“San Nicolò di Levata”

Ristampato nei mesi scorsi, il libro di Luigi Gratton. In 262 pagine (contributi: Comune, BCC Friuli), l’Autore galoppa fra i secoli. Al 13°, ospedale, chiesa e commenda di S.Nicolò. Racconta del prima, per entrare nel cuore dei fatti; fa capire che non è storia locale. Romani dappertutto; Longobardi dalla Scandinavia; i Benedettini rafforzavano l’Europa; Arabi e Turchi Selgiuchidi dall’Asia; poi, crociate, ordini cavallereschi… I Giovanniti da Gerusalemme a Cipro e a Rodi, nell’Europa continentale, ancora a Malta per vitale parentesi, prima che li cacciasse  Napoleone. Ora l’Ordine è Stato senza territorio, ma si spalanca un mondo:Impero Romano; “invasioni barbariche”; feudalesimo. Correnti di pellegrinaggio; interruzione della via d’acqua e di terra pel S. Sepolcro. Crociate; trattative coi nuovi padroni; nascita degli ordini cavallereschi: difesa; spirito di carità ai pellegrini.L’Autore dà  linea al tempo. Più d’una crisi soffre la Chiesa; riprende, nel ’500 (Concilio di Trento). Richiami biblici; vita di S.Nicolò, portato a Bari (1087). Si parla di Anni santi, Giubilei, dal 1300, con Papa Bonifacio VIII, ad oggi. Si inquadra la storia del Patriarcato d’Aquileia, prima spirituale poi temporale, per arrivare alla fine nel 1420; pel secondo aspetto (occupazione veneta) e il 1751, soppressione da parte di Benedetto XIV (sospiri del Patriarca Daniele Delfino…e dell’Autore). Ampio capitolo sui cavalieri di Malta. Si punta su S.Nicolò di Levata; si disquisisce sul toponimo di Ruda, si analizza il territorio e si arriva al cuore: 1249, 16 dicembre “Nos”; il noi maiestatico ci spalanca qualcosa di grande; il lui plurale è un bavarese, zio di S. Elisabetta di Ungheria, patriarca con Onorio III. Bertoldo di Andechts, vara il documento due anni prima dell’appello all’eternità (morirà nel 1251). Merito della fondazione è del predecessore, Wolfger von Ellenbrechtskirchen, vescovo di Passau, patriarca dal 1204 al 1218, protettore di poeti. Andò alla crociata; fonda lo xenodochio a S.Nicolò, fra il 1204 e il 1211. Sicuro, l’ospedale è accanto alla strada di Aquileia e l’ha resa migliore; Bertoldo lo dota con la chiesa di Camarcio, 6 mansi, e fissa i confini.Alla donazione, c’erano paludi deserte, pericoli; chi ci metteva piede “periclitava” fra ladroni e ostilità dell’ambiente. L’ospedale è per fugare pericoli, assistere passeggeri; mantenere la strada: ecco i Giovanniti. Vien stabilito quando e quanto intervenire a spese dell’ospizio e quanto da altri. Si prospettano future donazioni: con rendite, potevano provvedere a prigionieri e pellegrini ultramarini, in Oriente, nei luoghi santi, con accordo stipulato perfino coi Saraceni. Grandioso che si avesse capacità diplomatica di trattare con loro! Chiarisce, Bertoldo, che il predecessore ha concesso le decime dei novali; in soggezione alla Chiesa Aquileiese, l’ospedale doveva corrispondere alla luminaria un’orna di olio e una libbra di incenso. Diede, alla morte del preposito di S.Felice in Aquileia, la chiesa di S.Michele tra Sacile e Caneva e la villa di Blasiz; poi, permuta con questa villa, il rettore dell’ospedale ricevette  due mansi ad Aiello, 2 a Bicinicco, terre con un mulino a Campolongo e un altro obbligo: quota di denaro per riparare, ridorare o fornire i sacri vasi della Basilica. Cruccio era di sovvenire alle necessità dei prigionieri d’oltremare; se non si fosse potuto, si doveva mantenere ai poveri nello xenodochio.Fin nelle sottoscrizioni dei testimoni, si vedono ampiezza, solennità della Chiesa Aquileiese.L’ospedale di S.Nicolò era riferimento a vie del Nord, dell’Est di respiri mediterranei.Contribuiva alla vita della Chiesa Aquileiese, l’ospedale, ma nel tempo l’importanza andò scemando pel disseccarsi della vitalità verso l’Oriente. I beni passarono in Commenda. Troviamo un subisso di passaggi nel ’500, col sapore del Medio Evo: per l’investitura si mette in mano del subentrante terra erba e fronde di un campo, come pei feudi, analizzati da Gratton, che ne trae notizie sui coloni, toponimi, prodotti, misure, chiesa statue, con S.Giovanni (patrono dei Giovanniti e contro la furia delle acque), S.Nicolò dalle tre mele; S.Antonio Abate (contro le pestilenze), e gli affreschi, che commenta minuziosamente. Rimangono la Commenda, edifici disfatti dall’incuria: rientrano nel popoloso capitolo dell’agonia della Bassa.S. Nicolò con le vesti episcopali, con l’omophorion, stola decorata dei vescovi orientali, o con le vesti episcopali più classiche, e 3 mele doro in mano o su di un piatto. Di Lui, storia leggendaria; patrono di Grecia, Russia e Bari. Nato a Patara, in Licia, intorno al 255 d.C., diviene vescovo di Myra. Non, come altri allora, un teologo, ma pratico, pastorale. Di lui non si sa molto. Avrebbe partecipato, in funzione antiariana al Concilio di Nicea (325): stabiliva in uno dei canoni, la fondazione di uno xenodochio in ogni diocesi. Visse l’era di Costantino. Nel 1087 due sacerdoti di Bari, Lupo e Grimoaldo, lo portano in città; nel 1095 Papa Urbano consacra la chiesa. L’arte lo rappresenta a Roma (VII sec.), a S.Sofia, Istanbul, X sec.; Venezia e Monreale.Lo ricorda Dante (Purgatorio, canto XX): “Larghezza che fece Nicolò alle pulcelle/ per condurre ad onor lor giovinezza”. Patrono di pellegrini, barcaioli, marinai, soprattutto carità. Oggi si può partire dal buon Samaritano. Gesù replica (Luca, X) al dottore della legge: “Vade et tu fac similiter”; nasce di lì il perché dello xenodochio di S. Nicolò; un dovere!