Franco Dugo: “Dipingere il silenzio”

Qual è lo stato dell’arte a Gorizia? Quali le difficoltà che un artista del nostro territorio, soprattutto se giovane, deve riuscire a superare? E ancora in tempi così “bui” per l’umanità intera, come può la bellezza dell’arte portare un po’ di luce? Abbiamo parlato di tutto questo con Franco Dugo, pittore goriziano che proprio in questo periodo è presente con la personale “Dipingere il silenzio. Opere 1997 – 2015” alla pinacoteca di Palazzo Attems in piazza De Amicis.

Maestro Dugo, la mostra ospitata a Palazzo Attems presenta una selezione delle sue opere. Com’è partita la scelta dei dipinti presentati e cosa si desidera trasmettere con il percorso suggerito?È stata forse la mostra più difficile da allestire per me, soprattutto per la scelta dei quadri da presentare, sul taglio da poterle dare. Con Giancarlo Pauletto – quasi il mio alter ego, siamo amici da una vita ed è stato il primo a scrivere su di me – abbiamo selezionato un periodo, per la precisione quello che va dal 1997 a oggi, partendo dal ciclo sulla natura intitolato “L’uomo dei castagni”, seguito da “L’uomo che entra nel bosco”, il ciclo dei “Boschi” – dove l’uomo non si vede più -, arrivando ai recentissimi cicli “Tramonti” sul Golfo di Trieste, che riporta nuovamente la figura umana, e “La grande nuvola” che presenta paesaggi dal Monte Calvario fino al Nanos. Ho voluto allestire una mostra proprio legata al nostro territorio, con paesaggi più o meno realistici e di memoria. Credo che la scelta, alla fine, abbia portato a una mostra unitaria e “pulita”, leggibile nel suo discorso; quello che voglio dire con essa è esattamente quello che si vede, ne più, ne meno. Poi ognuno si farà la propria opinione.

Si tocca il tema del “Silenzio” in questa mostra, una dimensione meditativa…Questo titolo è stato scelto da Giancarlo Pauletto e mi pare sia stata una scelta davvero azzeccata. È vero, sono lavori veramente nel silenzio, gli unici rumori che si possono percepire sono quelli della natura. Se uno poi vuole dare un’interpretazione, ce ne sono tante di metafore, tutte attendibili, ma io non mi sono “fissato” nel cercare di trasmettere un messaggio in particolare. Credo che ci siano molte cose inconsce quando un’artista lavora e non sempre può spiegare quello che lui vuole realizzare, ed è giusto così: secondo me l’artista non può lavorare per gli altri o per quello che gli altri potranno sentire o vedere; lo fa per come sente lui le cose e molte non riesce nemmeno a giustificarle o spiegarle, emergono così perché le si hanno dentro di sé.

A tal proposito, cos’ è per lei dipingere? Quali emozioni prova?Domanda a cui non è semplice rispondere. Bisognerebbe partire da lontano, quando pensavo di non poter fare questo mestiere e che la vita mi avrebbe portato ad altre cose. Evidentemente è una spinta interna quella di poter esprimere determinate cose che vedi o senti e questo è un gran dono. Poter fare un lavoro che ti soddisfa anche in questo senso è una possibilità che ti rende felice. È difficile poter parlare delle emozioni che si provano mentre si dipinge, nel mescolare i colori, nel metterli su tela… Quando, a causa di impegni, mi succede di passare periodi senza dipingere, non vedo l’ora di poter ricominciare: mettere la tela sul cavalletto non pensando a quello che dovrò fare ma lasciando andare la mano sui colori, lasciando che riempia la tela, lasciando che sia la parte di inconscio a guidare l’opera.

Arte e Gorizia: che rapporto c’è tra queste due “entità”? Ci sono abbastanza spazi espositivi e possibilità per gli artisti locali di far conoscere le proprie opere?Il nostro territorio è ricco di talenti ma è una zona molto isolata dai circuiti nazionali. Si parla spesso di noi come “artisti di confine”: personalmente è una cosa che posso capire ma che non accetto del tutto, perché per me il confine – dal punto di vista artistico – non è mai esistito, tant’è che già negli anni ’60 si collaborava con gli artisti jugoslavi e per noi era un territorio artistico unico. Tuttavia siamo rimasti sempre un po’ isolati dal resto d’Italia, perché qui non ci sono gallerie rilevanti o che, perlomeno, abbiano contatti con il resto del panorama espositivo nazionale. Gli artisti quindi non trovano questi spazi, devono con fatica uscirne e non sempre è facile uscire e prendere i contatti con le zone “maggiori” quali Milano, Roma, Bologna, per citarne alcune. Ci vuole determinazione e una forte volontà se si sceglie di fare l’artista, altrimenti si corre il rischio di rimanere artisti “isolati”: provinciali, locali e basta, non conosciuti fuori. Anni fa c’erano forse anche maggiori possibilità date da una presenza di personalità importanti come critici d’arte che avevano collegamenti con la Biennale o con gallerie sul territorio nazionale; quando però questi hanno smesso la loro attività, non c’è stato un rinnovamento. Certo è che un artista non può comunque aspettare che gli altri facciano per lui: deve andare in giro a farsi conoscere. È una cosa negativa quella di piangersi addosso: bisogna rimboccarsi le mani, uscire, farsi conoscere; le cose verranno poi da sé.Oltre a ciò, a Gorizia c’è anche una carenza da parte delle istituzioni, ma non perché gli artisti pretendano che esse facciano qualcosa per loro, semplicemente dovrebbero fare qualcosa di più. I Musei Provinciali, per esempio, per quanto svolgano già un ottimo lavoro, credo dovrebbero porsi come i depositari della pittura goriziana; questo manca ed è un po’ una lacuna. La Galleria Spazzapan di Gradisca, negli anni passati è stata molto vivace, ho avuto anche il piacere di fare parte del suo comitato scientifico. Adesso le cose sono un po’ cambiate e osservo come sia poco conosciuta in Italia; le manca il poter realizzare scambi con l’esterno.

