Il campo di concentramento di Brazzano

A cento anni dalla conclusione della Prima guerra mondiale ci sono pagine di storia, in particolare per fatti accaduti sul nostro territorio, ancora poco conosciute, trascurate dai numerosissimi libri che raccontano il conflitto 1914-1918. Un conflitto che per due anni e mezzo ha insanguinato il Carso e l’Isonzo, che ha portato morti e rovine con Gorizia e molti paesi ridotti a un ammasso di macerie, che ha fatto sfollare o esiliare migliaia di persone.  Una guerra in casa che ha ancora capitoli da esplorare in particolare quelli che si riferiscono all’ultimo anno di guerra che vide il ritorno nella Contea di Gorizia degli Austriaci. La storiografia italiana non si è mai interessata di questo versante impegnata come era, e come lo è tuttora, a raccontare la difesa sul Piave e sul Grappa e poi l’ultima battaglia di Vittorio Veneto con l’esercito austroungarico in rotta che ha portato nel giro di pochi giorni alla fine della guerra con l’armistizio di Villa Giusti a Padova del 3 novembre 1918. D’altra parte è significativo come ci sono voluti 100 anni per riconoscere dignità agli italiani del Litorale morti con la divisa austroungarica, che avevano dovuto indossare nel 1914 quando l’Austria aveva dichiarati la guerra alla Serbia e alla Russia. Per anni sono stati considerati traditori e solo ora, non con poche difficoltà, vengono ricordati con qualche monumento o cippo. Va al merito di studiosi locali – uno dei primi fu Camillo Medeot – se si è fatta luce su tanti avvenimenti accaduti sul nostro territorio nei primi anni di guerra.

Il campoOra una nuova pagina viene alla luce grazie a una ricerca effettuata dal presidente dell’Associazione Cormonese Austria Giovanni Battista Panzera che nell’Archivio storico di Vienna ha trovato, in un apposito fondo, una documentazione inedita sul campo di prigionia che l’esercito austroungarico aveva allestito a Brazzano, poche settimane dopo Caporetto, per rinchiudere soldati romeni, russi, serbi e italiani catturati sui vari fronti, e che funzionò fino alla fine della guerra.Senza dubbio l’esistenza di questo campo era nota ma, a parte le tombe presenti nel cimitero austroungarico di Brazzano, non è mai stata trovata una documentazione che accertasse non solo la sua presenza ma soprattutto la sua dimensione. Quelle giunte fino a noi sono solo testimonianze orali tramandate di padre in figlio cui il tempo ha sfumato i contorni. Qualcosa di scritto lo ha lasciato don Guido Maghet, che riportava alcune testimonianze raccolte dagli anziani del paese focalizzate sulle sofferenze e stenti dei reclusi e sull’aiuto che riusciva a dare la popolazione, che già di suo aveva difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena, a quelle sfortunate persone. C’era chi di nascosto dalle guardie, attraverso i reticolati, consegnava ai prigionieri un po’ di farina o qualche patata o gettavano oltre la rete fette di polenta. La fame era tanta, soprattutto negli ultimi mesi di guerra, che i prigionieri si contendevano le bucce di patate buttate via o contese ai maiali.  La strutturaOra la ricerca effettuata a Vienna, che non si è conclusa ma sarà ulteriormente approfondita, ha portato alla scoperta di 65 fotografie inedite sul campo di prigionia e due mappe che riportano le varie zone del campo. Era un campo molto vasto che occupava buona parte del paese. I baraccamenti si trovavano nell’area dinanzi alla filanda, nelle proprietà Zorzon e Scrosoppi.La zona riservata ai detenuti russi era la più vasta perché centinaia erano i soldati del decaduto Zar catturati sul fronte orientale e poi portati fino a Brazzano. E molti morirono di fame e stenti perché fra tutti i prigionieri i russi erano quelli trattati peggio dai loro carcerieri. Nei cimiteri di Cormons e di Brazzano, secondo i registri compilati a fine guerra, ne furono sepolti 189. E dalla Russia nessuno ne reclamò la restituzione, anzi i nuovi governanti di Mosca cancellarono ogni cosa che facesse riandare al periodo zarista. Compresi i cimiteri militari in terra russa.Nel campo di concentramento di Brazzano c’erano anche le baracche che ospitavano i magazzini, un luogo per macellare i bovini, i fienili e gli alloggi dei soldati, un centinaio e tutti veterani, che avevano il compito di presidio e di controllo dei prigionieri. Esisteva anche un convalescenziario per i soldati affetti da malattie. Ci sono immagini poi che documentano l’esistenza di un vasto campo di prigionia a Trussio dove venivano portati i prigionieri in quarantena e dove esisteva un ospedale per infettivi.

La mostraLe foto trovate nell’archivio di Vienna saranno il pezzo forte della mostra “Cormons e Brazzano 1918-Tornati gli austriaci, arrivano gli italiani” che sarà inaugurata a Cormons sabato 8 settembre, alle 18.30, nella sede dell’Associazione Cormonese Austria – raccontano anche la vita che si svolgeva all’interno del campo, con i prigionieri impegnati in vari lavori. Funzionavano laboratori di falegnameria e officine dove venivano impiegati i prigionieri, che avevano una certa libertà all’interno del campo e non mancavano quelli che riuscivano a sgattaiolare dalla rete spinata per cercare nei campi vicini qualche frutto da magiare o a bussare alle porte dei brazzanesi. Non mancano immagini di feste celebrate da ufficiali e soldati in occasione di qualche ricorrenza austriaca. Queste foto, assieme ad altre provenienti da collezioni private, correderanno poi un libro che racconterà l’ultimo anno di guerra a Cormons, dai giorni tragici di Caporetto alla fine della guerra con il definitivo ritorno degli italiani.Il volume, che è in fase di stesura, sarà pubblicato e presentato entro al fine dell’anno.