Enrico Rocca, figura da riscoprire

Non possiamo quindi dimenticare un avvenimento brutale come la deportazione degli ebrei goriziani, in buona parte vecchi e malati, che vedevano nella loro tarda età un baluardo contro la violenza nazifascista, poiché il male, rappresentato qui dalla più completa indifferenza nei confronti degli altri esseri umani, considerati semplicemente e spaventosamente materiale da eliminare, è un fattore sempre presente nell’animo umano ed è proprio contro il male, nelle sue più diverse sfaccettature, che dobbiamo continuare a combattere.La ricorrenza del 23 novembre dovrebbe quindi essere un momento di riflessione su questa tematica, ma anche un momento di approfondimento della storia della comunità ebraica goriziana che, se effettuato oggettivamente, consente di capire meglio la città di oggi.Credo che la figura di Enrico Rocca  (Gorizia 1895-Roma 1944) sia emblematica per la storia goriziana della prima metà del Novecento.Certamente questo nome a Gorizia non significa niente. I più informati si ricorderanno forse di una via Rocca nel quartiere Montesanto, immagino però che tutto si fermi lì.Le vicende umane di questo vivacissimo ebreo goriziano, morto suicida a Roma nel 1944, sono emerse dalla polvere del tempo da una decina d’anni, rimanendo però note nel ristretto gruppo degli intellettuali che si occupano della cultura di Trieste e dintorni tra le due guerre mondiali. E’ stato persino dimenticato dal grande convegno di tre giorni che si è svolto a Ferrara all’inizio di Ottobre e che riguardava l’Ebraismo del Friuli Venenzia Giulia, organizzato dalla fondazione museo nazionale dell’Ebraismo italiano.Immagino e spero però che Claudio Magris, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro (Non luogo a procedere), riesca a rendere effettivamente nota la figura di questo ebreo goriziano ad un pubblico più ampio.Intanto mi par giusto  ricordarlo finalmente nella sua città, perché è una delle componenti ignorate del suo passato recente.Come la città di Gorizia infatti anche Enrico Rocca tra il 1922 e il 1938 vede svalutarsi tutti i valori sui quali poggiava la sua formazione umana.Figlio di un ebreo italiano e di una goriziana “doc”, BiceGentilli, cresciuto negli ultimi anni della Gorizia multiculturale, come altri membri dell’alta borghesia del Litorale, perfettamente conscia dell’imminente crollo dell’Impero, si reca in Italia (a Venezia) per il completamento degli studi. Lì viene affascinato dalla vivacità della vita politica e decide quindi di arruolarsi volontario nell’esercito italiano. Ferito due volte proprio sul fronte dell’Isonzo trascorre la convalescenza a Roma dove decide di stabilirsi. Collabora con vari giornali tra i quali anche “Il popolo d’Italia”, diretto da Mussolini. Come altri giovani viene attratto dal Fascismo della prima ora e, inviato della testata mussoliniana, partecipa nel 1924 ad una crociera in Sudamerica organizzata dal regime. Questo è il primo dei tanti viaggi dai quali nasceranno articoli e libri e che gli consentiranno di conoscere diverse personalità e di distanziarsi lentamente dal giornalismo politico e da un’Italia che sempre meno corrisponde alle sue aspettative. Decisivo per la sua evoluzione intellettuale è l’incontro con Stefan Zweig, finissimo letterato vienennese, autore di quel “Mondo di ieri”, dove Rocca si sente perfettamente a suo agio. Inizia quindi la sua attività di germanista, scrittore e traduttore, rispondente probabilmente al bisogno profondo di reagire positivamente allo choc per il crollo di tutti i valori che lo avevano formato. Ma l’anno delle leggi razziali sconvolge atrocemente anche questi tentativi: Zweig è costretto ad abbandonare l’Austria trovando rifugio in Inghilterra (morirà poi suicida in Brasile), Rocca rimane a Roma, ma può continuare a scrivere solo usando pseudonimi e, alla fine, viene colpito dalla  morte letteraria.Nel 1940 torna in visita a Gorizia e nel suo diario annota “alla bonaria popolazione autoctona s’è andata aggiungendo una spuria… mescolanza piccolo-borghese d’agenti, funzionari… che si crede in colonia e sindaca e spadroneggia. … L’oppressione totale di un regime che si pretende identico alla patria… ha fatto impallidire il ricordo delle senili e inefficienti vessazioni dell’Austria e Francesco Giuseppe, in confronto ai nuovi despoti, rischia d’apparire un grande imperatore liberale”.Dopo la destituzione di Mussolini Rocca può tornare finalmente al giornalismo, divenendo direttore del “Il Lavoro italiano”, incarico che accetta con grande entusiasmo. Tale attività dura sfortunatamente pochissimo, poiché dopo l’8 settembre 1943 si ritrova a dover fuggire in Molise per sottrarsi agli occupanti tedeschi per poi passare a Napoli e collaborare alla radio americana. Liberata Roma vi fa ritorno, ma viene denunciato come fascista. Il 20 luglio del 1944 Enrico Rocca si getta dal quarto piano del palazzo in cui risiede.