Messaggio di speranza e rinascita dai residuati bellici

Raccontare le atrocità della guerra non è cosa semplice; arrivare a toccare gli animi delle persone che quelle esperienze non le anno vissute è forse ancora più complicato.Sergio Pacori – che ha vissuto gli anni della II Guerra Mondiale quando era solo un bambino – racconta quei drammi attraverso opere scultoree del tutto particolari, realizzate con residuati bellici che lui stesso raccoglie, anche sul nostro Carso. Nelle sue opere si riesce a leggere tutta l’atrocità di una guerra, il dolore delle genti e dei soldati ma, allo stesso tempo, viene lanciato un bellissimo messaggio di speranza e di rinascita.Le sue opere sono state esposte nella nostra regione, ma anche in Italia e in Europa e sono state ammirate non solo da presidenti, ma anche dal Papa.Abbiamo incontrato Sergio Pacori e ci siamo fatti raccontare di come il suo avvicinamento al mondo della scultura abbia avuto inizio e da dove tragga le sue ispirazioni.

Signor Pacori, le sue sculture sono davvero particolari, uniche, realizzate con resti dei campi di battaglia. Come si è avvicinato alla scultura e come a questi materiali così diversi dal solito?Da bambino, con la mia famiglia, abitavamo a Gargaro, un paese ai piedi del Monte Santo. Durante la guerra gli italiani, nel tentativo di conquistare la piana della Bainsizza, bombardarono il Monte e molte delle bombe lanciate lo oltrepassarono, andando a finire proprio sul mio paese, tant’è vero che gli abitanti ormai dicevano che a Gargaro c’erano più schegge di bombe che pietre.In paese allora c’erano diversi fabbri e utilizzavano questi frammenti per i loro lavori, costruendo attrezzi da lavoro. Io all’epoca avevo una decina d’anni e frequentavo le loro fucine, molto incuriosito dal loro operato (ovviamente i metodi e gli strumenti a disposizione erano molto diversi da quelli di oggi). È stato lì che ho imparato e mi sono “innamorato” della lavorazione del ferro.Unito a questo, sempre da ragazzino in tempo di guerra, spesso con gli amici andavamo a cercare bombe (a volte anche disinnescandole, ho perso un amico in questo modo purtroppo…), frammenti, schegge… in quei momenti sono venuto a contatto per le prime volte con questi materiali.

Riguardo poi l’ispirazione per la realizzazione delle sue opere, dove ha le radici?Posso spiegarvelo con dei racconti del mio vissuto. Nel ’43, dopo il ritiro dei soldati dalla Bainsizza, iniziarono ad arrivare in Paese anche soldati tedeschi, fascisti, cosacchi, partigiani… La situazione era molto tesa e in seguito ad un’aggressione subita da mia madre in casa, si decise di trasferirsi a Gorizia, dove però comunque i mitragliamenti e bombardamenti erano tanti. Un giorno, tornando verso Gargaro per recuperare alcune cose, venimmo purtroppo sequestrati dai partigiani e portati a Tarnova; fummo trattenuti presso l’ospedale partigiano di Franja: dal momento che mia madre era levatrice e infermiera, la sua esperienza in campo medico era vista da loro come un vantaggio Spesso ho aiutato anch’io, nonostante fossi solo un bambino, non mi facevano impressione le ferite.Dormivamo all’addiaccio, nelle grotte, al freddo, si poteva cucinare qualcosa da mangiare solo durante la notte per non far vedere le colonne di fumo… era tutto molto duro.L’ispirazione per le mie opere è nata lì, trova radici in tutto quello che ho visto da ragazzino negli anni della guerra e che mi ha profondamente segnato.

