100 anni fa: la tragedia dei gas sul San Michele

Il bollettino di guerra del 30 giugno 1916, recava questa notizia: “Sul Carso nella zona di Monte San Michele e di San Martino del Carso, l’avversario, disperando di contrastare in  altro modo la nostra azione offensiva, spinse ieri sulle nostre linee dense nubi di gas asfissianti, alle quali fece seguire un violento contrattacco. Le nostre valorose truppe, sfidando gli elementi deleteri del gas, respinsero con magnifico slancio le colonne nemiche, infliggendo loro sanguinose perdite e prendendo 403 prigionieri”. Sul fronte carsico, questa orribile azione con il gas asfissiante soffocò più di seimila soldati italiani. Il gas adoperato dagli austro – ungheresi era conosciuto già dal 1886 ed era stato adoperato il 22 aprile 1915 dai francesi e non dai tedeschi, come si è sempre creduto, durante la seconda battaglia di Ypres nelle Fiandre, da cui il nome iprite, provocando migliaia di morti; questo gas si presentava sotto forma di un liquido poco volatile e molto persistente e che poteva permanere sul terreno per parecchi giorni avendo come sentore della sua presenza solo l’odore di cloro che emanava. All’epoca, questo gas si dimostrò ben presto il più temibile delle armi chimiche di allora e vennero impiegati contro l’avversario provocando un numero di perdite otto volte maggiore degli aggressivi fino ad allora usati. Secondo un punto di vista militare, il “pregio” di questo gas, oltre alla sua persistenza sul terreno, era quello di passare attraverso gli indumenti e, per difendersi, sarebbero stati necessari degli speciali tessuti impermeabili, che di fatto erano impossibili da indossare per il lungo tempo richiesto, specialmente d’estate. L’iprite fu usata per la prima volta dagli Austriaci fra il monte San Michele, San Martino e Bosco Cappuccio di Castelnuovo, nella mattinata del 29 giugno 1916.L’attacco con i gas asfissianti aveva richiesto un’accurata preparazione; già dalla primavera, secondo il comando austroungarico, era stato progettato di migliorare in avanti la posizione tra il Vipacco e q. 197 (Bosco Cappuccio) per ottenere, con ciò, condizioni più tollerabili per le sue truppe di prima linea; questa doveva assolutamente, per motivi strategici, essere nuovamente portata sulla sponda del vicino Isonzo. I preparativi ebbero inizio nel marzo 1916 e si protrassero fino al giugno, specialmente, come asserisce il gen. Boroevic “…perché l’organizzazione corrispondente del battaglione speciale zappatori non poté essere ultimata prima della fine di maggio”. Gli Austroungarici si erano ripromessi, con questa azione, di liberarsi delle truppe italiane del settore di “San Michele, San Martino e Bosco Cappuccio di Castelnuovo”, per rigettarle, come detto, oltre l’Isonzo. Sono i giorni che precedono la sesta battaglia dell’Isonzo che porterà, poco più di un mese dopo, alla presa di Gorizia ed al primo vero successo offensivo di Cadorna.Stabilito il fronte d’attacco con i gas, vennero collocate nelle trincee avanzate, in apposite nicchie preventivamente scavate in segreto, delle bombole, che erano cilindri in acciaio della capacità di quaranta litri di liquido. Il gas contenuto nelle bombole a 150 atmosfere comportava che, per sferrare un attacco efficace, fossero necessarie un migliaio di queste per un chilometro di fronte da investire e, l’azione, doveva essere eseguita di notte o al massimo nelle prime ore del mattino, per cogliere di sorpresa gli uomini, per ostacolare i rifornimenti, per stancare le truppe con continui allarmi e oltre a ciò perché, nelle ore notturne, vi è maggiore calma di vento. Inoltre, nelle ore notturne o di primo mattino, il gas assicurava il massimo risultato possibile, giacché la prontezza a difendersi dai gas era minore da parte delle truppe perché prese nel sonno; anche alle sentinelle riusciva più difficile di notte riconoscere i gas. Una volta collocate nelle trincee, alle bombole era necessario applicare dei tubi