è presente: nel corso del confronto sono venute alla luce alcuni atteggiamenti non solo poco gentili o poco ugualitari ma anche vere e proprie presunzioni, che possono risultare umilianti per chi è se non messo sotto accusa, viene costretto a giustificarsi perfino a scusarsi.Particolare sensibilità occorre avere – ed è stato al centro del confronto e di qualche proposta alla quale auguriamo continuità – verso la condizione femminile e della donna in una comunità composita e fra la componente di fede mussulmana. Capire la condizione, comprendere le difficoltà ed aprirsi al dialogo, è la strada da prendere; ugualmente per quanto riguardala preoccupazione educativa (figli e giovani in particolare) che merita di essere condivisa, prima ancora o meglio insieme al futuro di lavoro e di occupazione.I fatti di Parigi – oltre che sproporzionati come causa ed effetto – nella loro dolorosa e insopportabile follia oltre che sproporzione, non possono essere invocati se non ad una unanime condanna. Comunque non possono assolvere né giustificazionismi e tantomeno collusioni. Dunque nessuno scontro di civiltà, si è detto e tantomeno però lasciare spazi vuoti dove possono tentare di inserirsi tentazioni terroriste e antiumane. Anche la dimensione religiosa o di fede, spesso evocata a sproposito, abbisogna di una delicatezza di proposta e di accoglienza, di rispetto e di vero e proprio riguardo, sempre.L’incontro, che ha accennato a tutte queste problematiche, ha messo in risalto l’urgenza anche di una vera e propria assunzione di responsabilità: essere se stessi, cittadini e cattolici per chi vive questa dimensione, non significa abdicare a nessuna di queste caratterizzazioni forti ma anzi essere maggiormente capaci, proprio in forza di una identità consistente, di confronto e di integrazione. Nessuna rinuncia, dunque, e nessun abbassamento di tensione; ne andrebbe di mezzo un dialogo sincero ed un confronto esigente nella diversità. Lo scambio nel confronto consente di fare passi avanti oltre che nella conoscenza anche nella collaborazione.Infine, l’impegno della convivenza – rispetto alle esigenze di vivere insieme – rende tutti consapevoli che solo collaborando consolidiamo il futuro; e che già il presente è opera di tutti, degli uni e degli altri, dei monfalconesi e della gente del Mandamento come anche dei lavoratori del Bangladesh e degli altri Paesi, dei credenti e non credenti, di tutti gli uomini e donne di buona volontà.Un destino comune nel quale – è stato intravisto – un territorio ampio di scambio e collaborazione oltre che luoghi (come la biblioteca) di acculturazione. Le componenti della società – e quindi anche le parrocchie – sono chiamate a vivere tutto questo come una vera e propria vocazione.Imparare la lingua italiana, conoscersi reciprocamente (anche la cultura dalla quale proveniamo, oltre che la religione), salutarsi e dialogare con paziente determinazione: ecco la risposta.