Una fraternità dal profilo intrinsecamente universale

Sulla scorta dell’incontro del 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi con Ahmad al-Tayyeb, il grande imam di al-Azhar, con cui ha firmato uno storico documento sulla fratellanza, Papa Francesco scrive la sua nuova enciclica dal titolo: “Fratelli tutti”. Sulla fraternità e l’amicizia sociale. Espressione ripresa da San Francesco per indicare come tutto il genere umano sia legato indissolubilmente da un rapporto fraterno.   Il Papa intravede nell’attuale cultura la presenza di forme di nazionalismo e di individualismo che tendono a ergere nuovamente muri, mentre scompare il bisogno di un “noi”. Se risulta oggi molto forte lo sviluppo della scienza e soprattutto della tecnica, si notano invece un indebolimento dei valori veramente umani e una crisi dell’etica e della politica che si verifica a livello mondiale in una mancanza di equità nella distribuzione dei beni. Inoltre fanno capolino forme di indifferenza e cinismo che inducono gli esseri umani a tollerare anche accanto a sé forme di ingiustizia e di disuguaglianza che minacciano la vita delle altre persone (capitolo I: Le ombre di un mondo chiuso [nn. 1-29]) La pandemia viene a smascherare queste forme devianti che la cultura sta veicolando, facendo prendere coscienza che abitiamo una casa comune e la sorte dell’uno è in stretta interdipendenza dalla sorte dell’altro, anche se questi vive a migliaia di chilometri di distanza. La sollecitazione di alcuni politici a evitare l’arrivo degli immigrati e rifiutare l’aiuto ai paesi poveri mostra tutto il suo carattere fallace, non solo in occasione di questo virus che ha invaso il mondo intero, ma anche perché i fenomeni migratori non si possono eliminare semplicemente con politiche alternative, ma le prescindono, configurandosi come un sistema fondante del futuro del mondo ().Alla paura fomentata nei confronti dei migranti va contrapposta una cultura che feconda una apertura verso gli altri. L’aggressività sociale, che in questi tempi si sfoga contro il diverso, viene largamente diffusa attraverso i “social” che, facendo perdere il pudore, danno libero sfogo a forme bieche e incivili di violenza. Queste forme di intolleranza si manifestano spesso nelle persone religiose che ritengono di motivare proprio con la loro fede strategie di emarginazione e di esclusione. Il Papa intravede proprio nella perdita della capacità di ascolto e di dialogo la radice di atteggiamenti elitari e razzisti (I capitolo: Le ombre di un mondo chiuso [nn. 1-55])Dopo questa parte che analizza le più importanti dinamiche sociali che toccano i problemi del dislivello di vita nelle varie parti del mondo e delle forme di emarginazione, Francesco passa all’analisi di alcuni testi biblici, quali l’episodio evangelico del giovane ricco, di Abele che dopo l’omicidio del fratello risponde a Dio dicendo: “Sono forse io il custode di mio fratello?”, del comandamento biblico di non opprimere il forestiero residente. La riflessione si sofferma in maniera più approfondita sul racconto evangelico del “buon Samaritano” che stigmatizza la grande tentazione di dimenticarsi degli altri. I due personaggi, non a caso un sacerdote e un levita, sono protagonisti del mondo religioso di allora;, rappresentanti del mondo dell’indifferenza e del disprezzo nei confronti dei poveri. Il Samaritano, al contrario, simboleggia chi aiuta non solo quelli che appartengono al proprio gruppo, alla propria cultura, ma è disposto a vivere una fraternità facendosi carico dell’escluso e del sofferente, senza aspettarsi riconoscimenti, così come viene espresso nella cosiddetta parabola del Giudizio finale: “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). Se l’amore cristiano spesso è stato vissuto soprattutto nella propria famiglia e non oltre, adesso esige di andare al di fuori di essa nell’incontro con l’altro. L’amore inoltre non coincide semplicemente con qualche azione benefica, magari saltuaria, ma con la ricerca del bene della persona che altro non è se non il meglio per la sua vita (capitolo II: un estraneo sulla strada [nn. 56-86]).Il Papa commentando il racconto del Buon Samaritano, così scrive: Riprendiamo ora la parabola del buon samaritano, che ha ancora molto da proporci. C’era un uomo ferito sulla strada. I personaggi che passavano accanto a lui non si concentravano sulla chiamata interiore a farsi vicini, ma sulla loro funzione, sulla posizione sociale che occupavano, su una professione di prestigio nella società. Si sentivano importanti per la società di quel tempo e ciò che premeva loro era il ruolo che dovevano svolgere. L’uomo ferito e abbandonato lungo la strada