Quel legame fra Cormons e don Rino

A Cormòns verrà presentato il libro “Monsignor Pietro Cocolin” lunedì 16 novembre in Sala Maria Rosa alle ore 20.30. Curato da Renzo Boscarol per la collana Testimoni di vita (edizione di “Voce Isontina”), il libro sarà un’occasione per ricordare la figura di don Rino come sacerdote e poi Arcivescovo di Gorizia. A Cormòns, don Rino fu cappellano dal 1944 al 1951. Poi visse il suo ministero a Terzo, Aquileia e Monfalcone fino alla nomina ad Arcivescovo di Gorizia nel 1967. Ci piace ricordarlo con una sua frase: “Quando, parroco di Terzo giungevo a Cormòns in moto, mi fermavo a Saldarini, guardavo il Quarin e mi veniva un groppo in gola”. Anche se lontano, don Rino portava sempre nel cuore Cormòns.Del Papa, si ripete il “sentire l’odore delle pecore”. A vivere il concetto, non tutti “…san trovar la dritta via…”. Mons. Pietro Cocolin, della “Bassa” (Saciletto1920 – Gorizia 1982), ha sentito – non per metafora – l’odore delle pecore: in campagne, case e stalle, di una terra ruggente; quello dei motori, dei fumi, nelle fabbriche; balsamico dei soggiorni montani; mediato dall’incenso, nelle chiese. Fin quello di altre terre, e lingue: Amministratore Apostolico a Trieste; vescovo missionario in Costa d’Avorio. Non senza problemi. Emulo del venerato – e giubilato – Arcivescovo Fogàr, per aver pregato anche in sloveno a Trieste, si ebbe, sull’abitazione goriziana, la scritta “Cocolin vescovo titin”!Se uno prende in mano il libro “Monsignor Pietro Cocolin”, di Renzo Boscarol (edizioni “Voce Isontina), afferra l’impostazione, da copertina e ricca documentazione fotografica (numerosi scatti di Federico Leban e Dino Altran), scelte per parlare da sé, completare il testo: dipende dalla conoscenza del lettore sul periodo. Impaginazione efficace (Roberto Duse); formato gradevole, vocato a lettura, in situazioni diverse.L’Arcivescovo Redaelli (presentazione) delinea l’essenza del vescovo “conciliare”; Boscarol, per vicinanza al personaggio e capacità di renderlo, lo dipinge con parole: dal paese, a quando fu ordinato prete con il cugino Elio Stafuzza; poi, fino al giorno estremo. Don Elio punteggia testo e foto: infanzia comune; studi, affettuoso legame (sacerdote anche il nipote don Silvano, mite, sapiente, buono, deciso) di una vita. Iniziarono insieme a Cormons; insieme – fanciulli – da Saciletto, sulla via per le elementari di Perteole, si divertivano a saltare i fossi d’acque sorgive che innervano la campagna; insieme, se pioveva, per non tornare sui banchi il pomeriggio, si intridevano di acqua sotto le tegole della scuola, per arrivare a casa coi vestiti d’impossibili recuperi!Cocolin fu l’ultimo a parlare friulano e sloveno, dopo Sedej: non per nazionalismo o vezzo; per rispetto a realtà multiforme. L’Autore fa conoscere un grande vescovo: pur nato nelle Bassa, non mostrò atteggiamenti gridati; ebbe a cuore dottrina, storia, incontro, innovazione e continuità, preparazione sociale.Cormons, Terzo, Aquileia, Monfalcone, prima dell’ordinazione episcopale. Ricchezza di esperienze, azioni volte a far crescere giovani e laici. Formazione (in ambienti problematici): da asilo, a oratorio, banda, Aci, Acli, colonie; su fino alla Scuola di preparazione sociale ad Aquileia, e ISIG di Gorizia; stessi legami col Trentino (sempre in avanti), come fu per Zanetti e Faidutti. Sembrava un “vescovo venuto dalla campagna” (1967); e fu uno che capì la realtà; non improvvisò con il solo retroterra culturale: dialogò; si consigliò; formò gruppi ad analizzare i mutamenti impetuosi di società e Chiesa. Si trovò in gineprai “irrisolvibili” e ne uscì, anche se, non scevro di retrogusti amari.Modesto (modestia dei grandi); dialogante con mondi che una pastorale dimentica o dissennata aveva perduto; teso all’amore della gioventù, libero da giovanilismo, portò a Gorizia lo spirito primigenio della Chiesa di Aquileia, e ad Aquileia ridiede dignità financo mediante gesti simbolici come il riportarvi parte delle reliquie.Scorrevole, denso, leggero, profondo, il libro analizza tappe e ambiti della azione di Cocolin.Tanti qui si vedono, non solo nelle foto e non del tutto nei soli nomi, ma in lampi di vita e di azione. La pietas per le suore collaboratrici, in lavoro, preghiera e fedeltà; il Delegato arcivescovile e il Vicario generale; i segretari e gente “anonima”. Un delicato capitolo per la famiglia dell’Arcivescovo: i Cocolin, musicali “quasi tutti sapevano suonare uno strumento” e accoglienti; ma anche il qualcosa in più che si chiama Heimat, da Heim, sì (casa), ma, insieme, ambiente, cultura, tradizione, lingua. La lingua, la sua lingua friulana che aveva teso a valorizzare in prospettiva pratica (mai, però, per altri motivi, attuata). Si dovrebbe andare avanti, ma si sottrarrebbe spazio a gusto di conoscenza, scoperta, e un quid di effervescenza bisiaca che anima qualche parte del libro. Completano il testo un sapido e intenso intervento di Sergio Tavano “Da Aquileia a Gorizia”; uno squarcio di tempo fra storia e cronaca, di Maurizio Calligaris, “Il Vescovo e il giornalisti”; un articolo di Celso Macor, “Buona gente nostra”, che fa vibrare lo spirito, con un passo che, per Mons. Cocolin, si potrebbe lasciare ad epigrafe “…Il Vescovo morto aveva camminato con Dio e la gente voleva e vuole camminare con il vescovo…”In una eventuale II edizione, sarebbe indispensabile un minimo di apparato critico, almeno per le fonti (orali e scritte), data la certezza che la bibliografia sull’argomento strabordante non è.