Quelle chiese distrutte e mai più ricostruite

Riprendendo il filo del discorso avviato lo scorso numero di Voce Isontina, va notato che non tutte le chiese distrutte o danneggiate durante gli eventi bellici vennero ricostruite o ripristinate. Le indicazioni di legge prevedevano la riparazione delle chiese principali, o meglio, come si definirà nel 1922, di tutte quelle officiate prima della guerra che “risultino necessarie per l’esercizio del culto pubblico”.Se guardiamo al solo Monfalconese, possiamo incontrare situazioni diverse, e a loro modo indicative. Vediamo alcuni esempi.Piuttosto singolare il caso della chiesa di Sant’Antonio sul Colle Sant’Elia (sopra Redipuglia ma nel Comune di S. Pier d’Isonzo). La piccola chiesa campestre subì diversi danni nel corso del conflitto. Dopo la guerra si venne a trovare a poca distanza da quello che divenne presto il principale cimitero di guerra italiano, realizzato sul versante orientale del Colle Sant’Elia, e che poi sarebbe diventato l’attuale Sacrario di Redipuglia (sul Monte Sei Busi). Sulla sommità del cimitero venne anche realizzata una cappella. Non ci si preoccupò di restaurare l’antica chiesetta, della quale ancora negli anni Trenta rimanevano in piedi parte delle murature portanti. L’ipotesi di realizzare in questo sito l’Ara pacis (che poi si sarebbe realizzato sul colle di Medea) diede il colpo di grazia alla piccola chiesa, di cui oggi a fatica si possono riconoscere tratti delle fondamenta.Un’altra chiesa dedicata a Sant’Antonio era quella di Sant’Antonio “ai Bagni”, sul colle subito sopra le Terme romane di Monfalcone. Distrutta nel corso degli eventi bellici (decima battaglia dell’Isonzo), di questa chiesa si è salvata solo una statua del suo santo titolare oggi conservata presso la chiesa del SS. Redentore (via Romana), per certi versi “erede” della più antica chiesetta, in quanto ricostruita al posto di quella ma in una posizione più vicina al nuovo quartiere operaio che si stava sviluppando nell’area un tempo detta delle “mandrie”.Triste la sorte della chiesa di San Paolo (San Poletto) tra Aris e Ronchi: già semiabbandonata nel corso dell’Ottocento, perché relativamente lontana dal centro abitato di San Polo, oramai in decadenza, prima della Guerra c’era stato un qualche interessamento per un restauro in quanto si trattava però di un edificio abbellito da un prezioso ciclo pittorico opera di Nicolò Cumin (XVII secolo). Dopo la guerra le pitture erano ancora ben visibili, ma non si procedette mai al ripristino. Oggi di questa chiesa rimane un piccolo mozzicone di muro.Altre chiese a Monfalcone scomparvero. Alcune erano state abbandonate o vendute in precedenza, ed i bombardamenti finirono con l’abbattere anche le ultime tracce superstiti. Solo la chiesa del Rosario (già di S. Maria delle Grazie), quasi rasa al suolo, venne ricostruita ma in un altro sito in forme architettoniche diverse. Qui vennero portati due altari provenienti da S. Giovanni in Tuba, il cui restauro non sembrava percorribile, tanto che si preferì costruire una nuova chiesa sull’altura soprastante, che mantenne sempre il titolo di S. Giovanni. Solo molti anni dopo l’antica chiesa parrocchiale, lontana dal centro abitato di Duino, sarebbe stata restaurata e recuperata, nelle forme che oggi possiamo vedere.Uscendo dal Monfalconese, possiamo osservare come per esempio più fortunate le chiese della parrocchia di Farra: la parrocchiale, semidistrutta, venne ricostruita in forme simili all’originale; la chiesa di S. Maria in località Mainizza gravemente compromessa venne restaurata mantenendone le forme antiche, mentre quella dei Ss. Pietro e Paolo a Villanova venne ricostruita ex novo con un impianto architettonico di gusto neoromanico. Dove si ricostruisce si alternano quindi situazioni molto diverse: o si ripristina in qualche modo l’edificio preesistente rispettandone i ritmi architettonici o si dà luogo ad una completa ricostruzione che comporta la realizzazione di una chiesa completamente nuova, di solito con un salto stilistico notevole, il più delle volte dal barocco al neoromanico.