Successivamente, quando ha iniziato a realizzare le sue prime opere e che soggetti ritraevano?C’è da dire che non ho mai studiato arte; mi sarebbe piaciuto studiare magari Ingegneria, per cui ero piuttosto portato, ma le vicende della vita mi hanno portato a scegliere un istituto commerciale a Gorizia e, in seguito, a lavorare come programmatore informatico – parliamo dei primi anni ’60 – su computer che erano enormi rispetto ad oggi.Nel mentre, ho sempre coltivato la passione per la lavorazione artistica del ferro, appassionandomi poi anche del legno, che mi ha conquistato per la sua facilità di lavorazione e intaglio. I soggetti rappresentati sono i più vari: Madonne, uomini, draghi… quello che il pezzo di legno – o di ferro – mi comunica. Spesso ho realizzato i lavori con oggetti artigianali, anche costruiti da me; una volta, per esempio, ho costruito da solo una saldatrice partendo da un vecchio trasformatore!All’inizio i lavori erano piccoli, sculture di forma ridotta. I lavori maggiori sono nati grazie ad un impegno con il Gruppo Alpini di Gradisca d’Isonzo, di cui faccio parte, al Parlamento di Budapest. I miei compagni mi invitarono a realizzare qualcosa di simbolico, proprio con residuati bellici, da donare al Primo Ministro. Nacquero così la scultura dei due soldati che si danno la mano e una croce, che oggi si trova all’interno della chiesa di Mosonmagyaróvár. Realizzai anche, per la chiesa del cimitero di Gy?r, una scultura in pietra carsica, marmo e residuati bellici; nell’insieme descriveva le fasi di una battaglia, la tragedia della guerra. Sopra questi elementi troneggia però un fiore, simbolo della vita che riprende e continua.Questi sono i primi lavori con residuati bellici e da lì ne sono seguiti moltissimi altri. Conservo tutte le mie opere, oppure sono regali altamente simbolici, come quello fatto all’Accademia Europeista di Francoforte o al Museo di Redipuglia.

Osservando un’opera artistica, si sa, ogni persona può leggere un significato diverso, dovuto da esperienze e sensibilità personali. Ma lei, come artista, che significato trova e vuole far trasmettere alle sue opere?Quando, sul Carso o in altri luoghi, raccolgo una scheggia o qualche residuato, non raccolgo “un pezzo di ferro” ma raccolgo qualcosa di “vivo” perché in ogni scheggia c’è una storia.Porto questi materiali a casa, li pulisco, li metto insieme cercando di modificarli il meno possibile, perché voglio sia la loro forma originaria a parlare. È mio desiderio rispettare questi pezzi, perché ognuno ha un valore.Così li metto vicini, creo un’idea nella mente, praticamente sempre senza bozzetti preparatori, e inizio a creare le mie opere, ognuna diversa dall’altra; anche nelle serie, come quella de “I Celti”, ogni singola scultura ha sue caratteristiche.Ogni volta che realizzo una scultura, questa mi dà un’emozione; spero di trasmettere anche agli altri questo sentimento. Queste per me sono le mie “creature”, motivo per cui non me ne separo; poter riuscire a trasmettere tutte le mie emozioni, mi da una grandissima soddisfazione.

Ormai le giovani generazioni sono lontane storicamente dai giorni della guerra e, purtroppo, i testimoni di quei giorni stanno diventando anziani e piano piano venendo a mancare. Cosa, secondo lei, è necessario fare per mantenere la memoria di quei giorni che hanno profondamente toccato anche le nostre terre?Sicuramente vanno coinvolte le scuole, anche in iniziative a sfondo artistico, unendo magari la possibilità di parlare direttamente con i ragazzi. Mi è capitato di parlare con studenti delle scuole primarie e notare come siano profondamente interessati e facciano delle domande molto ragionate e belle.Credo quindi che anche attraverso l’arte e soprattutto mettendo i ragazzi in dialogo con i racconti e le testimonianze di chi ha vissuto quei momenti – finché c’è ancora la possibilità di avere dei testimoni diretti – si possa arrivare a spiegare dettagliatamente un periodo storico, arrivando a colpire, a “catturare” i ragazzi – a volte arriva molto di più una testimonianza di un libro si storia – e spiegando loro il dramma della guerra e i traumi che rimangono: sono passati tanti anni ma sono il primo a confermare che, di notte, a volte ancora mi sveglio di soprassalto.

Guardando al futuro, prossimi impegni?Il 2 giugno si è inaugurata la mostra alla Prefettura, dove sono esposte diverse opere tra cui San Francesco, la Lotta del bene contro il male, la Madonna della Pace e la nascita di Europa; ho voluto esporre anche alcune schegge, affinché i visitatori prendano conoscenza dei materiali usati, capiscano come sono e come poi le sculture prendono forma.Per prossimi impegni, è ancora tutto da definire ma ci sono dei contatti con i Comuni di Gorizia, Monfalcone e anche di Sanremo.