Bartolomeo di Porcia , Visitatore apostolico

La giurisdizione del Patriarcato di Aquileia giungeva sino alla Drava da quando Carlo Magno pose quel fiume a confine fra esso e l’arcidiocesi di Salisburgo (14 giugno 811).Dopo la conquista del patriarcato (1420), i Veneziani confinarono con gli Asburgo, che “fecero di tutto per sbarazzarsi della giurisdizione ecclesiastico – politica aquileiese – veneta, ma non riuscirono che a creare il piccolo vescovato ljubljanese nel 1462, staccandolo dalla giurisdizione aquileiese”. Difficoltà diplomatico – politiche impedivano soluzioni che ponessero rimedio all’abbandono religioso in cui erano quelle genti.La Casa d’Austria, fin dal ’500, mirava a un vescovado a Gorizia per colpire i diritti veneziani sul patriarcato. Il serpeggiare del Luteranesimo, la volontà di far rispettare i canoni tridentini, gli scarsi risultati del Sinodo di Aquileia del 1565, e degli interventi del vicario patriarcale Jacopo Maracco, indussero la S. Sede a preparare una visita apostolica.La consumata abilità diplomatica romana fece cadere la scelta sulla persona adatta: il 3 settembre 1569 una lettera di Papa Pio V comunicava la nomina a Bartolomeo di Porcia.Nato nel 1540 (dottorato in teologia all’Università di Padova), stimato per vasta cultura acquisita anche a Bologna e a Roma, nel 1566, dopo la rinuncia del card. Carlo Borromeo, gli succede da abate commendatario nella abbazia di Moggio. Dopo la missione nella parte austriaca della diocesi di Aquileia, nominato legato pontificio nella Germania meridionale, morì a Praga nel 1578.È persona gradita a Roma e alla Casa d’Austria; nativo del Friuli, conosce la situazione; tra i principi austriaci e la sua famiglia erano già intercorse buone relazioni; vero diplomatico equilibrato, è stato famigliare del card. Carlo Borromeo.L’Arciduca Carlo, d’accordo, pone dei limiti: dovrà visitare contea di Gorizia e capitanati di Gradisca e Tolmino per “corretione delle persone religiose”, differendo “le provvisioni contra i laici”. La sospettosa, prudente, politica austriaca è soddisfatta. Il Porcia procederà coi piedi di piombo; rivelerà “diligenza coscienziosa…prudente criterio… infaticabile operosità”. Per 4 mesi gira in lungo e in largo, avverte prima i curati dell’arrivo per non perder tempo; ispeziona tutto, fa annotare fin i minimi particolari; penetra dappertutto. La sua analisi è totale; giudica; punisce; esorta. Trova delle difficoltà: a volte è la salute, altre le situazioni difficili sul piano locale.La visita inizia l’11 febbraio, alle 14, ad Aquileia. Ha un seguito di 9 persone, tra cui Agostino Varisco, notaio e cancelliere, che lasciò splendide relazioni.Un documento così ricco va analizzato in modo adeguato. Spesso ci si è rivolti a tali carte più con intenzione di trarne dei pezzi di colore che di entrare in consonanza con persone vissute in altri tempi, e altri contesti culturali. Si è mirato a curiosità, scandalismo, non a valutare l’anima di storie personali e collettive.Qui si è di fronte soprattutto a ciò che non funziona: si agiva per rimettere in assetto di navigazione la barca di Pietro, con indagini ficcanti e provvedimenti drastici.Chi non rinunciasse a leggere anche in filigrana la situazione, si troverebbe nelle medesime condizioni di chi cercasse la moralità nell’archivio di una pretura.Le relazioni mostrano una religiosità ancora intatta, medievale, con – nelle chiese – uno sfavillio di ancone dorate, affreschi; con usi consolidati nei secoli; confraternite, propositive, insieme, e spazi di libertà per i laici.Prendiamo la visita a S. Vito al Torre, per alcune singolarità. È nella pieve di Aiello; la chiesa è dedicata a S. Vito, ma ci sono altri santi venerati che richiamato la protezione dalle acque come lui: altare di S. Giovanni Battista; per la sua festa, il pievano Giovanni de Longis è tenuto a celebrar messa, come per altri due santi “di acqua”: Santa Maria Maddalena e Sant’ Andrea. Per S. Bonifacio (5 giugno), fra i cui attributi c’è una fonte, si va in processione a S. Giovanni di Duino…accanto alle bocche del Timavo!La chiesa attuale è almeno la III (un’ abside a fondo trapezoidale emerse durante restauri in anni relativamente recenti). Al tempo, sorgeva come oggi sullo stesso rialzo artificiale, ma era molto più piccola, difatti la circondava un cimitero. Ora l’orientamento E-O è segnato da una stella di pietra incastonata all’esterno della chiesetta invernale. Qui sono stati scoperti degli affreschi, rimessi in luce qualche decennio fa. La visita del Porcia non ne parla; forse c’erano già. Bene, questa comunità minima (150 anime da comunione, senza i fanciulli) aveva, nell’altar maggiore, una pala con numerose statue lignee, definita “bellissima”, ed era in grado di aver fatto da poco un’altra pala d’altare (della SS. Trinità) su tavola, “bene picta”. Le rendite erano buone: 12 campi, dai quali cavavano 20 staia di frumento, ben 40 conzi di vino (1 co=80-90 l.) e alcuni prati. Del tutto singolare che, a reggere la loro confraternita (della Trinità), ci fosse una donna. Era lei che aveva istituito la confraternita e l’amministrava insieme con l’altare da lei fatto erigere. Spiegano il perché fosse lei a capo: oltre a quello che aveva fatto (speso “di suo”), aveva intenzione di dotare la confraternita con un campo. La situazione morale, tutto sommato era buona, salvo che per il sacramento del matrimonio, non ancora celebrato secondo i canoni tridentini.Provvedeva alle anime dei Sanvitesi il cappellano Pascolo. Ordinato nel 1566, dal vescovo di Lubiana Pietro (Peter von Seebach 1560 – 1571), era sacerdote di buona fama, ma il teologo che lo interrogò, lo trovò deboluccio come dottrina. Una nota patetica: per le suppliche dei parrocchiani, fu lasciato in cura d’anime, ma doveva limitarsi alle confessioni solo dei fanciulli fino a 12 anni, finché non avesse colmato le lacune dottrinali.Trascorsi 450 dalla visita; ma il fascino del racconto spalanca una realtà quasi contemporanea.