di piombo che sporgessero dalle trincee stesse con l’imboccatura rivolta verso le posizioni avversarie. Bisognava quindi attendere il vento favorevole e l’ordine di aprire le bombole dopo che un battaglione addestrato di zappatori, agli ordini del capitano G. Owen, aveva collocato nelle prime linee, sul versante occidentale, tra il monte San Michele e San Martino del Carso, 6.000 bombole ricoperte da 11.500 sacchi di terra.Il 29 giugno 1916, dopo una nottata di pioggia battente, tra le ore 5,30 e le ore 6, il comandante del Battaglione speciale Zappatori aggregati alla 33/a Brigata della XVII Divisione, capitano G. Owen, diede ordine di aprire i contenitori dei gas asfissianti sorprendendo nel sonno le truppe italiane. L’attacco successivo fu particolarmente violento su un breve tratto di fronte e cioè dalle posizioni di q. 275 del San Michele a San Martino del Carso, con obiettivi la q. 197 di Bosco Cappuccio e giù dal declivio verso il fiume Isonzo tra Sdraussina e Sagrado.Dopo breve attesa dall’apertura delle bombole di gas, nel settore del monte San Michele, l’81ª Brigata della 20ª Divisione Honved attaccò su due colonne: la prima colonna, aveva il compito di avanzare nel tratto in prossimità tra Cima 1 e Cima 3 per prendere alle spalle le truppe della 22ª Divisione italiana; la seconda colonna, che operava da Cima 3 a Cappella di San Martino, doveva aggirare le truppe italiane poste all’ala sinistra della 21ª Divisione. Mentre la nube di gas asfissiante investiva le trincee in prima linea, avanzando verso il basso rasentando il terreno, l’attacco a.u. si sviluppò particolarmente violento tra Cima 1 e Cima 2 e fra le Cime 3 e 4 del San Michele, di cui vennero subito travolti il II Btg. del 20° Rgt. e il I Btg. del 19° Rgt., tutti e due della Brigata Brescia, mentre il II Btg. del 20° Rgt. e il I Btg. del 19° Rgt., tutti e due sempre della Brigata Brescia, vennero particolarmente colpiti dal gas. Ciò nonostante, i superstiti dei due battaglioni, rinforzati da un Battaglione della Brigata Firenze e cioè dal III Btg. del 128° Rgt. che era in pianura a riposo, nel pomeriggio erano già stati in grado di contrattaccare e di riportarsi sulle posizioni perdute. Nel tratto tra Cima 3 e Cima 4, difeso dal II Btg. del 48° Rgt. della Brigata Ferrara, riuscì ad organizzare un’estrema difesa impedendo all’avversario di invadere i terreni già conquistati. Poi, con l’aiuto di due Battaglioni della Brigata Brescia (il III Btg. del 48° Rgt. e del II Btg. del 19° Rgt.) chiamati dalla riserva divisionale, le posizioni sottostanti la Cima 3 vennero riconquistate.Intanto, nella zona di San Martino, la 33ª Brigata della 17ª Divisione a. u., attaccò quel settore predisponendosi sempre su due colonne: a nord da Cappella di San Martino a q. 174; a sud da q. 174 a q. 197 di Bosco Cappuccio. Ambedue le colonne a.u. penetrarono nelle linee avversarie.La linea italiana, occupata dai reparti delle brigate Pisa, Regina e Ferrara che proprio in quel momento stavano attuando una complessa manovra di avvicendamento, patì notevolmente le conseguenze della nube tossica, la quale si abbatté sulle trincee e ristagnò nelle depressioni e nelle vallate poste tra le prime linee italiane e il corso dell’Isonzo. Anche qui si ebbero dei gesti eroici da parte dei soldati italiani e in modo particolare del capitano Arturo Pannilunghi e del tenente Paolo Capasso, entrambi del 30° Rgt. della Brigata Pisa (1).Gli effetti dei gas erano stati fulminei ed aggressivi e i soldati ancora validi, ripiegarono verso il basso per sfuggire ai pericolosi effetti. Di questo fatto abbiamo una testimonianza diretta annotata dal capitano Michele Gabrielli del 48° Rgt. della Brigata Ferrara, che scrive: “…Dopo aver dato gli ordini opportuni, e aver sistemato la compagnia, bagnato com’ero, mi appoggiai alla trincea, e stanco mi assopii. Dopo un paio di ore incominciò a sorgere il sole del 29 giugno! Mi tolsi la giubba, e in camicia mi godevo il tiepido