I campanili goriziani nella Grande Guerra

La prima guerra mondiale portò a radicali cambiamenti nella vita della parte della popolazione goriziana che viveva vicino al cosiddetto “Isonzo-front”, la linea di combattimenti che vedeva impegnati austroungarici e soldati italiani del regio esercito.La lunga durata del conflitto e il persistere dei combattimenti sempre negli stessi luoghi causò la distruzione sia dell’ambiente naturale che, in parte, dei paesi carsici e di quelli che erano adiacenti all’altopiano monfalconese. Gli abitati furono distrutti in modo disomogeneo: ci furono alcuni che vennero rasi al suolo completamente (come avvenne per S. Martino del Carso), altri ricevettero i bombardamenti solamente per metà della loro complessità (come Poggio Terza Armata e la maggior parte dei comuni attuali della Bisiacaria). Ci fu un comune, Sagrado, che venne privato solamente della costruzione a cui tutte le persone avevano contribuito a innalzare: il campanile. In altri posti esso era stato abbattuto assieme alla maggior parte delle case: le granate austriache avevano distrutto anni di sacrifici di poveri contadini per evitare l’utilizzo delle torri da parte nemica come osservatorio per l’artiglieria. Un vantaggio intollerabile per le alte gerarchie dell’esercito imperiale.

Le torri come posti di osservazioneMa quale fu il vero ruolo che ebbero i campanili goriziani nella Prima Guerra Mondiale? Per poter parlare di un vero e proprio ruolo bisogna innanzitutto dividere le torri in due grandi gruppi.Le prime furono quelle che dal conflitto uscirono gravemente danneggiate o completamente distrutti, le seconde sono quelle che riuscirono a passare indenni dalla guerra e che resistettero alla furia dei cannoni e della dinamite. Gli unici campanili utilizzabili, quelli ancora in piedi, furono quasi tutti utili al genio militare italiano per la loro altezza e i militari li occuparono potendo così fornire, da lì le giuste coordinate all’artiglieria per colpire ottimamente gli obbiettivi.Torre famosa utilizzata per questo scopo fu quella della millenaria basilica di Aquileia, fatta ristrutturare quasi completamente dal patriarca Poppone nel 1031. La presenza di militari italiani presso il campanile aquileiese è attestata ancora oggi dalla scritta lasciata da uno di essi nella campana grande, in cui afferma di aver svolto la mansione di “sentinella su questo campanile dal 1915 al 1917”, anno della dodicesima battaglia sull’Isonzo, conosciuta anche come “la battaglia di Caporetto”.Staranzano riporta ancora che su di esso stanziarono soldati di vedetta della “Brigata Cosenza” (scritti a matita sulle mura della soletta sotto la cella campanaria). E’ storicamente attestato che la stessa brigata stanziò presso il paese di Staranzano nell’agosto e settembre de 1917. La torre, molto probabilmente per la sua moderata altezza, non poté essere rasa al suolo (da ricerche storiche di Fabrizio Nardi). Altro campanile goriziano molto importante fu quello di Campolongo, in provincia di Udine, che venne addirittura visitato da Sua Maestà, re Vittorio Emanuele III.La testimonianza di don Parmiggiani è fondamentale per ricostruire quelle giornate: “La sera del medesimo giorno giunse a Campolongo il 13° Fanteria. L’indomani nel pomeriggio mi fu chiesta da un ufficiale del Comando la chiave del campanile che fu occupato militarmente; davanti la porta stazionava la sentinella; sopra vi erano i soldati osservatori; i vani delle bifore della cella campanaria furono otturati con sacchi riempiti di terra, le campane non suonarono più e furono concessi soltanto alcuni rintocchi a Natale e a Pasqua. Su questo campanile durante le prime settimane di ostilità vi saliva, non dirò tutti i giorni, ma quasi, Sua Maestà Vittorio Emanuele III. Il Campanile di Campolongo rimase ben impresso nella memoria di S.M. perché ai rappresentanti del paese che nel 1922 si erano recati a Monfalcone a rendere omaggio alle LL.MM., il re disse le testuali parole: «Campolongo! Oh ricordo bene il vostro campanile»” (fonte: Sito del comune di Campolongo Tapogliano).E, se a Campolongo ci fu la visita di Vittorio Emanuele III, a Villesse giunse il giornalista, assunto dalla testata “The Journal” britannico Paul Adams per studiare la linea del fronte da un punto di vista privilegiato. Documenti fotografici lo ritraggono nell’atto di scendere la botola della cella campanaria al termine di una visita e sempre gli stessi archivi mostrano interessanti fotografie dalle quali si può facilmente comprendere come si fossero attrezzati i soldati italiani nella cella campanaria come vedette: sedie, tavoli e viveri. Le campane legate con le corde, mute non potevano essere suonate (come accadde all’inizio del conflitto nella città di Gorizia, la “Nizza Asburgica”, quando l’Imperial-regio comando aveva dato ordine che i bronzi rimanessero fermi per impedire al nemico di localizzare meglio la città sull’Isonzo).