era un disturbo per questo progetto, un’interruzione, e da parte sua era uno che non rivestiva alcuna funzione. Era un “nessuno”, non apparteneva a un gruppo degno di considerazione, non aveva alcun ruolo nella costruzione della storia. Nel frattempo, il samaritano generoso resisteva a queste classificazioni chiuse, anche se lui stesso restava fuori da tutte queste categorie ed era semplicemente un estraneo senza un proprio posto nella società. Così, libero da ogni titolo e struttura, è stato capace di interrompere il suo viaggio, di cambiare i suoi programmi, di essere disponibile ad aprirsi alla sorpresa dell’uomo ferito che aveva bisogno di lui.Quale reazione potrebbe suscitare oggi questa narrazione, in un mondo dove compaiono continuamente, e crescono, gruppi sociali che si aggrappano a un’identità che li separa dagli altri? Come può commuovere quelli che tendono a organizzarsi in modo tale da impedire ogni presenza estranea che possa turbare questa identità e questa organizzazione autodifensiva e autoreferenziale? In questo schema rimane esclusa la possibilità di farsi prossimo, ed è possibile essere prossimo solo di chi permetta di consolidare i vantaggi personali. Così la parola “prossimo” perde ogni significato, e acquista senso solamente la parola “socio”, colui che è associato per determinati interessi (nn. 101-102). La fraternità contenuto del vangelo, non è soltanto quella nei confronti di qualche persona vicina, ma ha un profilo intrinsecamente universale e quindi si realizzerà solo quando nessuno sarà più scartato o emarginato.Essa si estrinseca soprattutto nel metodo del servizio per sopperire alle fragilità altrui (cc. 103-119).Dio ha dato la terra non soltanto a qualche privilegiato, ma a tutti, per goderne i frutti. Ogni paese non è solo degli abitanti di quella nazione che lo occupa, ma è anche dello straniero e i beni del territorio non possono essere negati a nessuna persona bisognosa.Se ogni persona è fratello di tutti, questa relazione non può essere negata dai confini di un paese o da motivi nazionalistici. La via della pace consiste nel fatto che non ci siano più paesi dove non sono riconosciuti i diritti fondamentali dell’uomo, quali la dignità, la casa, la terra, il lavoro.Se l’ideale fosse quello evitare le migrazioni per creare in ogni stato una condizione di vita dignitosa, in realtà esso confliggerebbe con le condizioni attuali dei paesi poveri, irretiti da forme di schiavismo e da politiche elitarie.Se questo ideale non è attualmente possibile si devono accettare le migrazioni con atteggiamenti che vanno dall’accogliere e proteggere al promuovere e integrare (capitolo III: Pensare e generare un mondo nuovo [nn. 87-129]).Il papa scrive: Ciò implica alcune risposte indispensabili, soprattutto nei confronti di coloro che fuggono da gravi crisi umanitarie. Per esempio: incrementare e semplificare la concessione di visti; adottare programmi di patrocinio privato e comunitario; aprire corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili; offrire un alloggio adeguato e decoroso; garantire la sicurezza personale e l’accesso ai servizi essenziali; assicurare un’adeguata assistenza consolare, il diritto ad avere sempre con sé i documenti personali di identità, un accesso imparziale alla giustizia, la possibilità di aprire conti bancari e la garanzia del necessario per la sussistenza vitale; dare loro libertà di movimento e possibilità di lavorare; proteggere i minorenni e assicurare ad essi l’accesso regolare all’educazione; prevedere programmi di custodia temporanea o di accoglienza; garantire la libertà religiosa; promuovere il loro inserimento sociale; favorire il ricongiungimento familiare e preparare le comunità locali ai processi di integrazione (n. 130) (capitolo IV: un cuore aperto al mondo intero nn. 128-153).In realtà, il fenomeno della migrazione porta con sé anche aspetti molto positivi come l’incontro con culture diverse, promosso da una carità politica che sa superare mentalità individualistiche. In effetti è proprio la carità il cuore dello spirito di ogni vita sociale aperta/, che si esprime nell’amore preferenziale nei confronti degli ultimi.Si è ancora lontani da una globalizzazione dei diritti fondamentali, quali l’eliminazione della fame (capitolo V: La migliore politica [nn.154-200]).Il dialogo sociale presuppone il rispetto dei punti di vista dell’altro. I media, quando non vengono usati per offendere e screditare le persone, possono farci sentire più prossimi agli altri e offrire occasioni di incontro e di solidarietà. La verità non può essere cercata se non è verità della dignità umana. Vanno smascherate le varie modalità di