calore di quel sole mattutino. Come ho già detto quella volta ero capitato in rincalzo immediato di battaglione, dietro la Cima Quattro del San Michele, su di una piccola montagnola, distante circa cento metri dalla nostra trincea di prima linea, che a sua volta era lontana da quella nemica, pochi metri. Da punto dove io mi trovavo, sollevando la testa fuori dalla trincea, vedevo magnificamente verso sinistra le due linee e cioè la nostra e l’austriaca, fino a quasi l’Isonzo. Tutto era calmo. Non un colpo di artiglieria, non un colpo di fucile. Regnava la tranquillità più perfetta. Improvvisamente, erano appena passate le cinque, d’innanzi alle trincee nemiche, per tutto il tratto che abbracciavo con lo sguardo, vedo levarsi un denso fumo color giallognolo, che innalzava da terra non oltre i due metri e mezzo lentamente avanzava verso le nostre trincee, le raggiungeva, le oltrepassava, e seguendo il declivio del monte procedeva verso l’Isonzo. Sul cucuzzolo dove io mi trovavo, ne fu circondato alla base. Cosa fanno gli austriaci stamani? Pensai. Cosa sarà quel fumo? Dopo pochi minuti, giunse qualche soldato dei miei, che si trovava più in basso, dalla parte della montagnola dove eravamo, esterrefatto, giallo in volto, che respirando affannosamente mi dice: – Signor Capitano… i gas asfissianti!!… Io non sapevo, né immaginavo la potenza di quel gas! Beh! Dissi, non impressionatevi, non è nulla… – venite un po’ verso la cima. Per ogni buon fine, feci passare l’ordine di mettere la mascherina, e di stare pronti a qualsiasi evento. Io mascherina non ne misi, e sentivo nell’aria un forte odore di cloro. Stavo col busto fuori dalla trincea, e guardavo. Ad un tratto, vedo dalle trincee austriache di Cima Tre, di Cima Due, di Cima Uno, saltare fuori il nemico, correre verso le nostre, raggiungerle, entrarvi dentro, e in qualche punto uscire a ridosso e proseguire oltre. Da parte nostra, non un colpo… nulla! Ma cosa succede stamani!? mi chiedevo…e i nostri cosa fanno? Incominciai a impensierirmi. Dopo poco, vedo avanzare in trincea e venire dalla mia parte un gruppetto di soldati che reggono a fatica un ufficiale; mi precipito incontro e riconosco l’aiutante maggiore del mio battaglione, pallidissimo con gli occhi semi spenti. – Del Duce, cos’hai!? Cos’è stato!? Gli grido io – Gabrielli – aiutami…muoio…i gas. Puzzava tremendamente di cloro. Lo feci adagiare per terra, gli feci togliere la giubba impregnata di gas, e gli spruzzai il volto con acqua fredda. Del Duce rispondimi…e il Colonnello?!? il Reggimento!? Il Maggiore!? …Cosa avviene laggiù!? – Morti…morti…quasi tutti…Non c’è più nessuno!…” (2). I gas lanciati erano di una potenza venefica straordinaria, produssero effetti rapidi e violenti; numerosi colpiti, presi nel sonno, caddero contorcendosi in un dolore muto, altri si ripiegarono in strane positure, morendo quasi fulmineamente; la maggior parte degli ufficiali non furono più in grado di esercitare qualsiasi azione direttiva e di comando; i soldati ancora validi, presi dal panico, ripiegarono verso il basso, illudendosi di trovare scampo.Il Comandante del 10° Rgt. e il Comandante della Brigata Regina, riuscirono a fermare parte della truppa, che si stava ritirando con l’avanzare della nube tossica, mentre i reparti all’estrema destra dello schieramento della Brigata Regina, non investiti dai gas, riuscirono a fermare l’avanzata delle forze avversarie, con l’aiuto del tiro di mitragliatrice e di qualche batteria di cannoni, per tutto il giorno.Verso sera sul fronte, furono sostituite le truppe che erano state colpite dai gas. Il 9° Rgt. Fanteria occupò con due battaglioni il sottosettore della Brigata Regina e con uno quello della Brigata Pisa; il 10 Rgt. si concentrò nella vicina Sagrado; nel settore della Brigata Pisa oltre al suddetto battaglione del 9° Rgt. si dislocarono il I Btg. del 29° Rgt. e il IV in rincalzo. Gli altri quattro battaglioni della Brigata Pisa si raccolsero in fondo