Diplomatici goriziani nel Medioevo

Talvolta può accadere di imbattersi in presentazioni di volumi tanto esaustive da provocare nei potenziali destinatari – più o meno inconsapevolmente – l’effetto opposto al loro precipuo obbiettivo: la lettura del testo integrale da esse illustrato. È pur vero che in certi casi una buona sintesi aiuta a risparmiare tempo e risorse, anche a fronte della imponente produzione bibliografica dei tempi nostri; nondimeno, nel lasciare volentieri questo compito ad altri ben più quotati e titolati di chi scrive, mi limiterò a segnalare alcune ragioni che spero invoglino i lettori di “Voce Isontina” a procurarsi l’ultima opera del nostro concittadino Federico Vidic, “Diplomatici goriziani nel Medioevo”, uscito per i tipi dell’Istituto di storia sociale e religiosa di Gorizia, 18° volume della collana “Fonti e studi di storia sociale e religiosa” (2020, 15 euro).L’autore è un diplomatico di carriera, attualmente in servizio nel regno di Giordania; chi lo conosce sa che egli vive la sua relazione con l’ars diplomatica in modo assai aperto, come si dice oggigiorno, ossia non esclusivo. Sono infatti sempre più assidue le sue “scappatelle” – consumate peraltro pubblicamente – con la storia, anzi, la grande storia, quella con la S maiuscola. Non si tratta, tuttavia, di meri “tradimenti”, benché c’entri il verbo latino tradere, che vuol dire consegnare. Quella di Federico Vidic è soprattutto una scrittura di fedeltà, originariamente ispirata da un’appassionata dichiarazione d’amore alla propria terra d’origine, la piccola “Patria” (Vaterland, terra dei padri) che la necessità lo obbliga a contemplare da lontano, sia nello spazio che nel tempo.  Forse la distanza è un buon punto di partenza se si vuole analizzare con il dovuto distacco le origini della “gorizianità”, considerata come il carattere unico e sfuggente di una esperienza che proprio nell’età di Mezzo inizia a maturare le proprie peculiarità. Per questo credo sia azzeccata la qualificazione individuata da Lucia Pillon (“una storia “esterna” della Contea), giacché racchiude in poche parole il senso di questo lavoro, la cui lettura riflette il respiro autenticamente europeo della dinastia comitale e della classe dirigente del nostro territorio di confine, periferico ma non marginale, nel complesso quadro dell’equilibrio politico e militare dell’Europa tra il Tre ed il Cinquecento. Sono questi i frangenti in cui fiorisce la stessa diplomazia, connessa a doppio filo con la nascita dello Stato moderno, che muove dall’Italia coinvolgendo le altre regioni europee, dal papa al sacro romano imperatore, da Venezia fino ai sovrani dell’Europa orientale, compresi il sultano ottomano ed il gran duca della Moscovia. Si tratta dei primi scambi culturali, politici, militari ed economici condotti secondo modelli e regole di rappresentanza che nell’autunno del Medioevo principiano ad essere sperimentati, tra alterni successi. Anche Gorizia, o meglio, alcuni esponenti della sua nascente aristocrazia, vi giocano un ruolo rilevante, fino ad oggi non opportunamente ed organicamente riconosciuto. Basti considerare che goriziani furono i primi “ambasciatori” dell’impero asburgico presso le corti di due potenze quali la Russia e l’impero ottomano (rispettivamente Giorgio Della Torre ed il suo secondo cugino, Giovanni); parimenti, Fridericus de Goricia (Federico Strassoldo) fu protagonista di una missione segreta promossa in chiave antiveneziana dall’imperatore Massimiliano I alla corte del Gran Signore, il Sultano turco Bayezid II, nel 1511. Sfogliando le 251 pagine di questo volume, impreziosito da un valido indice dei nomi di persona e dei luoghi menzionati oltre che da belle immagini, si incontrano altre personalità meritevoli di attenzione, quali Michele Rabatta, a cui si deve la costruzione della chiesa di Santo Spirito al Castello, Virgilio von Graben, ambiguo fiduciario dell’ultimo conte Leonardo, Erasmo di Dornberg, astuto ambasciatore imperiale nella Repubblica di san Marco sul nascere del XVI secolo.Grazie ad una solida base bibliografica e documentaria costruita con attenzione, Federico Vidic ha saputo raccontare in modo avvincente il susseguirsi turbolento degli eventi che fanno di Gorizia tappa obbligata di strategie politiche globali, per mezzo di cui Venezia da una parte ed il sacro romano Impero della nazione germanica dall’altra si contendevano l’influenza sull’Italia settentrionale e, di conseguenza, sul quadrante meridionale del continente e del Mediterraneo. Un’importanza che l’autore non esita a definire “assolutamente centrale (…) a livello europeo, affatto sproporzionata rispetto” alle dimensioni della cittadina posta sulle rive dell’Isonzo (p. 155).Mi piace concludere dall’inizio, riprendendo i motivi ispiratori della prefazione di Sergio Tavano, ove sono rapidamente passati in rassegna i tratti proprî del cosmopolitismo culturale del Goriziano, dei quali questo Medioevo così dinamico fu l’humus quanto mai fertile e che neppure le successive fortune, alterne e spesso avverse, hanno voluto o potuto del tutto obnubilare.