Cosa succede dentro (e fuori) il carcere?

Cosa sta succedendo nel carcere di Gorizia? È la domanda che mi è stata posta in questi giorni da diverse persone. Per quanto riguarda la costruzione è in corso una grande ristrutturazione iniziata qualche mese fa e che durerà fino a maggio di quest’anno. Questi lavori cambieranno radicalmente la struttura la cui capienza sarà portata a 100 e più persone. Sembra accantonato, perché troppo oneroso, il progetto di ristrutturare la ex scuola Pitteri di via Cappuccini. Attualmente, causa lavori, i ristretti sono ridotti a meno di quindici persone. Questo numero esiguo, seppur riducendo le attività, anche per la mancanza di spazi, non impedisce tuttavia di portare avanti, come cappellania alcune attività finalizzate soprattutto a far si che i detenuti non si sentano tagliati fuori dal territorio e che ci sono uomini e donne che, anche se hanno sbagliato, non li dimenticano. In questo senso, oltre alla presenza costante, per animare le liturgie ed anche per la catechesi, di diversi membri del Rinnovamento dello Spirito e per la distribuzione di vestiario dei volontari della associazione “la Zattera”. Nel tempo dell’Avvento, sulla spinta  di don Alberto è nato il progetto “La città entra in carcere” dove sono state coinvolte l’associazione: “Gorizia a tavola” e la cooperativa “Hanna House” per offrire gratuitamente il pranzo ai detenuti nelle domeniche di Dicembre e a Natale.Ci sono stati inoltre nei Venerdì di Avvento vari incontri tra i detenuti e personalità della nostra città come il sindaco ed il vescovo; perché chi vive dentro al carcere, lontano dalla famiglia, senta meno acuto il senso di solitudine che si accentua particolarmente in questo periodo natalizio.Un altro aspetto che sta particolarmente a cuore a coloro che operano nella pastorale carceraria è l’attitudine della società e della comunità cristiana in particolare, nei confronti di chi è prigioniero. La domanda iniziale potrebbe essere invertita: cosa succede fuori dal carcere?Sempre di più si sente l’urgenza di rieducare la comunità sia civile che ecclesiale al  fatto che la dignità dell’uomo viene prima di tutto e sopra tutto e che ogni pena, anche se necessaria, non deve mai  venir meno al rispetto dell’essere umano e che ogni sanzione detentiva, ci insegna la costituzione, ha come finalità il recupero di chi ha sbagliato. Principi che cozzano con certe affermazioni  che comunemente si sentono: “Serarli dentro e butar via la ciave” che denotano il degrado di una società, tanto più se dette da ministri della repubblica che contraddicendo la costituzione ,cui hanno giurato fedeltà, affermano di augurarsi che quel tal detenuto “possa marcire in carcere”. L’educazione ad una visione diversa del carcere, della pena e urgente ma si può fare con processi che durano nel tempo che sono lenti e di cui non ci è dato conoscere il risultato. Abbiamo portato avanti diverse iniziative con la compagnia di teatro Fierascena che ha allestito spettacoli con detenuti dentro e fuori dal carcere, creando un buon coinvolgimento di persone. L’anno scorso è nato il progetto “Disma ” finalizzato alla sensibilizzazione delle comunità ed anche a creare concretamente misure alterative alla carcerazione e per sostenere chi ha terminato di scontare la propria pena. In continuità con questo, sostenuto dal nostro vescovo, la nostra diocesi dovrebbe entrare nel progetto “Esodo” già sviluppato in altre diocesi del Veneto per creare luoghi ed attività alternative al carcere. L’impresa è ardua come tutte le azioni educative e questa lo è in modo particolare perché si toccano aspetti particolarmente delicati dell’animo umano e della mentalità corrente. La comunità cristiana è chiamata ad essere profetica, a mostrare qual è il disegno di Dio sull’uomo ed oggi questo è uno degli ambiti dove con maggiore urgenza la Chiesa è chiamata con coraggio a difendere l’uomo, alla profezia.