valle per riordinarsi.Il piano avversario così era dunque fallito per il tenace sforzo compiuto dalle truppe dell’XI Corpo d’Armata, le quali erano riuscite, ancor prima di sera, dopo un contrattacco, a riconquistare fin l’ultimo palma di terreno momentaneamente perduto. In questa occasione il comandante della Terza Armata Emanuele Filiberto di Savoia Duca d’Aosta emanò il seguente proclama: “Fanti eroici delle Brigate Regina, Brescia, Pisa e Ferrara, che nel cuore portate sempre accesa la fiamma del sacrificio per la Patria – Fanti della Terza Armata, che aggrappati sul S. Michele ne irroraste di sangue le pendici, stroncati dal fuoco, ma saldi nella dura trincea – Fanti d’Italia, invincibili come Legionari di Roma, umili e grandi come i martiri di Cristo – io sono fiero di salutarvi oggi, nuovamente vittoriosi. /Il nemico, incapace di vincervi con armi leali, cercò – con mediata ferocia – di fiaccarvi coi gas venefici. Ma la causa santa d’Italia non si abbatte con alcun mezzo. Essa è passata e passerà ancora attraverso durissime prove; ma un giorno verrà che un trionfo romano glorificherà le lotte, le ansie, i patimenti di un secolo./ Piccoli Fanti allineati nella trincea – vostro martirio e vostra gloria – voi non poteste spiccare l’assalto perché vigliaccamente vi fulminò l’impotente ira nemica: e giaceste con l’arme in pugno per difendere la linea con suprema energia, negli ultimi spasimi di una morte oscura./ I vostri compagni vi hanno già vendicato, ricacciando il nemico ne’ suoi covi; ma io vi dico, o fratelli caduti, che non è lontano il giorno in cui i Fanti d’Italia porranno il piede sulle contrastate cime del S. Michele: quel giorno sarà di castigo per il nemico e di vindice trionfo per Voi, ufficiali e soldati dell’XI Corpo d’Armata” (3). -Nel corso dell’attacco, gli austroungarici usarono pure delle mazze ferrate per colpire i soldati italiani tramortiti dai gas e la cosa destò profonda indignazione. Il massiccio uso propagandistico dell’abbinamento tra il gas e la mazza chiodata, un’arma tecnologicamente avanzata unita ad un rimasuglio medievale (ma le vanghette ed i calci dei fucili avevano la stessa funzione), impressionò i combattenti direttamente coinvolti, pure abituati ad ogni genere di efferatezze belliche, ma soprattutto impressionò l’opinione pubblica, le famiglie dei combattenti, provocando un diffuso aumento del rancore nei confronti dell’avversario ritenuto barbaro. Ovviamente gli italiani non furono poi da meno nell’uso dei gas, impiegati in gran quantità specie nella battaglia della Bainsizza (e nell’11ª battaglia dell’Isonzo in generale). Verso la fine del conflitto l’uso dei gas era ormai diventato pratica corrente, tanto che nel luglio del 1918 le dotazioni dell’artiglieria austro-tedesca contenevano circa il 50% dei proiettili a gas; più o meno della stessa entità erano le dotazioni italiane.Nella sera del 29 giugno 1916 le truppe investite dai gas vennero sostituite dalle riserve.L’attacco austroungarico in complesso mancò allo scopo che si era prefissato e cioè cacciare le truppe italiane oltre il fiume Isonzo, lasciando però, in quella giornata, 6.428 morti (di cui 172 ufficiali) fra le truppe italiane; non si conosce il numero dei feriti e degli invalidi permanenti. Le truppe austroungariche di quel 29 giugno 1916 furono di 215 uomini di truppa morti in combattimento di cui 42 causa del gas. 10 ufficiali morti in combattimento di cui 3 causa del gas. 778 uomini di truppa e 7 ufficiali feriti in combattimento. 219 soldati e 1 ufficiale ammalati, colpiti dal gas. 415 soldati e 11 ufficiali dispersi.Oggi, i Caduti italiani dopo essere stati tumulati provvisoriamente nel cimitero militare di Sdraussina (non più esistente), dagli anni Trenta del Novecento riposano nel Sacrario di Redipuglia; mentre i Caduti austroungarici sono stati tumulati nei vari piccoli cimiteri posti sul Carso e successivamente raccolti nei vari cimiteri oggi posti nella vicina Slovenia.

