“Dio è uno, non crede?”

Sul marciapiede dall’altra parte della strada decine di credenti musulmani lasciano uno dei due luoghi dove, a Monfalcone, si celebra la fine del Ramadan. Vestiti con gli abiti tradizionali camminano lungo la via I maggio dirigendosi, forse ancora un po’ assonnati, verso le loro abitazioni, dove continueranno a festeggiare con una colazione in famiglia o con gli amici.Da questa parte della strada una signora dagli occhi azzurri a domanda risponde “Dio è uno” accennando con il capo verso il basso per sottolineare la sua affermazione.Pochi attimi prima affacciandosi da un negozio, un po’ perplesso, un po’ provocatorio un uomo domanda “Dove sono finiti i veri monfalconesi?”.Il mese lunare del Ramadan quest’anno si è concluso il 14 giugno. La mattina del 15 la comunità mussulmana si è recata alla preghiera in parte nel centro islamico di via Duca d’Aosta, in parte nel cortile dell’ex supermercato Hardi dove da anni si tenta di creare un nuovo centro e dove recentemente l’amministrazione comunale ha bloccato i pianificati lavori di adeguamento e risistemazione.Una fascetta bianca e rossa di segnalazione di pericolo delimita il cantiere interno alle costruzioni, ma, in via I maggio centinaia di fedeli, uomini, bambini e bambine, si sono ritrovati ugualmente, autorizzati dal comune stesso, nel cortile di cemento interno all’aerea.  Un posto separato e riservato alla preghiera delle donne, come la religione islamica prescrive, non è stato possibile prepararlo viste le condizioni dell’area, spiegano, così come, d’altra parte e diversamente rispetto a qualche anno fa, in via Duca d’Aosta. Così, a Monfalcone, la preghiera femminile viene praticata prevalentemente all’interno delle mura domestiche.Intanto nel cortile gli organizzatori più attivi si affaccendano srotolando tappeti, gonfiando palloncini e preparando  un piccolo banchetto di datteri, succhi tropicali e dolci fritti. La preghiera è preceduta da una serie di comunicazioni pratiche. Mentre l’Imam parla c’è un via vai confuso di persone, di ritardatari che si presentano trafelati con il tappeto da stendere appoggiato alla spalla, di scarpe abbandonate alla rinfusa che verranno inevitabilmente schiacciate alla fine della cerimonia .Improvvisamente l’atmosfera si fa più tranquilla ed inizia la preghiera.È il momento del silenzio e della concentrazione, dei gesti e delle parole codificate, dell’ “Allah akbar”, delle genuflessioni e dei bambini divertiti in piedi ad osservare, con espressione furba, tutta quella composizione di schiene colorate che ad un certo punto si chineranno a terra.Al di là del cancello, insieme ai vigili urbani spunta qualche curioso. Fra di loro la signora con gli occhi azzurri osserva la preghiera. È una signora elegante, ma un po’ dimessa. Indossa una gonna, una camicia e un cardigan leggero, tutti nei toni chiari che vanno dal celeste al bianco. I capelli tagliati corti sono anch’essi candidi.  Porta una borsetta appesa all’avambraccio e ha la posizione un po’ curva di chi ha qualche dolore di troppo che lo tormenta.La preghiera sta per concludersi. In quel momento lei traccia il segno della croce davanti a se, un po’ distante dal corpo, ricordando quasi la benedizione impartita dal sacerdote e, lentamente, si allontana. Il significato del gesto non risulta chiaro a chi guarda. È un’affermazione di fede, ma di un’altra fede e la decisione e serietà con cui è stato compiuto lo fa sembrare quasi un giudizio. Ortodossia contro ortodossia o  semplicemente un altro codice? È un momento.Improvvisamente il cortile si riempie di un vociare festante. Abbracci e baci accompagnano gli auguri per la festa. Alcuni si mettono in fila per scambiare qualche parola con l’imam; altri si congelano in posa per un selfie da spedire chissà dove. Qualcuno rompe simbolicamente il digiuno mangiando un dattero e altri si avviano in bicicletta o a piedi per tornare a casa. Qualche centinaio di metri più avanti il signore con l’espressione perplessa, si affaccia dal negozio chiedendo informazioni ai passanti sulla loro ’’monfalconesità’’ nel desiderio di tracciare con chiarezza un confine. Lo spingono però a rientrare, anzitempo, tre bengalesi, un uomo e due bambini che hanno attraversato la strada in vena di acquisti alimentari proprio nel suo negozio. A pochi metri la signora distinta si è fermata sul marciapiede. L’espressione è neutra, di difficilissima lettura. Come spesso accade troppe supposizioni, nessuna risposta. È arrivato il momento di chiedere il perchè di quel segno della croce. Il suo viso cambia, si rasserena, come se da molto aspettasse quella domanda.La sua è una risposta secca, decisa, semplice. “Dio è uno, semplicemente lo si prega in modi diversi” lo sguardo è diretto e fermo, ma quasi divertito ” Non crede?”.