Riguardo ai giovani artisti sul territorio, che possibilità ci sono per loro? Che consiglio può dargli?Il consiglio è proprio quello di uscire, di farsi conoscere anche fuori dal nostro territorio, altrimenti si rimane legati, incastrati, statici. I giovani di adesso vedo che cercano di uscire ed è giusto così. Questa però è anche una motivazione individuale, dipende da quanto uno crede nel suo lavoro: quando i giovani vengono a chiedermi consigli dico sempre loro di credere fermamente in quello che fanno e di avere le spalle robuste, forti per continuare, perché quello dell’arte è un mondo difficile. Ci sono tantissimi artisti e molti sono talentuosi: bisogna un po’ “combattere” per quello che si desidera; non basta avere le qualità, bisogna avere anche tenacia.In questo nostro territorio una cosa che manca è il collezionismo, che può essere una rampa di lancio proprio per i più giovani. Un collezionismo rivolto ai giovani, che punti a conoscerli, ad acquistare delle opere anche con la speranza che questi possano maturare artisticamente. Anche l’osservare un artista nello svolgere il suo lavoro lo può aiutare, andandolo a trovare nel suo studio…gli artisti hanno bisogno di questo.

Se i giovani però escono dal nostro territorio, non corriamo il rischio di “regalare” tanta buona arte agli altri?Se qui non ci sono le possibilità, non possono fare altrimenti. Un giovane deve informarsi su quali gallerie potrebbero essere interessate al suo lavoro. Si deve avere anche la capacità di resistere ai rifiuti – se ne ricevono molti, non c’è mai il “tutto e subito” – e di non farsi abbattere per questo. I ragazzi devono tenersi informati, leggere, farsi una cultura variegata sul mondo dell’arte, della letteratura…non si può dipingere e lavorare in questo campo senza avere aperture mentali e senza confrontarsi con altri artisti.Il mio consiglio quindi è di spaziare e farsi conoscere ma senza perdere le proprie radici, che danno tanto. Ampliare i propri contatti, ottenere informazioni per poi vivere anche questo nostro territorio dando un contributo culturale per modificarlo e migliorarlo. Voler bene a un territorio è anche questo.

In questo momento particolare di contrasti e divisioni, che contributo può dare l’arte, che messaggi può veicolare come forma di conoscenza e di cultura?È un problema serio e profondo. L’arte non può fare niente; gli artisti possono fare molto, ma così come lo possono fare tutte le persone. Ovvio poi che come tutti, anche tra gli artisti ci sono pensieri e posizioni differenti.Quello che stiamo vivendo è uno dei periodi più drammatici di sempre e Gorizia ne è colpita, perché geograficamente è in una posizione di crocevia. Quello che suggerisco ai goriziani è di non dimenticarsi di quello che Gorizia era una volta: una città che tranquillamente parlava tre lingue, che ha avuto tantissimi emigranti, che ha avuto vicende drammatiche con due guerre mondiali, che per lungo tempo ha conosciuto un confine che era l’ultimo baluardo verso l’est considerato “diverso”, che ha avuto contrasti con la minoranza slovena; il passato non va dimenticato, ma bisogna lottare per imparare dalle cose giuste e per superare, modificare, cambiare quelle che hanno ferito.Ora queste ostilità, questa malinformazione in città è un grandissimo errore, come creare il panico e la paura dopo i fatti di Parigi. Credo che la gente dovrebbe informarsi di più, andare a vedere come vivono questi rifugiati, andare a conoscerli, perché se conosci una persona o una situazione eviti di creare “fantasie”. Gorizia in questo momento si sta rivelando una città che non accetta e questa è la cosa che mi fa più dispiacere. Se non si vuole dare una mano, per lo meno non si sia ostili. Sarebbe bello – anche dal mondo dell’arte – trovare una forma per “scuotere” la città, ma il rischio è che sia solo fine a sé stessa e che non veda un proseguimento.

La mostra “”Franco Dugo. Dipingere il silenzio. Opere 1997 – 2015” è visitabile fino al 31 gennaio a Palazzo Attems – Petzenstein. L’esposizione, diretta e curata da Giancarlo Pauletto, curatore anche del catalogo, è visitabile da mercoledì a domenica dalle ore 10 alle 17, il giovedì orario prolungato fino alle 19.