“Gli eroi sono morti”: il caso “Otto & Mezza”

Su Voce Isontina del 13 ottobre scorso, ricordando la messa beat che era stata celebrata anche sotto forma di concerto in alcune località della nostra diocesi, si sottolineavano  i fermenti giovanili legati al Sessantotto. Fermenti che si registravano anche nelle associazioni cattoliche  dell’Isontino. E protagonista di questa nuova ventata era stata sempre Gioventù studentesca che, oltre ad aver organizzato nel febbraio 1969 la prima messa beat nella chiesa di Campagnuzza, in quello stesso periodo aveva “scandalizzato” i benpensanti goriziani con una nuova iniziativa. Nel febbraio 1969 era uscito, con una rinnovata veste grafica, il secondo numero di “Otto & Mezza”, un periodico studentesco edito dalla Gs di Gorizia e diffuso in modo capillare nelle scuole superiori della città. In quegli anni erano in voga i giornali studenteschi che circolavano in quasi tutte le citta.Nel 1966 salì alle agli onori delle cronache nazionali “La zanzara” del liceo Parini di Milano che aveva riportato i risultati di una inchiesta condotta dai liceali su ’La posizione della donna nella società italiana’  che provocò scandalo perché riportava anche riflessioni e giudizi sull’educazione sessuale e i rapporti prematrimoniali. L’articolo fece scalpore, venne attaccato da più parti – critiche giunsero anche dalla Gs milanese – e i tre studenti autori dell’articolo furono denunciati da un gruppo di genitori e rinviati a giudizio dalla Procura della Repubblica con l’accusa di oscenità a mezzo stampa. Il processo celebratosi con grande risonanza mediatica ai concluse con l’assoluzione piena degli imputati.L’articolo di “Otto & Mezza” che aveva suscitato forti polemiche era intitolato “Gli eroi sono morti” e si riferiva alle celebrazioni del 4 novembre precedente legate al 50.mo anniversario della vittoria dell’Italia nella Prima guerra mondiale. Manifestazioni che erano state particolarmente significative perché non erano ancora pochi i reduci e i loro familiari presenti alle cerimonie e soprattutto a quella principale al sacrario di Redipuglia presente, assieme a numerose autorità, l’allora senatore Giovanni Leone, che tre anni più tardi diventerà presidente della Repubblica. L’articolo criticava proprio l’enfasi di quella cerimonia e di quell’anniversario in cui venivano esaltati l’amor patrio dei soldati che “con grande abnegazione  avevano sacrificato volontariamente i migliori anni della loro vita o addirittura la vita stessa  in nome dell’Italia”.Parole, diciamo, che non erano state condivise dai redattori di “Otto&Mezza”. “Ma è proprio vero?”  si son chiesti e la risposta, rivolta ai reduci, era stata questa: “Riandando con la memoria a mezzo secolo fa, ricorderete che in guerra non ci volevate andare, come nessuno mai ha voluto, vi ci hanno costretto. Se vi rifiutavate, vi aspettava la forca e voi prima della vittoria la guerra l’avete odiata, avete odiato i generali che vi mandavano allo sbaraglio indifesi contro il nemico, uccidendo chi cercava di ritornare indietro”. Non ce l’aveva con i soldati, la redazione del periodico studentesco, anzi riconosceva il loro sacrifici, ma stigmatizzava l’ipocrisia  del mondo politico che una volta all’anno, salito sul palco, li ringraziava per poi dimenticarli per gli altri 364 giorni all’anno.Oggi, a cento anni dalla fine di conflitto mondiale, l’analisi storica su quella che papa Benedetto XV definì “un’inutile strage” è consolidata e tutti riconoscono gli orrori delle trincee, gli assalti suicidi voluti dalla strategia dei generali, che attuavano una ferrea e spesso disumana disciplina con i carabinieri  pronti a fucilare chi si ritirava dinanzi al nemico. Camillo Medeot aveva appena cominciato le sue  approfondite ricerche sulla guerra e proprio in quell’anno era uscito “Storie di preti isontini internati nel 1915” che apriva pagine nuove  su cosa era veramente accaduto dalle nostre parti ma i suoi studi, se  erano stati accolti con interesse dagli storici, non erano ancora entrati a far parte del patrimonio culturale comune.Oggi nessuno oserebbe criticare lo scritto  di “Otto & Mezza” ma allora, 50 anni fa, in una Gorizia, ancora era impregnata di una  retorica nazionalistica che esaltava acriticamente la battaglia di Vittoria Veneto e la vittoria, certi giudizi erano considerati quanto meno irriverenti. Tornando all’articolo “Gli eroi sono morti”, una parte della città si fece sentire, e ancor in modo rumoroso sebbene nessuno ricorse alla magistratura come era avvenuto tre anni prima a Milano.A farsi portavoce delle proteste, in particolare  delle associazioni d’arma e combattentistiche che avevano ancora una forte presa sull’opinione pubblica, fu il “Piccolo” che prese le distanze da “Otto & Mezza” rimproverando i giovani redattori. In un articolo dal titolo “Gli eroi non sono morti e ci insegnano sempre qualcosa”,  poneva l’accento sull’’ironia fuori posto  sul Monumento al Fante d’Italia e sugli ’eroi morti’. Quando certi valori non si capiscono bisognerebbe almeno avere il buon gusto di non discuterne”. La redazione do “Otto & Mezza”  aveva replicato sulle stesse pagine del quotidiano: “Non si à voluto assolutamente fare alcuna stupida ironia sul monumento al Fante, si precisa che noi riconosciamo e rispettiamo il sacrificio di tutti i combattenti. Ciò che non condividiamo è il modo con il quale la nostra società oggi li ricorda. noi crediamo che essi siano morti per una società più giusta  e più libera e non ravvisiamo nelle manifestazioni del 4 novembre una continuità,  in tempo di pace, degli ideali per cui essi si sacrificarono”. Il “Piccolo”, nella risposta alla redazione, nel sostenere i valori che erano alla base delle celebrazioni e dei suoi partecipanti, aveva  giudicato i giovani “spregiudicati”, la loro critica  eccessiva “non passata al filtro d’una cultura  più severa e d’una esperienza  umana più pregante”. Poi l’invito a “una ripassata a Tolstoi, se non al Vangelo – a cui pur dovrebbe ispirarsi – non farebbe male al periodico giovanile  che ha dimostrato poco senso di umanità”.Anche Voce Isontina si interessò di “Otto & Mezza”, ma non entrò nella polemica con il Piccolo: con un lungo articolo uscito sull’edizione del 2 marzo 1969 mette in evidenza la nuova veste grafica del periodico studentesco ma soprattutto il contenuto degli articoli dove  “si è data maggiore importanza agli argomenti  che riguardano i giovani”. Ma il titolo, di spalla a tre colonne, è quanto mai significativo: “Una nuova veste e impostazione al bel giornale degli studenti”.Dopo alcuni giorni la polemica si affievolì anche perché altri temi scottanti e più pregnanti erano di attualità: l’occupazione dei Cantieri di Monfalcone partita dagli elettrici per il rinnovo del contratto e la possibilità che Doberdò, sul Carso goriziano, che era in gara con Nardò, potesse ospitare il protosincrotone.  Si era mobilitata tutta la provincia e anche gli studenti, ancora immersi nel clima movimentista del Sessantotto, erano scesi in piazza per appoggiare la scelta di  Doberdò. La storia ci ha raccontato che le cose andarono diversamente. Come spesso è capitato in questi ultimi 50 anni a Gorizia e la sua provincia.