Dai numeri alcuni indizi per percorrere nuove strade

I dati  demografici e statistici – riguardanti la partecipazione ai sacramenti di alcune parrocchie del decanato e soprattutto del centro di Monfalcone e quelli di Ronchi – sono insieme eloquenti e impegnativi. Offrono alcune opportunità di confronto con il passato recente e non solo; esplicitano situazioni pesanti e cambiamenti notevoli; indicano le prospettive per il futuro. Non sono tutto, perché si deve aggiungere subito che molti confronti sono impossibili o anche solo impertinenti, a causa della mobilità, delle trasformazioni di abitudini e sensibilità; di più, la territorialità è stata sempre scarsamente rappresentativa, ora diventa troppo aleatoria; la disaffezione a relazioni comunitarie costituisce un dato certo; per molti  prevalgono la casualità o ragioni affettive o di  lavoro.Diventa indispensabile – da parte della comunità cristiana – accettare la certificazione della perdita di valore della fede e della pratica religiosa, perfino della testimonianza. Accettare cioè che – pur essendo assai significativi e rilevanti i contenuti – i cristiani e la Chiesa  costituiscono una minoranza. E così anche la fede. Minoranza non di scarso valore, ma sempre minoranza. E di questo parlano i numeri che sono tali da tanto tempo anche se qualcuno non ha voluto prenderne atto.

Minoranza  ma non di scarso valoreLa ricerca delle cause che hanno determinato la situazione è ardua; l’esame statistico e sociologico deve necessariamente allargarsi come del resto l’esame di coscienza che impegna la comunità cristiana ad interrogarsi in modo coraggioso e severo sulle cause della situazione. Appaiono in crisi – oltre a causa delle trasformazioni in atto  nella società – anche la trasmissione della fede che non può che avvenire per comunicazione e relazione tra persone, non per organizzazione di incontri catechistici. Tanto impegno – come tanta fatica e lavoro – per la organizzazione della catechesi mostra limiti: la comunicazione della fede non può essere solo dottrinale. Facciamo, tutti, fatica a promuovere una catechesi permanente, molto più difficile ed impegnativa, che sappia allestire un percorso di fede, che può garantire continuità e ritmo non sui contenuti dottrinali ma sugli atti di fede da vivere e compiere. Di più, la comunità ecclesiale rappresentata dalle parrocchie – privata dell’impegno della famiglia (e non solo) di trasferire il messaggio cristiano, la fede ma anche la preghiera e la partecipazione liturgica – risponde come può per carenza di formazione e di mezzi e strutture adeguate; molto di quello che creava il contorno di abitudini e usi è spaurito perché esausto; il vincolo associativa non capito e disatteso, ha fatto il resto; la difficile pratica della vita, scarsamente servita preferendo identità ideologiche, spesso solo formalistiche, appare assente. Le varie declinazioni della formazione e della catechesi finiscono per non lasciare segno, sparite nel nulla di una vita ecclesiale sfilacciata e priva di entusiasmo e vivacità

La difficoltà di ancorarsi alla Parola di DioAlla crisi della catechesi – del tutto spaesata di fronte al nuovo contesto culturale e alle pratiche della vita priva di ogni senso cristiano – si accompagna la scarsa propensione (forse manca il coraggio) ad ancorarsi non alle tradizioni o alla simbologia, ma alla Parola di Dio letta ed interpretata nella concreta attualità della vita delle persone, anche dei piccoli. Il ricorrere continuo  agli aspetti devozionistici della fede piuttosto che alla cultura della testimonianza e della coerenza della fede, impoverisce ancora di più le pianticelle seminate la tendenza alla burocrazia piuttosto che  alla dimensione evangelica della fede, fanno il resto. In questo spaesamento totale, certamente un ruolo rilevante è occupato dalle trasformazioni del lavoro e della organizzazione della vita familiare e paesana; molto influiscono le mode culturali e le nuove-vecchie abitudini che hanno invaso tutti i campi, coinvolgendo le persone e le famiglie più o meno allargate, la scuola.Il Concilio, non attuato e poco preso in considerazione nella urgenza delle sue richieste, aveva già 50 anni fa messo tutti in guardia sulla decomposizione di una fede e pratica cristiana fondata su castelli di sabbia e su verità ideologiche alle quali non si sa dare spiegazione. L’eccesso  di messaggi moralistici auto referenziali, come di pratiche a limite della provocazione e di segni che hanno perso il loro valore emblematico, hanno eroso ogni terreno educativo; soprattutto, la separazione tra fede e vita ha creato uno iato che ora paghiamo sonoramente. Non si tratta solo di incongruenze testimoniali che restano il marchio umano e cristiano o di inadempienze formali.

Un progetto di fede e di ChiesaI dati statistici (tutti insieme e separati) parlano di un tratto di strada dove si manifestano iniziative cariche di tanta buona volontà ma forse troppo spesso ripetitive e carenti di intuizione pastorale. La  ricerca di risposte coinvolgenti e impegnative, ha bisogno di passione e di terminazione; capaci di allargare il raggio della formazione secondo i connotati di una teologia laicale e di una prassi evangelica. Paghiamo i fallimenti non di progetti pastorali, ripetitivi e ritentati spesso con scarsa fiducia e determinazione; esso hanno bisogno di un saggio riconoscimento della condizione di vita delle persone e delle famiglie come anche delle esigenze che il Concilio aveva fatto emergere in merito ad un autentico progetto nuovo di fede e di Chiesa. Il disappunto per la debacle non deve ribaltarsi contro i “piani” (qualche volta troppo cartacei) ma sul tradimento di una linea conciliare in nome del perbenismo, della burocrazia ingegneristica; soprattutto della sfiducia verso tutto quello che sa di profetico e di battaglia controcorrente. La settorializzazione della pastorale (lavoro,salute, ragazzi, giovani, famiglie, adulti…preti) ed un tocco di “spiritualizzazione”, hanno fatto il resto.Torna di attualità, allora,  l’invito alla “conversione pastorale” che non può essere solo la organizzazione o la architettura organizzativa; paghiamo lo scotto di una formazione solo dottrinale e asettica rispetto ai temi (che sono poi urgenze!) vitali ed educativi; utilizziamo un linguaggio che, invece di fissarsi sui  contenuti, si preoccupa dei mezzi. Non ultimo – anche se qualcuno parla di disco rotto…- è venuta meno l’attenzione alla dimensione socio culturale e politica della vita, capitolo che non appartiene più al credo e alla prassi cristiana della vita.Tanto meno della dottrina della Chiesa nel sociale, totalmente abolita.