Don Luciano, prete esule fra i goriziani

Il 5 gennaio di cinquant’anni fa rendeva l’anima a Dio don Luciano Manzin, sacerdote che per circa vent’anni esercitò il proprio ministero nella nostra città a favore degli esuli giuliano-dalmati.Don Luciano era nato ad Albona d’Istria il 13 dicembre 1911 e dopo gli studi teologici viene ordinato presbitero nel 1938 dal vescovo di Parenzo e Pola mons. Trifone Pederzolli, andando ad esercitare per sette anni il ministero di vicario cooperatore nello stesso duomo di Pola. Dopo un breve periodo trascorso a Rovigno vennero gli anni burrascosi del secondo dopoguerra che per il trattato di pace firmato fra le potenze alleate consegnarono quelle terre finora italiane alla dominazione jugoslava la quale non risparmiò gravi sofferenze agli italiani presenti sul territorio.Don Luciano quindi scelse di seguire i tanti, tantissimi italiani che non potendo più vivere liberamente a casa loro scelsero di rientrare nel loro stato dai ridisegnati confini portando poco e lasciando, in alcuni casi, molto.Nel 1947 arriva quindi a Udine continuando ad occuparsi dei suoi parrocchiani d’un tempo oggi esuli, come cappellano della parrocchia di san Giacomo. Dopo soli due anni la storia di questo prete esule approda e si ferma a Gorizia, dove segue in prima persona, collaborando attivamente con il comune e il sindaco Ferruccio Bernardis, alla costruzione del “villaggio dell’esule” nei 20.000 metri quadrati messi a disposizione dall’amministrazione comunale nella zona sud est della città nota come la “Campagnuzza”, che doveva dare una degna sistemazione ai tanti ospitati temporaneamente alle casermette di Montesanto.Qui inizia ad offrire assistenza spirituale a profughi, operai e ai ragazzi di Pisino ospitati nel ricostituito collegio Filzi utilizzando per le celebrazioni liturgiche una baracca attigua al collegio.Da subito esorta i suoi parrocchiani ad integrarsi nella città che aveva offerto loro una possibilità concreta di una nuova vita nel loro paese, l’Italia, contribuendo affinché tutti iniziassero a lavorare amalgamandosi nelle realtà cittadine. Lui stesso dava l’esempio instaurando amicizie sacerdotali solide con i confratelli della sua nuova diocesi, in particolare con don Silvano Piani, mons. Luigi Ristits e mons. Ettore Fabbro.Con la costituzione del villaggio si fece artefice della realizzazione della moderna chiesa parrocchiale e dell’erezione canonica della parrocchia, chiamata “Madonna della Misericordia” per ricordare la statua esule portata sotto un cappotto dal sacrestano del duomo di Pola che ora aveva qui trovato la sua definitiva collocazione. L’entusiasmo del dopoguerra e l’unione delle forze e degli aiuti di tutti fece sì che in pochi anni un appezzamento di terra incolta diventasse un agglomerato urbano indipendente con circa duemila abitanti, i principali negozi, la scuola elementare e la chiesa parrocchiale centro della vita del quartiere.Il presule, uomo di Dio e uomo di pace non voleva creare una piccola enclave nella città ma un luogo nel quale tutti era no benvenuti e potevano vivere e collaborare, indigeni e nuovi abitanti, alla realizzazione del regno di Dio in questa epoca difficile ma entusiasmante di cambiamenti sociali, politici e religiosi. Dal 1967 fu la malattia improvvisa a fermare le gambe di don Luciano ma non il suo zelo pastorale: dal letto di ospedale continuava a seguire i suoi parrocchiani scrivendo, in occasione del Natale 1968, pochi giorni prima di morire “le parole erano facili a dirvi di imitare Gesù nel presepio ma è bene difficile accettare con rassegnazione il dolore e offrirlo con gioia perché i buoni si avvicinino di più e i lontani ascoltino la parola di Dio, e questo credo che possa valere più di una predica”. Il 5 gennaio successivo entrava nella vita vera, lasciando in eredità spirituale una piccola “famiglia di famiglie” nella città di Gorizia. La sua memoria resti in benedizione.