“La mafia esiste ancora. Anzi è più forte”

È un Kulturni dom stracolmo di gente quello che accoglie don Luigi Ciotti, il fondatore e presidente di Libera. Entra nella sala accompagnato dal prefetto Massimo Marchesiello e viene salutato con un grande applauso. Sorride e alza la mano in segno di saluto verso il pubblico. Sul volto la stanchezza di una giornata intensa tra discorsi e incontri. Come tante altre di cui è piena la sua agenda. Ma parlerà a braccio per oltre un’ora, un intervento a 360 gradi appassionato che tiene il pubblico inchiodato sulla poltroncine fino alla fine. La mafia è l’argomento principale, ma non disdegna di allargarsi ad altri temi sociali e di attualità. Erano11 anni che don Ciotti mancava da Gorizia. Anche allora fu in occasione di un incontro nell’ambito della festa dei patroni Ilario e Taziano.Ma la sua presenza da noi è ancora più datata quando Luigi Ciotti era solo un seminarista che muoveva i primi passi in quel di Torino per aiutare i giovani “schiavi” della droga, i disadattati, i ragazzi rinchiusi nel carcere “Ferrante Apporti”. “Sono contento di essere qui a Gorizia”, ricordando come già nel 1971 aveva avuto i primi contatti e dove a Cormons era sorta, nell’ambito della parrocchia, una iniziativa a sostegno del Gruppo Abele che don Ciotti aveva fondato qualche anno prima a Torino. In quella prima metà degli anni Settanta frequenti erano le sue presenze sul nostro territorio e i suoi ricordi sono ancora vivi e precisi; ci tiene spesso, quando ne ha occasione, l’incontro con il vescovo Cocolin.E c’è anche un po’ di Gorizia nella nascita di Libera. Lo ha rivelato lo stesso Ciotti nel suo intervento ricordando come  due mesi prima della morte di Falcone aveva partecipato nella nostra città, assieme proprio al magistrato palermitano, a un corso organizzato dai sindacati di polizia sulle dipendenze dalle droghe. “Ero poi in Sicilia per un corso ai docenti quel 23 maggio 1992 quando a Capaci ci fu l’attentato in cui morirono Falcone, la moglie e gli uomini della sua scorta – ha ricordato – come ero a Palermo il 19 luglio di quello stesso anno quando uccisero Borsellino”. Ciotti questi tre episodi li ha visti come un segno e da lì è nata in lui “l’idea di non lasciare sole le persone in quella terra di Sicilia. Lì nasce la volontà di fare rete”. Ed è nata Libera. Oggi l’associazione, che lotta contro le mafie e corruzione per la giustizie sociali, mette in rete 1600 organizzazioni, è presente su tutto il territorio italiano in 20 coordinamenti regionali, 82 coordinamenti provinciali e 278 presidi locali. Sono 80 le organizzazioni internazionali aderenti al network di Libera Internazionale, in 35 Paesi d’Europa, Africa e America Latina.Sono passati quasi 27 anni dalla morte di Falcone e Borsellino, ma la mafia esiste ancora, anzi è più forte. “C’è stato allora, nel 1992, una risposta forte e chiara da parte dello Stato – sostiene Ciotti -, ma la mafia è cambiata, ha avuto ampie trasformazioni, ha adottato modelli di azione più complessi e multiformi. Non si spara più, se non in alcune zone del Napoletano,  ma l’obiettivo è sempre quello di fare soldi, affari”. Oggi constatiamo un progressivo allargamento delle mafie: “nessun territorio è immune” dichiara il fondatore di Libera. E ancora: i profili organizzativi sono mutati, sono più reticolare, ci sono maggiore  vocazione imprenditoriale e più autonomia decisionale.Si sono allargati anche i campi di azione: oltre al traffico di droghe (i consumi sono aumentati rispetto a 30 anni fa) e al settore immobiliare, le mafie hanno messo mano sul business dei rifiuti e sul traffico dei migranti “inquinando anche coloro