Ad ognuno il suo tempo giusto

Quanti di noi sono portati a pensare che l’attività sportiva – e la corsa in particolare – siano solo un “mero” beneficio per il nostro fisico, il sistema cardiocircolatorio, la linea…? Oltre a questo invece, dietro ad una corsa, c’è molto di più: c’è il prendersi tempo per sé stessi, c’è l’ascoltarsi, c’è anche il voler capire (e, perché no, sfidare) i propri limiti.Abbiamo parlato di tutto questo con Luca Grion, professore associato di Filosofia morale all’Università degli Studi di Udine, presidente dell’Istituto e del Centro Studi Jacques Maritain, direttore della Scuola di Politica ed Etica Sociale dell’Arcidiocesi di Udine, nonché maratoneta, uscito negli scorsi giorni nelle librerie con il suo ultimo lavoro, “La filosofia del running”, edito da Mimesis nella collana “Il caffè dei filosofi”.

Della corsa si sa, se non molto, almeno abbastanza sui benefici che essa può apportare a livello fisico. Certamente invece molto meno si conosce di quello che scatena a livello mentale. Lei indaga anche questo nel suo ultimo lavoro editoriale. Cosa succede allora all’interno della nostra “testa” quando si inizia a praticare la corsa? E che benefici può apportare anche esternamente? Ossia, crea forse degli schemi che poi si rivelano utili anche in altre attività?Nel mio libro rifletto soprattutto sulla corsa di resistenza, un’attività che porta a trascorrere molto tempo con se stessi, accompagnati solo dal martellare monotono di passi sulla strada. Un tempo di silenzio, nel quale la testa si riempie di pensieri e si ha la possibilità di porsi in ascolto del proprio mondo interiore. Pur essendo un testo che parla di corsa, però, questo libro non è dedicato solo agli amanti del run-ning, ma a tutti coloro che vogliono lasciarsi interrogare dalla grande lezione dello sport. Riflettere sul senso della corsa è infatti il pretesto per parlare anche d’altro: di amicizia, inclusione, solidarietà, educazione, valori. Soprattutto vorrebbe essere un modo per ragionare di vizi e di virtù in modo non moralistico, cogliendo il loro essere, nel bene e nel male, termometro della nostra salute esistenziale, indicatori dello stato di forma della nostra vita interiore.

Perché si sceglie di avvicinarsi al mondo del running? Certamente le motivazioni saranno diverse da persona a persona, ma crede che in qualche modo sia possibile delineare dei tratti comuni? Lei, ad esempio, perché si è avvicinato a questa attività sportiva?Si può correre per diversi motivi, spesso per più d’uno. Lo si può fare per tenersi in forma, per di-magrire, per prendersi cura del proprio stato di salute; lo si può fare per il piacere di stare all’aria aperta, di correre in compagnia, di sfidare se stessi e gli altri. Lo si può fare, anche, per provare a conoscersi un po’ meglio, confrontandosi con i propri limiti e con proprie fragilità. La mia esperienza di runner è simile a quella di tanti amatori. Nulla di particolare. Ho cominciato, come spesso accade, in vista dei quarant’anni; sentivo la necessità di perdere qualche chilo e di contrastare gli effetti negativi di una vita troppo sedentaria. Poi, un po’ alla volta, mi sono lasciato irre-tire dall’adrenalina che regala l’appuntarsi un pettorale sulla maglietta e non ho più smesso.

Nel suo ultimo scritto troviamo la filosofia abbinata al running. Ci racconta dove possiamo (noi “profani”) trovare le tracce della filosofia nel nostro correre? Cosa l’ha spinta a cercare e dove ha trovato queste letture filosofiche all’interno del mondo dello sport?La filosofia non è altro che uno sguardo critico sul mondo; uno sguardo curioso che cerca di cogliere il significato autentico delle cose. Fare filosofia significa dunque, per quanto possibile, porsi in ascolto intelligente della vita. Da questo punto di vista lo sport rappresenta un oggetto di studio di grande interesse: parliamo infatti di uno spazio di libertà e di creatività nella quale l’uomo, mettendosi in gioco, può apprendere lezioni estremamente importanti; il bello è che lo fa divertendosi. Se vissuto in modo equilibrato lo sport è quasi una medicina dell’anima e anche per questo ho deciso di dedicare questo libro alla Dynamo Camp, un’associazione fantastica che usa il gioco come vera e propria terapia ricreativa (la Dynamo Camp è una onlus toscana che ospita gratuitamente bambini e ragazzi dai 6 ai 17 anni con patologie gravi e croniche sia in terapia che in fase di post ospedalizzazione).

Tra le varie sezioni del suo libro, si sofferma anche sull’etica. Il pensiero di molti potrebbe correre ai più giovani, in tutte le discipline sportive: è proprio lì che si dovrebbero dare solide basi etiche e di fair play, purtroppo invece molto spesso si assiste a scene poco edificanti, soprattutto da parte degli adulti che accompagnano questi ragazzi. Qual è il suo pensiero riguardo questo problema?Può sembrare un paradosso, ma uno dei maggiori problemi dello sport è rappresentato dalla narrazione eccessivamente positiva che lo accompagna e che abitualmente lo descrive come una scuola di vita nella quale apprendere straordinarie virtù civiche e morali. A far problema, ovviamente, non è il contenuto ideale di tale narrazione, ma la distanza che separa quelle parole dalla realtà. Troppo spesso, infatti, ciò che si dichiara pubblicamente non si incarna nei comportamenti quotidiani di dirigenti, allenatori, genitori. Si assiste anzi ad una sorta di doppia verità: alcune cose vanno dette, ma non necessariamente fatte; altre, invece, vanno fatte – soprattutto se consentono di vincere – senza però che si venga a sapere. Se crediamo nel valore educativo dello sport dovremmo allora impegnarci per ridurre la distanza tra parola e azione, offrendo esempi coerenti e credibili ai più giovani.

Volendo trarre una sintesi, quasi estrema, qual è l’insegnamento – anche personale – che la corsa ci può donare?Una delle lezioni più belle che la corsa ci offre è legata al modo col quale il runner affronta il tempo meteorologico: chi ama correre, infatti, non attende le condizioni ideale; poco importa pioggia o gelo, caldo afoso o vento fastidioso, egli sa scorgere anche in quello che per i più è solo “brutto tempo”, il “tempo giusto” per fare ciò che ama. Come sarebbero migliori le nostre vite se anche noi im-parassimo ad accettare la sfida del qui e ora, gustando la quotidianità per ciò che ci offre, anziché recriminare per ciò che vorremmo che fosse. a cura di Selina Trevisan