Gorizia, chi sei? chi vuoi essere?

La città di Gorizia ha celebrato solennemente mercoledì scorso i propri patroni, i martiri aquileiesi Ilario e Taziano. L’arcivescovo Carlo ha presieduto la solenne eucarestia in cattedrale concelebrata dai parroci e dai sacerdoti in servizio pastorale nel decanato. In serata in cattedrale si è svolta la cerimonia di consegna del premio “Ilario e Taziano 2016” ad Alessandro Arbo seguita dall’esecuzione della “Passione secondo San Giovanni” di J. S. Bach, per coro, soli e orchestra dell’”Univerza v Ljubljani Akademija za glasbo”.Pubblichiamo di seguito i passi centrali dell’omelia pronunciata dal vescovo Carlo.Millesettecentotrentadue anni ci separano dal martirio dei nostri patroni. Durante i secoli le diverse generazioni che in questo territorio si sono succedute nel tempo e che da un certo punto in poi si sono identificate quasi del tutto con la fede cristiana, hanno riconosciuto in Ilario e Taziano i loro patroni e un modello di fedeltà al Vangelo. Quel Vangelo che è sempre lo stesso da duemila anni e ripropone a ogni generazione l’invito a seguire Gesù: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Un invito impegnativo, che chiama a cambiare modo di pensare e di agire, che propone come valore ciò che umanamente è apparentemente disvalore cioè la croce. Eppure pur proponendo il paradosso della croce, il Vangelo non ha cessato e non cesserà di esercitare un particolare fascino su ogni uomo e su ogni donna, credente o no. Il fascino di una proposta di vita estremamente esigente – fino al martirio, appunto – ma vera, autentica, in sintonia con le aspirazioni più profonde presenti nel cuore di ognuno. Anche chi non crede esplicitamente in Gesù, sa quanto sono importanti per la costruzione della comunità umana, valori quali la pace, la giustizia, il servizio, la dedizione, l’onestà, la misericordia, la riconciliazione.Alla luce di questi valori, sperabilmente condivisi, ogni generazione nel tempo breve che le viene messo a disposizione e nella consapevolezza delle sue umili e fragili forze, ha la grande responsabilità di costruire oggi e qui una città degna dell’umanità, continuando l’impegno delle generazioni precedenti e aprendosi all’apporto di quelle future.Che cosa può portare la Chiesa di Gorizia come offerta a questa responsabilità comune? Certo, il Vangelo. L’impegno dell’annuncio e della testimonianza della bellezza, della forza e della verità del Vangelo deve essere prioritario per le comunità parrocchiali della nostra città, rispetto a tante altre iniziative e attività. Ma il Vangelo va accolto e declinato nella concretezza della vita e nella prospettazione di un cammino comune. Da sempre la Chiesa non ha semplicemente ridetto il Vangelo, ma ha cercato, a partire da esso e in un dialogo con tutti coloro che, anche muovendo da visioni religiose e filosofiche diverse, hanno comunque a cuore il bene dell’umanità, di evidenziare idee, intuizioni, valori, impegni concreti per una crescita comune. L’enciclica Laudato sii di papa Francesco sulla salvaguardia del creato è uno degli ultimi esempi di quanto vado dicendo. Il Papa lo afferma in modo esplicito: “In questa Enciclica, mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune” (n. 3).Proprio con l’intento di offrire qualche spunto per una riflessione e un dialogo riguardo alla nostra casa comune, che è la nostra città, e consapevole del tempo ristretto di un’omelia, vorrei utilizzare un’immagine che la Bibbia applica spesso alla città, cioè quella femminile. La città, in particolare Gerusalemme, che però nel bene e nel male è considerata simbolo di ogni città, è paragonata a una donna: lei è la “figlia di Sion”. Di volta in volta viene presentata come una bambina curata da Dio fin dalla nascita; come una giovane bella e avvenente sposata a Dio, ma spesso sedotta dagli dei pagani o addirittura diventata prostituta; altre volte è descritta come una madre gioiosa perché ricca di figli o, al contrario, piangente e in lutto per le morti e le disgrazie che l’hanno colpita o anche come una donna sterile che non può avere figli e a cui il Signore però dà il dono di diventare madre. Questa multiforme immagine, applicata alla nostra città, permette di riflettere in modo sintetico e unitario su di essa, in particolare sulla sua identità. Il problema, infatti, di Gorizia non è questo o quell’altro… Ci sono ovviamente le varie questioni più o meno impegnative e complesse. Ma diversamente da altre città, la nostra sente e dovrebbe sentire con forza la domanda: “chi sei? chi vuoi essere?”. Un interrogativo a cui spesso ho sentito rispondere a nome di Gorizia non spiegando “chi sono” o “chi spero di diventare”, ma “chi ero” o “che cosa avrei potuto essere se…”. Occorre invece non eludere la domanda: “chi sono” e “chi potrò diventare”, senza ovviamente partire da zero, certamente con i pesi ma anche con le grandi opportunità che la storia – e anche la geografia – offre a questa città.    Prendendo allora in prestito dalla Bibbia l’immagine femminile della città, penso che possiamo concordare sul fatto che Gorizia non può essere paragonata a una giovane e promettente fanciulla. Ci piacerebbe…, ma anche solo l’andamento demografico di questi anni non lascia spazio a illusioni. Un domani, chissà…: i miracoli sono sempre possibili. Ci sono invece due immagini, due età della vita che Gorizia può ancora scegliere come propria identità: quello della donna matura ma ancora nel vigore delle forze e capace di generare o comunque di accogliere figli e quello della donna anziana che progressivamente si chiude alla vita. Forse la strada più semplice e più ovvia per Gorizia – diciamocelo con sincerità mista a dispiacere – è quella di rassegnarsi a una dignitosa vecchiaia. Essere simile a quelle signore anziane che vivono con decoro la loro età, che sono sempre vestite bene, in ordine anche se non più alla moda, che non escono mai senza un filo di perle al collo, un tratto di rossetto sulle labbra e una spolverata di cipria sulle guance e l’immancabile borsetta nera. Persone che progressivamente si chiudono in se stesse, perdono attività e amicizie, ma non vengono meno alla loro fierezza.Più impegnativo per la nostra città è reagire con realismo ma anche con fiducia verso la vita, come una donna matura e ancora vigorosa, affrontando le proprie responsabilità anche se non si hanno più vent’anni, offrendo speranza ai più giovani, accoglienza e opportunità di lavoro e integrazione a chi viene dal di fuori, ribellandosi al muro che l’ha divisa per tanti anni (e che, se anche è distrutto fuori, è ancora dentro nella testa e nel cuore) e costruendo invece rapporti e iniziative comuni, valorizzando la ricchezza di lingue e di culture, impiegando al meglio le risorse di imprenditorialità, operosità, solidarietà e volontariato che ancora esistono più di quello che sembra.Difficile? Pia illusione? Lascio a voi la risposta, ovviamente non tirandomi fuori né come cittadino ormai da più di tre anni di Gorizia, né come pastore di una comunità cristiana goriziana.Vorrei concludere con una bellissima immagine del profeta Isaia, un invito che vale anche per Gorizia, che possiamo accogliere confidando nell’intercessione dei nostri Santi Patroni: “Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio, allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti, poiché ti allargherai a destra e a sinistra e la tua discendenza possederà le nazioni, popolerà le città un tempo deserte. Non temere, perché non dovrai più arrossire; non vergognarti, perché non sarai più disonorata; anzi, dimenticherai la vergogna della tua giovinezza e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza” (Isaia 54,2-3).

† Vescovo Carlo