che operano in modo corretto”. Operano con disinvoltura nel campo finanziario con grandi investimenti. “E poi c’è l’ampia zona grigia – sottolinea Ciotti – dove le mafie si collocano tra il lecito e l’illecito, tra  la politica, l’imprese e le istituzioni “.Non ci sono più isole felici,Oggi si sciolgono consigli comunali perché inquinati dalla mafia anche in Piemonte e Lombardia. Nessuna regione è immune. Nemmeno la nostra. Lo testimoniano i dati snocciolati da Marina Osenda, coordinatrice di Libera in Friuli Venezia Giulia, dove sono stati 55 i beni confiscati perché legati ad attività mafiose. Ma la percezione dell’esistenza di mafie in regione è molto bassa, il 44% degli intervistati sostiene che la presenza è marginale e il 43% ritiene la corruzione poco diffusa.  E come ha sottolineato il prefetto Marchesiello “bisogna tenere un’attenzione elevatissima” perché  dobbiamo renderci conto che anche nel nostro territorio si allungano le mani della mafia. Legalità. Altro vocabolo che va di moda di questi tempi. “E’ una bandiera  da tutti sbandierata – la voce di don Ciotti si fa più decisa -, il nostro obiettivo è la giustizia. La legalità è lo strumento per arrivare alla giustizia, che per noi deve essere una giustizia sociale. Legalità è la saldatura tra la responsabilità che è l’io e la giustizia che è il noi”.Don Ciotti sottolinea, e insiste più volte, sulla parola responsabilità. “Come dice papa Francesco dobbiamo prenderci cura delle fragilità  delle persone; c’è bisogno di speranza  etica pubblica e dobbiamo alimentare con il proprio impegno responsabile  il bene comune. Dobbiamo metterci in gioco”. E citando i dati recenti del Censis sottolinea come  oggi “l’Italia è impaurita e disgregata, il 63 per cento vive di solitudine, stiamo arretrando in quanto a istruzione e formazione, mentre la cultura è importante perché crea le coscienze e stimola la costruzione”.Nel suo lungo intervento, più volte sottolineato da applausi, don Ciotti ha ricordato le vittime illustri della mafia, dai giudici Falcone, Borsellino e Livatino, ai sacerdoti don Peppino Diana e don Pino Puglisi, a Lea Garofalo, ma migliaia sono state le vittime per mano di mafia, camorra e ’ndrangheta. Un elenco lungo, ma non ancora completo, ha affermato don Ciotti. E così è nata la Giornata della memoria e dell’impegno per ricordare tutte le vittime della mafia, giunta quest’anno alla 24.ma edizione. Una iniziativa nata nel 1993, un anno dopo la strage di Capaci. “Ero presente a Palermo a quel primo anniversario – racconta don Ciotti –  e vicino a me c’era una donna  vestita di nero, con le mani giallastre e i calli nelle mani, gli occhi pieni di lacrime e a un certo punto esclamò ’perché non dicono il nome di mio figlio’. Era Antonia Mortinaro, veniva dalla Puglia, era la madre di uno degli agenti della scorta uccisi”. Si citano sempre Falcone, la Morvillo, Borsellino ma loro sono solo gli uomini della scorta. “E allora si decise di istituire la giornata per ricordare nome per nome tutte le vittime della mafia”. Quest’anno la sede prescelta è stata Padova, in mezzo a un Nord Est dove i tentacoli delle mafie sono sempre più lunghi. Don Luigi, nella stessa sala del Kulturni dom, il giorno successivo ha parlato anche ai giovani studenti, che ha invitato a essere  protagonisti del cambiamento. “I giovani ci sono – ha detto -, sono aperti alla vita, sono animati da inquietudine positiva ma hanno bisogno di concretezza.  Voi giovani non dovete temere per la vostra fragilità: prendere coscienza della  nostra fragilità  ci rende forti. La vita non ha bisogno di navigatori solitari, oggi il cambiamento ha bisogno di ciascuno di voi”.