Uno “Spirito di Monte Santo” diverso…

Una scarsa fioritura, un parsimonioso getto di frutti e questi, rari, con un’immagine imperfetta e incompleta di se, sono segno di un affaticamento dell’albero. Potrebbe essere che dei parassiti si sono impadroniti dei rami e poi delle gemme e poi del risultato della pollinazione: causa molto probabile e non da sottovalutare. Ma non è da escludere neanche una patologia delle radici. Potrebbero essere assalite da roditori e micro cellule  devastanti, come pure dalla mano dell’uomo che incauto o peggio ancora volutamente ne ha provocato la lesione.San Paolo volentieri paragona la Chiesa, la comunità dei credenti, al corpo umano ed io volentieri la paragono all’albero da frutto. Un albero che, nella simbologia della nostra Chiesa locale, si è visto tagliare profondamente e violentemente le radici comuni, quando dopo il secondo conflitto mondiale la Chiesa di Gorizia è stata decapitata, lasciando la testa e un piccola parte delle membra “di qua” e isolando i due terzi del corpo “di là”. Questa ascia, così duramente colpevole della divisione e della ferita sanguinante, è stata estratta con molta pazienza e altrettanta tenacia da p. Bommarco che, imbevuto dello “spirito di Assisi” ha voluto iniziare un tempo della nostra Chiesa sul confine con lo “Spirito di Monte Santo” (ma non dobbiamo dimenticare che prima ancora è stato mons. Cocolin a varcare la soglia del Santuario sopra la città e guidare il pellegrinaggio dei fedeli goriziani). Tolta la scure, sono riaffiorate quelle radici comuni che una politica crudele, il tempo inesorabile, la paura incussa hanno coperto per molti anni. Sono certo che la mano di Maria, Regina del Monte Santo, ha solo tenuto nascoste queste radici secolari, curando che non si secchino fino al giorno in cui sarebbero state riscoperte, risanate, rinvigorite, fertilizzate. Da allora (siamo negli anni Ottanta del secolo scorso), ogni anno le Chiesa sul confine nazionale (che nel frattempo è stata costituita come Chiesa di Gorizia e Chiesa di Koper/Capodistria) sale unita verso il Sacro Monte per confermare l’appartenenza all’unico Signore, all’unica Madre, all’unica Chiesa universale.Le circostanze, a tutti ben note, hanno sospeso e vietato quest’anno l’incontro dei popoli.L’ultima domenica di maggio, giorno della Pentecoste – giorno dei Popoli, è rimasta orfana delle file di pellegrini al Santuario. Fin qui solo un dato di fatto.La mia mente e la mia coscienza, però, sono state un po’ scosse quando hanno visto e sperimentato le proteste, udito le voci, letto le parole di politici e gente comune ribellarsi alla chiusura dei confini tra i due Stati (ma non entro in merito sulla necessità o meno del fatto, lascio agli epidemiologi e scienziati la valutazione), con tanto di invenzione di modi diversissimi di incontro, di scambio, di condivisione, di…. Un saluto oltre la rete, una pallonata tra i due campi, uno spruzzo di acqua comune tra i vigili del fuoco delle due città, un caffè scambiato con la mascherina, una tavola rotonda a mezzaluna – per essere posizionata metà “di qua” e metà “di là”…, ma non ho percepito o sentito la stessa esigenza tra i cristiani delle due Chiese. L’ultima domenica di maggio è passata pressoché inosservata.  Forse qualcuno, nell’intimo del proprio cuore, avrà ansimato “oggi si poteva essere a Monte Santo”. Sono a conoscenza di qualche idea propositiva per coprire la lacuna, ma poi il timore di assembramento e di ressa della folla folla ha messo a tacere anche questa umile iniziativa.Un parassita ha intaccato i frondosi alberi della nostra fraternità, tanto da rendere piuttosto sterili i fiori e acerbi i frutti? Oppure una nuova scure, più invisibile e pertanto più sanguinaria ha colpito le radici comuni? Come mai nella società politica, sportiva, culturale, politica, ma anche ricreativa, turistica e commerciale si è fatto gran voce il desiderio (o la necessità) di convivenza, di frequenza, di scambio, e invece nella Chiesa non si ha questa impressione?Nutro una forte speranza, che poi è conseguenza della mia stessa fede e convinzione: la Pentecoste 2020 non diventi la Torre di Babilonia! La purificazione della memoria (che l’Associazione Concordia et pax porta avanti con tanta sollecitudine) non deve essere un regresso, un ritorno al passato, una chiusura nell’individuale più associale possibile, ma scoperta delle radici comuni. E queste, fino a quando l’albero è piantato e fino a quando non si secca del tutto, sono inequivocabili, incontestabili e non maneggiabili. “… la vostra diocesi di Gorizia non è forse chiamata ad approfondire maggiormente la propria missione in questo particolare momento storico: posta all’incrocio di molteplici popoli e tradizioni, Gorizia ha la singolare vocazione di essere segno visibile di unità e di dialogo. Città di frontiera è la vostra, e la frontiera, si sa, può facilitare la tolleranza, la comprensione e l’accoglienza, ma può anche indurre alla chiusura e al rifiuto dell’altro. Voi siete ben consapevoli di ciò. Per questo vi preoccupate di riscoprire le profonde radici cristiane della vostra terra e volete fare della vostra Comunità diocesana un autentico “sacramento” della presenza di Dio in questa regione…. Proseguite, carissimi fratelli e sorelle, senza lasciarvi abbattere dalle difficoltà” (S. Giovanni Paolo II, Omelia a Gorizia il 2 maggio 1992).