Essere e poter essere

“C’è troppo…”. È già molto, se lo pronunciano con sognanti o rassegnati puntini di sospensione; i più lo schiaffano con sicuro e definitivo punto, o con clamante punto esclamativo. Ci si riferisce all’opinione di molti sul il dramma della conservazione dei beni culturali o ambientali, dalla villona del ’700  all’umile stagno pullulante di vita e biodiversità.Forse, anche questo bell’esempio di impegno sociale ci offre Gianpaolo Chendi. Col suo parlare idealista, pieno di futuro, rischia di rimpolpare la truppa di risposte ovvie, date senza neanche piccolo segno di sano “egoismo”. Certo, “egoismo”: il tenerci a territorio, storia, vera patria (terra dei padri), è proprio voler bene a sé stessi, e agli altri.A sé stessi: se non si guarda alla tradizione, non si “tradit” nulla, si “zoncia”, si squarcia l’aggancio al passato che guarda a un domani di cultura per tutti.Credendo di essere ciò “progressisti”, si diventa rassegnati, che si fanno governare dal tempo o da sordido profitto.Tranne le grandi realtà (Aquileia, Grado…), gran parte del poco che rimane nella Bassa, se ne sta andando. Non parliamo (da nord) della dogana teresiana di Nogaredo, della villa settecentesca di San Vito al Torre, o la Attems e l’altra baronale ancora non caduta ad Aiello, ma, sempre ad Aiello la chiesa di S. Domenico, ’700, in apnea, tenuta volonterosamente in vita, ma con futuro segnato; della Villa Antonini di Cavenzano crollata, alla pari Antonini a Saciletto (?), alla ancora Antonini villa ad Alture (quale destino?); alla Commenda di S. Nicolò di Levata, dal tetto giù… Guardiamo al tessuto connettivo di case, semplici, antiche, destino segnato, qua e là; se mancassero, farebbero l’ effetto in un cristiano, di una chiostra di denti bellissima, con qualche vuoto… Che fare?Si può pensare al nostro futuro, con la celebrata enogastronomia: mito di crodeghin e di refosco (di qualità1); non si illudano quelli delle pasciutaggini oroaddominali – se manca il resto, futuro non c’è! Refosco e crodeghin saranno a Honolulu e Ottawa; per associarli al refosco (c’è anche là), non faranno dispendiosi viaggi. Nostro unicum è la cultura; mandibola, palato, gusti di… tutto dopo, col dovuto e meritato rispetto.”Con la cultura non si mangia”, quelli di questa pietosa tesi, intendono solo, ciò che in friulano, potremmo chiamare “Cultura dal bugel”!Si sbandiera l’ essenza mitteleuropea? Proprio là si dirigeranno le correnti turistiche: stanno restaurando tutto.Si possono migliorare aree verdi lasciate a natura incolta; si possono rimediare apparati tecnologici buttati a “lì che la va ben” (si guardi all’antica area della chiesa di S. Agnese a Joannis, almeno con un paio di esempi), ma se cade ciò che vale, rimedio non c’è.Esempi di rinascita: la salvata villa Steffaneo Roncato a Crauglio dopo l’ incendio, lo splendido riuso d’una casa padronale (municipio di Romans), la centa di Joannis, ma è ancora troppo poco! Fatto un ottimo riepilogo su origini, vita, morte e vicende post mortem della ferrovia, Chendi sta parlando di due strutture (una andata, l’altra quasi): le stazioni della fu ferrovia Cervignano- Aquileia-Belvedere, una a Belvedere, l’altra a Terzo. Prende lo spunto da questa, per ragionamenti profondi, nati da studio, interesse.Degustando l’andare del libro, metafora di ferrovia, con locomotiva di ragionamento centrale e vagoni carichi di scrigni d’interesse, si vede che elabora un ragionamento più sofisticato e globale.Fa intravedere l’errore fondante di non aver riusato la ferrovia: serviva a portare turismo di alto bordo ai tempi dell’Austria, quando i giornali annunciavano che, dal Centroeuropa (prefisso Mittel di moda, senza che mentalità sottesa potesse crescere e rinnovarsi…), arrivavano la tal contessa o il tal arciduca in una Grado, tirata su da politici di rango: gli on. Faidutti e Bugatto (quanto riconosciuti?) che dell’Impero, a Grado, ci portarono financo il Primo Ministro. Sì, la ciclovia… E lungo essa ci metteremo gigantografie con foto di case padronali giù; di parchi scomparsi con le ville; di “architettura minore” con restauri di impressionante banalità?Una non più ferrovia – questa – non ancora morta del tutto: Chendi l’adopera per salvare (o poter salvare) ciò che vale, e fare un viaggio a ritroso, con relazioni di scavo, carte del tempo, ritrovamenti…Vien fuori uno spaccato di storia della archeologia aquileiese ai tempi di un’Austria attenta, con le prime leggi di tutela nel ’700 del canonico Bertoli, pioniere di scavi e descrizioni con le sue “Antichità aquileiesi”. Emergono i nomi di studiosi (Majonica); vi giganteggia Brusin, e ci sono benemeriti capocantiere, disegnatori e menzione degli sterratori.Venendo più in qua, si racconta di un dannato uso di ferrovia per la guerra e di un toccante viaggio del Milite Ignoto, che prima fermata fece nella libertystazione di Terzo, ancora elegante coi ferri battuti alle finestre, squarciata da disinteresse e di postumo, rabbrividente “menefrego!”.Il lettore potrà essere ammirato di come, da un centro di interesse, si possano sviluppare ragionamenti logici, concatenati, volti a protesta, ma aperti a proposta.La ferrovia non c’è più (almeno ci ha risparmiato la scimmiottatura del primo  viaggio del Milite Ignoto, ripetuta con militi… noti), il tracciato che rimane, poggia su solide basi; può raccontare ancora, partendo da ciò che Gianpaolo Chendi ci ha offerto: la Lokalbahn Cervignano-Aquileia-Belvedere, come filo di una collana con 27 perle vere e brillanti!