I nostri tre doni al Bambino di Betlemme

Domenica scorsa, l’arcivescovo Carlo ha celebrato l’Eucarestia nella chiesa di Sant’Ignazio.Pubblichiamo di seguito i passi centrali della sua omelia.

“Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”.Salvo errore l’unico episodio, ricordato nei Vangeli, in cui Gesù riceve dei doni da parte di qualcuno è questo, in cui i misteriosi personaggi giunti dall’oriente, offrono dai loro scrigni oro, incenso e mirra al Bambino di Betlemme. Può sembrare strano, ma in altre pagine del Vangelo non si dice mai che qualcuno doni qualcosa a Gesù, almeno per ringraziarlo per i miracoli ricevuti. Si può forse solo accennare al profumo che alcune donne versano ai suoi piedi o sulla sua testa in segno di affetto.Offrire dei doni al Signore. Mi sono domandato: perché non potremmo portarli anche noi al Bambino Gesù? E se facessimo una delegazione della nostra Chiesa diocesana da inviare a Betlemme, che doni le affideremmo da consegnare al Signore? Una delegazione, che, senza che i Magi se ne accorgano, si inserisse dentro la carovana che sta andando a Betlemme seguendo la stella e che dopo i Magi, sbucando da dietro i cammelli, si inginocchiasse davanti al Bambino per offrirgli i doni della Chiesa di Gorizia…Certo, se dovessimo andare su doni di carattere materiale ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta: una cassetta di “rosa di Gorizia”, un paio di bottiglie del vino del Collio, un cesto di pesce fresco di Grado…? E, se Betlemme fosse sul mare, una nave di crociera costruita a Monfalcone o almeno un modellino con cui il Bambino Gesù potesse giocare, magari andando in gita al lago di Genesaret una volta trasferitosi con la famiglia a Nazareth … Tutti doni simpatici, ma penso che il Signore si attenda da noi altri regali, più legati alla nostra vita cristiana. Quali potrebbero essere? Doni nostri e non generici, autentici  e veri e non solo immaginati o sognati. Ci ho pensato a lungo e ne ho trovati tre.Il primo dono che potremmo offrire al Signore è la capacità di commuoversi di fronte al bisogno dell’altro che molti cristiani, anche qui da noi, hanno saputo conservare. Molti cristiani, ma anche molti uomini e donne non credenti o di altre religioni, perché la commozione di fronte a chi è soffre ed è in difficoltà non è per fortuna un’esclusiva del cristiano. Commuoversi vedendo chi ha bisogno. Una commozione spontanea, immediata, reale. Una commozione – potremmo dire – “a prescindere”, a prescindere cioè se l’altro è buono o malvagio, conosciuto o sconosciuto, italiano o straniero, simpatico o indisponente, giovane o anziano, uomo o donna, povero o ricco,… E’ in difficoltà e questo basta perché il nostro cuore si commuova. Sembra poca cosa  la commozione e certamente non basta se poi non passa, per quanto possibile, all’azione. Ma è decisiva. Perdere la capacità di commuoversi direi quasi automaticamente di fronte al bisogno dell’altro, vuol dire incamminarsi sulla strada dell’egoismo, della chiusura, dell’esclusione e del disprezzo dell’altro. In una parola della cattiveria. E oggi purtroppo la cattiveria non manca e prende la forma becera del dispetto in gesti e parole verso il povero o quella più raffinata e pericolosa di contrapporre i poveri tra loro. Una forma usata dai potenti e dai ricchi che trovano comodo far passare l’idea che dare a tutti i bisognosi vuol dire togliere a qualcuno di essi. Meglio allora dividerli in categorie e metterle l’una contro l’altra, invece di porre a disposizione, se necessario, più risorse togliendole a chi ne ha fin troppe… La commozione verso il povero e il sofferente è il miglior antidoto alla cattiveria. Per questo è un bel dono per il Bambino Gesù. Del resto quante volte Lui, diventando adulto, si commuoverà davanti alla folla, vedendo i poveri e i sofferenti… Dobbiamo imitare la sua commozione.Un secondo dono che potremmo portare a Betlemme è la preghiera. Non sempre appare all’esterno, ma c’è ancora tanta gente che prega, che si confronta ogni giorno con la Parola di Dio, che tiene viva dentro di sé un riferimento continuo e autentico a Dio. E non sono solo coloro che vengono a Messa alla domenica. La preghiera è tenere aperto un canale non solo tra chi prega e Dio, ma tra tutta l’umanità e il suo Creatore. Perché si prega sempre anche per e con chi non sa pregare, non ci riesce, si è dimenticato di Dio travolto dalle vicende della vita o dissipato dalla molte distrazioni di oggi. La preghiera è sempre preghiera di intercessione per tutti, non è mai solo per noi. La preghiera perché si compia la volontà di salvezza di Dio verso l’intera umanità.C’è infine un terzo dono da affidare alla nostra delegazione incaricata di andare dal Bambino Gesù. Ed è il dono della coerenza cristiana nei diversi ambiti della vita. Detto con altre parole, non tanto l’esibire di essere cristiani, ma il non nascondere di esserlo e vivere, pur con i nostri peccati e le nostre debolezze, in coerenza con il Vangelo. Non nasconderlo in famiglia, nel gruppo di amici, sul lavoro, a scuola, all’università, nelle relazioni sociali,… Non nasconderlo, anche se a volte ti prendono in giro perché frequenti la chiesa o cerchi di vivere certi valori: “Ma come, sei grande e vai ancora a fare il ministrante? Sei un uomo e ci credi ancora alle cose dei preti? Vuoi andare a Messa questa domenica, ma siamo in gita, lascia perdere…! Sei sposata da trent’anni e non ti sei ancora stancata di quel fannullone di tuo marito? lascialo, sei ancora carina e divertiti… Ma perché insisti nel fare le cose corrette? non stai esagerando?, non vedi che tutti qui in ufficio si arrangiano?…”. La testimonianza e la coerenza della vita cristiana. Ecco un terzo dono da portare a Betlemme come comunità cristiana della nostra diocesi.Mi piacerebbe, però – ed è un invito che faccio a tutti, cominciando da me stesso – che ciascuno di noi pensasse oggi non a tre doni, ma anche solo a un dono personale da portare al Bambino Gesù. Un dono vero, nostro, da offrire mossi da ciò che è presente dal profondo del nostro cuore. Un dono che solo noi e il Signore conosciamo, come un segreto tra noi e Lui. Ma forse è giusto che faccia un’eccezione a questo e vi dica il mio, solo per offrirvi uno spunto. E in fondo il vescovo è una persona pubblica. Io vorrei portare a Betlemme la mia povertà, i miei peccati, le mie fragilità ma insieme il desiderio di amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze e di servirlo nella Chiesa. Almeno il desiderio perché la realizzazione è un’altra cosa. Ma penso che al Bambino Gesù piacciano anche i nostri desideri…