manipolazione, diffamazione e occultamento di questa. Ogni essere umano possiede una dignità inviolabile e ineliminabile. Pertanto va promossa una cultura dell’incontro con molte facce e diverse sfumature, riconoscendo così all’altro al diritto di essere se stesso. L’intolleranza e il disprezzo verso i popoli, caratterizzati dalla cultura popolare non è segno di un vero progresso.Quei popoli spesso mantengono i valori antichi dell’accoglienza. Anche la gentilezza è una forma di liberazione dalla crudeltà e porta a prestare attenzione nei confronti dell’altro e del diverso (capitolo VI: Dialogo e amicizia sociale [nn. 201-224]).Si sente l’esigenza di costruire percorsi di pace, un faticoso e lungo cammino alla ricerca della verità e della giustizia che supera la violenza e la vendetta. La verità infatti va di pari passo con la giustizia e la misericordia. Una vera società si costruisce/, più che sul desiderio di dominare, su quello del condividere e dello stare assieme. Questo impegno si realizza quando ognuno sente il senso di appartenenza e quando ogni gruppo sociale si sente veramente a casa.  L’invito cristiano al perdono, alla riconciliazione e all’amore non significa consentire a chi opprime di continuare ad opprimere e neppure a fornirgli un alibi per ciò che fa. Al contrario, il vero modo di amarlo è cercare di fargli smettere di opprimere, togliendogli quel potere che non sa usare. La vera riconciliazione non rifugge dal conflitto, ma nel conflitto si realizza mediante il dialogo. L’unità infatti è superiore al conflitto. Il perdono non vuol dire dimenticare, ma rinunciare ad essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha prodotto il male.C’è chi cerca la soluzione nella guerra, che però è la negazione di tutti i diritti e oggi ha, attraverso l’uso delle armi di distruzione di massa, una forza distruttiva. C’è un altro modo di eliminare l’altro, ricorrendo alla pena di morte.Non è ammissibile che oggi la giustizia si realizzi attraverso il ricorso alla pena capitale (capitolo VII: Percorsi di un nuovo incontro [nn. 225-270]). Le diverse religioni offrono un prezioso apporto alla costruzione della fraternità mondiale, perché riconoscono in ogni essere umano un figlio di Dio. Francesco scrive: In questa prospettiva, desidero ricordare un testo memorabile: “Se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. Il loro interesse di classe, di gruppo, di Nazione li oppone inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro. […] La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare: né l’individuo, né il gruppo, né la classe, né la Nazione o lo Stato. Non può farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi contro la minoranza” (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus [1 maggio 1991], 44: AAS 83 [1991], 849) (n. 273). La ricerca di Dio porta a non strumentalizzarLo per gli interessi di parte o ideologie. Non è inoltre accettabile che nel dibattito pubblico ci sia solo posto per la politica e la scienza, mentre sono totalmente assenti la filosofia e la religione. La chiesa cattolica apprezza l’azione di Dio nelle religioni che riflettono il raggio di verità che illumina tutti gli uomini.Allo stesso tempo si costata che il processo di globalizzazione manca ancora del contributo profetico dell’unità di tutti i cristiani. L’amore di Dio è lo stesso per ogni persona a qualunque religione appartenga. Infatti, quando arriverà l’ultimo giorno ci saranno parecchie sorprese.Le religioni non incitano mai alla guerra o all’uso di strumenti di odio, ostilità ed estremismo. Queste sciagure sono frutto della deviazione degli insegnamenti religiosi (capitolo VIII: Le religioni a servizio della fraternità nel mondo [nn. 271-284]). L’enciclica, che ha già ricevuto molti consensi e altrettante critiche, non contiene certamente quel magistero a cui eravamo abituati. Colpisce soprattutto il nuovo punto di partenza di questo scritto: l’incontro con un fratello mussulmano, appartenente cioè a quell’identità religiosa che fino a poco tempo fa veniva vista con un senso di rifiuto, se non addirittura di odio, e che adesso fa parte di quell’umanità che cammina nella storia del mondo assieme all’altra parte di umanità costituta dalla chiesa cattolica. Certamente siamo di fronte a una lettera che vede un Papa impegnato non più soltanto in ciò che concerne le sorti della chiesa, ma in quel che riguarda il destino dell’umanità. L’accusa di essere uno scritto troppo “sociale” e poco “metafisico”, ignora il fatto che per Francesco il modo preferenziale che l’essere umano ha di scoprire e di trovare Dio è quello di cercarlo nel fratello e nella sorella abbandonati, poveri, stranieri.