Le torri abbattuteMa altre torri non furono così fortunate. Interessante è quella di Fogliano, in provincia di Gorizia. Questa si trovava sul colle omonimo e, fiera dei suoi venti metri, si ergeva sulla pianura isontina tanto da essere, per i viandanti, facile punto per l’orientamento.Ma, purtroppo, la sua sorte fu segnata dalla sua posizione strategica: fu uno dei primi campanili ad essere abbattuti proprio il 24 maggio 1915 allo scoppio del conflitto. Il concerto di tre campane rotolò poi fino in paese per poi essere recuperato dai soldati italiani e conservato per un uso futuro nel comune ricostruito al termine del conflitto. Le scheggiature del contatto violento tra il bronzo, fuso per lodare la gloria di Dio con i soldi spesso ricercati tra i risparmi di una vita della povera gente, e la dura e nuda pietra carsica sono ancora visibili sull’unica campana superstite, “Maria”, soprannominata “la granda” dai compaesani. Essa è memore di una ferita nella popolazione locale che è difficile ancor oggi da dimenticare. Stessa sorte dovette subire anche la torre campanaria di S. Pier d’Isonzo, comune attiguo a Fogliano. Qui il campanile dovette fare i conti con i suoi quasi settanta metri di altezza. Si narra ancora, in paese, che per farlo crollare ci volle più di qualche colpo sparato dai cannoni autroungarici e, nonostante fosse stato colpito al centro, non cedette. Al contatto violento con il suolo la campana maggiore del concerto, chiamata “Petrina Cornelia”, si frantumò in molti pezzi che furono sottratti dai soldati italiani come un ricordo della guerra.Inutile raccontare il disordine e la tragedia degli abitanti del piccolo paese bisiaco nel vedere il loro simbolo frantumarsi in pochi secondi.E’ storia nota in paese che uno dei colpi sparati dal genio militare austroungarico per distruggere la torre fosse arrivato nel vicino abitato di Cassegliano colpendo l’abitazione di un povero signore anziano. Arrivati in poco tempo i soldati del Regio Esercito stanziati a qualche nella zona, estrassero l’anziano signore che ebbe il tempo di osservare la torre del proprio paese crollare dopo che un solo proiettile lo aveva smembrato al centro. Osservando la scena l’uomo si girò verso i militari dicendo in dialetto: “Ciò, gavè visto che ben che tira i nostri?” (trad. “Avete visto la precisione dei tiri del nostro esercito?”) (fonte: Vittorio Spanghero, Campane e campanari del Monfalconese, 2001).Anche le torri campanarie di Sagrado e Monfalcone furono atterrate per lo stesso motivo. I Sagradini però rividero ben presto il campanile di nuovo al suo posto (1924), mentre i monfalconesi dovettero aspettare il 1965 con la costruzione del nuovo duomo di S. Ambrogio. Delle cinque campane, donate alla cittadinanza dall’imperatore Francesco Giuseppe nel 1883, non si seppe più nulla, se non che furono rifuse grazie all’Opera di Soccorso nel 1921 e quindi ridate alla cittadinanza.

Il campanile di LucinicoUltimo ma non meno interessante racconto è stato tramandato da Lima Cicuta, nata a Lucinico, in provincia di Gorizia, il 31 luglio 1901 ed insegnante elementare. Ella ricorda di come venne abbattuta la torre campanaria del paese in cui nacque. “Fine maggio 1915. Una mattina presto due soldati austriaci entrano in casa nostra, uno dice: “Prima delle ore dieci dovete chiudere la casa e andare tutti sul prato vicino”. Chiedo “perché?”. Non mi rispondono. Sul prato vi sono già numerose persone.Alle nostre richieste, finalmente un soldato risponde “dobbiamo gettare giù il campanile perché è troppo alto ed i soldati italiani lo vedono già da lontano”. Circa mezz’ora dopo, udiamo uno scoppio violento, una “nube” bianca si alza sopra i tetti delle case e nasconde alla nostra vista il campanile e, poi la “nube” si dirada ed il campanile riappare. Trascorre un’altra mezz’ora udiamo un nuovo forte scoppio che ci spaventa. Vediamo una “nube” scura più fitta della precedente che poi si dirada e rivediamo il campanile. Notiamo un certo nervosismo tra i soldati che corrono di qua e di là imprecando. Dopo circa un’ora sentiamo un fortissimo boato, la terra trema sotto i nostri piedi. Torniamo a vedere per la terza volta la “nube” ancora più scura delle precedenti, nasconde il campanile che in seguito riappare. Un uomo grida: “si sta inclinando” altri dicono no, ma invece si sta proprio inclinando lentamente verso sinistra. Le campane mosse dalle vibrazioni si mettono a suonare. È l’ultimo loro saluto a tutti noi. La statua in bronzo di San Giorgio che ornava la cima del campanile viene proiettata verso l’alto e scompare. Lentamente il campanile si schianta al suolo con grande fragore, nello stesso momento udiamo un rumore metallico: è dato dalle campane che si frantumano sotto il peso delle pietre. Ci mettiamo tutti a piangere in silenzio” (fonte: sito Biel Lant a Messe).Al termine del conflitto le maestranze italiane, al fine di omologare la popolazione isontina, ancora fortemente legata all’Impero Austroungarico, con quella del resto della penisola, fecero ricostruire la torre non con lo stile d’oltralpe che aveva prima ma con una guglia tipica della zona veneta. Il bronzeo bulbo “a cipolla” che lo ornava si trasformò in una cuspide triangolare dall’inconfondibile stile veneto. Uno sfregio inutile ad una popolazione già troppo segnata dalla guerra.In conclusione, il campanile goriziano è stato un edificio maltrattato dal conflitto e martoriato da una guerra che ha logorato una generazione intera ed è il simbolo tuttora esistente dell’inutilità degli scontri. La lista delle torri che hanno sofferto assieme alla popolazione stessa che le ha costruite e vissute è lunga e spesso le illazioni che su di esse vengono fatte sono semplice rimembranza della piccola storia locale, ma devono ancora insegnare molto alla storia più grande.