Suggestiva via Crucis delle comunità del decanato

Passo dopo passo, nel silenzio della notte, illuminata dalle stelle e dalle torce tascabili, dietro il crocifisso. Donne e bambini, uomini e ragazzi, sacerdoti e giovani con in testa l’arcivescovo Carlo Maria Redaelli. Si è snodata così la Via crucis del decanato Cormons-Gradisca, che ha portato i fedeli da San Martino del Carso al monte San Michele. Un percorso suggestivo ma anche significativo tra le pietraie del Carso che ancora piangono le migliaia di morti di quella guerra che cento anni fa papa Benedetto XV definì “un’inutile strage”. Non è un caso che sia stato scelto San Martino e il Carso per questa liturgia quaresimale, un paese immortalato da pochi ma profondi di Giuseppe Ungaretti: “Di queste case /non è rimasto/ che qualche brandello di muro/Di tanti che mi corrispondevano/non è rimasto/ neppure tanto/ Ma nel cuore/ nessuna croce manca / È il mio cuore/ il paese più straziato”.Sulle sofferenze di Cristo sul Calvario e sulle sofferenze dell’uomo si sono incentrate le riflessioni delle 14 stazioni, 14 soste dinanzi a una semplice croce in legno, piantata tra le rocce, e rischiarata da un lumino. E per richiamare all’attualità, caratterizzata ancora da violenze e disinteresse, anche un brano dell’omelia che papa Francesco tenne il 13 settembre del 2014 dinanzi ai cento mila morti che risposano a Redipuglia: “A me che importa del mio fratello? La guerra non guarda in faccia nessuno, vecchi e bambini, mamme e papà. A me che importa? “. Sono stati letti, tra gli altri, durante la Via crucis anche brani di Dietrich Bonhoeffer, il teologo cristiano che sfidò Hitler e morì nel lager di Flossenburg, e de poeta friulano Maria David Turoldo che scrisse versi di condivisione verso i più poveri e i più deboli. La croce è stata quindi il filo conduttore della serata conclusa dal vescovo Carlo nello spazio illuminato dell’area sacra del San Michele. Richiamandosi ai temi della lettera pastorale – il cristiano della domenica e dei giorni feriali e il discernimento – l’arcivescovo ha sottolineato come un cristiano deve farsi riconoscere nella croce della nostra vita quotidiana, la croce con la quale ci segniamo anche più volte nel corso della giornata indicando il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Un richiamo alla Trinità ha affermato il vescovo, che gli artisti capiscono meglio di noi cristiani il suo significato, il significato della croce sostenuta dalla colomba come bene ha rappresentato il Masaccio nel dipinto che si trova nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze. Il crocifisso è il segno della sofferenza ma anche dell’amore, quello di Cristo che per salvarci è morto sulla croce. Il discernimento, altro tema che ricorre spesso in questo anno pastorale citato anche da papa Francesco, deve far capire al cristiano l’importanza che qualsiasi scelta fatta sia dettata dall’amore, quell’amore verso tutta l’umanità che ha portato Cristo a percorrere la sua dolorosa Via crucis fino alla morte.