Note1) Motivazione per la concessione della Medaglia d’Oro al Valor Militare al capitano Arturo Pannilunghi, da Siena, comandante di compagnia e del tenente Paolo Capasso, da Agerola (Na), vice-comandante di compagnia; ambedue del 30° Rgt. della Brigata Pisa:”Capitano Pannilunghi Arturo: “Durante un improvviso attacco nemico con gas venefici, tratto in salvo il proprio colonnello asfissiato, benché in preda egli stesso ad atroci sofferenze, impugnata la bandiera del reggimento, non lasciò il suo posto finché non vide saldamente ripresa la posizione e posto in salvo il glorioso vessillo. Spirava dopo quattro giorni per effetto della prolungata azione dei gas cui volontariamente era rimasto esposto (S. Michele, 29 giugno 1916).Tenente Paolo Capasso: “Durante un improvviso attacco nemico con gas asfissianti, sebbene già in preda ad avvelenamento, si lanciava contro il nemico alla testa dei propri uomini, lo arrestava e lo incalzava, finché, morente, cadeva per non più rialzarsi (San Michele, 29 giugno 1916).-2) Gabrielli Michele, Ricordi di Guerra, pp. 78, 80 e 81, Gorizia 2006.-3) Proclama tratto dal volume: “Orazioni e proclami di S. A. R. Emanuele Filiberto di Savoia Duca d’Aosta”, a cura di un fante della Terza Armata, Bologna 1926

Lo Storytelling rievoca quei terribili giorni – a cura di Ivan Bianchi

A far rivivere la storia è lo Storytelling, innovativo metodo che induce lo spettatore o l’ascoltatore a rivivere i fatti storici che gli vengono narrati. La Pro Loco di Fogliano Redipuglia si è rivelata pionieristica in questo campo, mettendo in piedi in pochi mesi un gruppo di Storytellers in quello che è per tutti il capoluogo del Centenario, Redipuglia. In questo frangente si è mossa l’associazione foglianina nel ricordare il primo attacco con i gas asfissianti avvenuto il 29 maggio 1916: storici ed esperti della Grande Guerra hanno collaborato per portare i convenuti in un viaggio a ritroso nel tempo, quando gli schieramenti italiani ed austro-ungarici su quelle brulle colline accanto alla Dolina dei Bersaglieri, in comune di Fogliano, combattevano fra di loro. A dare il tocco storico i vari gruppi di rievocatori giunti da ogni parte della regione e non per rendere più reale e viva la scena: così nasce lo storytelling.Un appuntamento, quello di sabato 18 giugno scorso, che è stato vivamente apprezzato dalla vicepresidente della provincia di Gorizia, Mara ¤ernic, che ha ricordato l’importanza di “rivivere per non dimenticare” i terribili fatti “avvenuti cento anni fa nelle nostre zone”. Obiettivo che la Pro Loco foglianina ha ben in mente, risultando sempre in prima linea per gli appuntamenti di carattere storico nel territorio provinciale. Quello del gas è il primo di una serie di spettacoli e rappresentazioni che si susseguiranno durante tutta la stagione estiva, sempre con la Dolina dei Bersaglieri come ottima cornice. Gli appuntamenti, sotto il filone di “Luci & ombre”, partiranno giovedì 7 luglio con Voci di Guerra a cura dell’Associazione Culturale Ermes Grion di Monfalcone a cui seguirà quello di giovedì 14 luglio intitolato “Eros e Thanatos, l’amore ai tempi della guerra” a cura di Luciano Santin. Le altre due serate saranno rispettivamente il 21 luglio con “Davanti all’impossibile” dell’Associazione di Ricerca Dobialab ed infine il 28 luglio con “Fuc Amì” di Luciano Santin.