Uomo del dialogo e del confronto franco

Benché il decorso della malattia non desse adito a molte speranze, la notizia della morte di don Renzo domenica mattina è stata un duro colpo, un improvviso oscuramento della bella giornata di sole, la percezione di una mancanza, di un vuoto nella vita. Se il realismo poteva far prevedere questo esito, dopo 5 settimane di degenza in terapia intensiva senza segni di miglioramento, in qualche nostra nascosta profondità resisteva la speranza di un evento, quasi un miracolo, che ci restituisse don Renzo, come nel racconto biblico: “Il Signore ristabilì la sorte di Giobbe…Il Signore benedisse il futuro di Giobbe più del suo passato”.Il suo futuro è invece stato benedetto nell’incontro con il Signore faccia a faccia, in un’altra dimensione che ce lo rende contemporaneamente più lontano, perché non sentiremo la sua voce né incroceremo il suo sguardo, e più vicino perché sarà sempre misteriosamente con noi. Don Renzo, come si può constatare dal sito diocesano e dai tanti articoli on line apparsi subito dopo la sua morte, che lo ricordano come il prete-giornalista, ha vissuto il suo ministero sostenendo molti impegni in ambito culturale e sociale, sempre con grande passione e capacità di confronto con un mondo in continuo e rapido cambiamento. Permeato dallo spirito del Concilio, ha incarnato nello stile che lo caratterizzava le parole introduttive della Gaudium et Spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.La condivisione di tutto ciò che è genuinamente umano l’ha portato a fare il giornalista, dirigendo per vent’anni Voce Isontina e, fino ad ora, Iniziativa Isontina, a insegnare nelle scuole, a occuparsi di formazione socio-politica e di rapporti con il mondo del lavoro, a impegnarsi per itinerari di riconciliazione in questa tormentata zona di confine, partecipando anche all’associazione “Concordia et Pax”. Uomo del dialogo e del confronto franco e aperto, don Renzo coniugava due virtù fondamentali, la generosa bontà e il coraggio, dimostrando spirito battagliero e capacità di denuncia delle ingiustizie e storture presenti nel nostro mondo, con giudizi rivolti però alle situazioni, alle “strutture di peccato” e non alle persone, verso le quali manteneva sempre un atteggiamento di accoglienza e simpatia, anche nella diversità di opinioni. Nella storia di Gorizia riconosceva la forza del dialogo e dell’incontro fra culture diverse, “questo filo prezioso ed insieme indistruttibile”, nelle sue stesse parole.Custode della memoria, consapevole che senza radici nella storia personale e collettiva non ci può essere capacità di progettare il futuro e di trovare direzione e senso nelle vicende della vita, conservava le informazioni in pacchi di ritagli di giornale che si accumulavano anno dopo anno nella sua stanza in apparente disordine, di cui riusciva a mantenere la chiave di accesso. In condivisione con Bonhoeffer, anche don Renzo pensava: “Chi non è disposto a portare la responsabilità di un passato e a dare forma a un futuro, costui è uno smemorato e io non so come si possa colpire, affrontare, far riflettere una persona simile”. Per lui fare memoria era un impegno morale e un segno di riconoscenza soprattutto nei confronti dei suoi confratelli: per ciascuno, in occasione di anniversari o della morte, don Renzo scriveva un articolo, mettendone in luce le caratteristiche di personalità e la testimonianza del bene comunicato nel proprio compito pastorale. Fedele a Dio e agli uomini, oggi con commozione e nostalgia lo ricordiamo con le parole da lui più volte pronunciate per i suoi fratelli del presbiterio diocesano: “La sua memoria resta in benedizione”.