Una Chiesa testimone forte e viva

Don Luigi Simeoni, originario di Ronchi dei Legionari, opera ormai da molto tempo in Giappone, nella diocesi di Takamatsu, dove ha anche svolto i suoi studi seminaristici e dov’è stato poi ordinato sacerdote.Una realtà, quella della Chiesa giapponese, forse qui in Europa poco conosciuta, segnata in passato da una forte persecuzione verso i cattolici tra il ’600 e l’’800, con molti maritirii e i fedeli costretti a vivere la propria fede nella clandestinità. Oggi la religione cattolica è una minoranza rispetto alle altre, ma è vissuta con entusiasmo dalle comunità, apprezzata e valorizzata anche da chi non è cristiano.Tutto questo ci viene raccontato proprio da don Luigi, che ha raccontato per noi anche la “storia” del suo personale cammino verso il sacerdozio, che l’ha portato realmente dall’altra parte del mondo.

Don Luigi, lei ha compiuto i suoi studi seminaristici in Giappone. Scelta importante quella di recarsi realmente dall’altra parte del mondo. Da cosa nacque questa scelta e da chi fu aiutato, spronato, a compiere una decisione così rilevante?Ho cominciato a sentire la chiamata del Signore già da ragazzo, ma concretamente non riuscivo a discernere la volontà di Dio, ero attratto da altre cose, e non davo molta importanza a ciò che sentivo dentro di me.Quando avevo circa vent’anni, durante un ritiro di esercizi spirituali ignaziani, mi è stata posta la domanda se sentissi la chiamata al sacerdozio. Forse lì, per la prima volta ho preso in considerazione la possibilità di entrare in seminario. Tornato a casa, non ho dato seguito alla chiamata cha avevo sentito, ho terminato gli studi e ho cominciato a lavorare. In quel periodo sentivo un vuoto e non riuscivo a trovare serenità.Proprio quando pensavo di abbandonare tutte le attività parrocchiali, ho ricevuto un invito ad ascoltare le catechesi del Cammino Neocatecumenale nella parrocchia di San Ambrogio a Monfalcone. All’inizio ero titubante ma poi, ascoltando la predicazione ho scoperto che Dio non esigeva nulla da me, che mi amava così come ero, con i miei difetti e contraddizioni. Da lì è cominciato un cammino di fede con una comunità di persone che non conoscevo prima, di diversa età e con diverse esperienze, scandito da degli incontri settimanali con al centro la Parola di Dio e l’Eucarestia.Un po’ alla volta, anche la chiamata è tornata a farsi sentire e durante un pellegrinaggio dei giovani a Loreto, ho sentito chiaramente che il Signore mi chiamava. Prima di partire per il seminario c’è voluto ancora un anno. In quel periodo sono stato accompagnato da un sacerdote che mi ha guidato.La scelta di entrare in un seminario Redemptoris Mater è venuta da sé. Sapevo che questi seminari sono sparsi in tutto il mondo e che i candidati non scelgono in quale nazione andare ma sono i formatori a destinarli secondo le necessità.Da parte mia, ho chiesto al Signore di non stare troppo vicino a casa perché sentivo ancora forte l’attaccamento alla famiglia e alle amicizie: il Signore mi ha preso in parola!

Quali ricordi conserva degli anni degli studi?Il periodo del seminario lo ricordo come un tempo di grazia. Eravamo giovani provenienti da più di dodici nazionalità diverse, immersi in un mondo molto diverso dai nostri paesi di origine.Nella diocesi di Takamatsu non c’è una facoltà teologica, gli studi li facevamo nel vescovado con dei professori che venivano appositamente dall’Europa o con dei professori giapponesi che davano la loro disponibilità a farci dei corsi. C’era anche lo studio della lingua giapponese.Alcuni fedeli della parrocchia avevano organizzato un gruppo per l’insegnamento della lingua, ed ogni mattina venivano a farci dei corsi. Sono molto grato a loro, per la dedizione e la pazienza con la quale ci hanno offerto il loro tempo. Si sono instaurati dei rapporti di amicizia bellissimi.L’esperienza del seminario è particolare perché si vive assieme per diversi anni, condividendo gioie, crisi, sostenuti dal Signore e con l’aiuto dei formatori che per me hanno avuto un ruolo fondamentale. Molti siamo stati ordinati nella diocesi di Takamatsu e, anche se stiamo in missione in diversi paesi dell’Asia, Europa e America, il legame è ancora molto forte. Grazie a Dio, abbiamo ancora occasione di incontrarci per condividere le nostre esperienze e ricaricare le pile.

Dopo l’ordinazione, avvenuta in Giappone, ha proseguito prestando lì il suo servizio. Quali sono state le sue “tappe” come sacerdote? Ha sempre operato a Takamatsu o ha operato precedentemente anche in altri, luoghi?Dopo l’ordinazione, il Vescovo Mons. Mizobe mi ha scelto come suo segretario e per svolgere alcune mansioni nell’ufficio diocesano. Questo mi ha dato la possibilità di conoscere la realtà della diocesi perché accompagnavo il vescovo nelle visite pastorali o nei vari incontri dove lo chiamavano.Dopo tre anni, il vescovo mi ha proposto di completare i miei studi con la licenza in diritto canonico a Roma. Non me l’aspettavo, ma poi l’ho visto come un regalo che mi ha fatto il Signore.Tornato in Giappone ho svolto per tre anni l’attività pastorale a Takamatsu, e da ormai sei anni sono nella diocesi di Hiroshima, nella città di Iwakuni.

Per avere più chiaro il quadro, come si compone la diocesi e quanti fedeli circa conta?La diocesi di Takamatsu comprende quattro distretti su di un’isola grande più o meno come la Sicilia; la popolazione è di circa tre milioni e mezzo di abitanti e i fedeli cattolici sono circa 4.300. Ci sono venticinque parrocchie sparse su tutta l’isola.Oltre al clero secolare, ci sono due congregazioni religiose che da molti anni sono presenti nella diocesi.

Cosa significa essere sacerdote oggi in Giappone? Quali a suo vedere gli aspetti piu’ belli, toccanti ma anche, dall’altro lato, quelli più impegnativi, che richiede no uno sforzo maggiore?Non penso che differisca molto da altre parti del mondo. Ogni paese ha le sue peculiarità ma alla fine in ogni uomo c’è la sete di Dio; le persone cercano testimoni o segni che diano un senso alla loro vita. Far in modo che si incontrino da una parte il bisogno di ogni uomo di avere una risposta ai propri interrogativi e dall’altra l’annuncio della salvezza in Gesù Cristo, è un lavoro lento che lo Spirito Santo porta avanti. Io vivo il mio ministero inserito in una comunità di persone che condividono lo stesso percorso di fede, e con alcune famiglie missionarie che hanno lasciato tutto e si sono trasferite in Giappone. La loro testimonianza e la loro fede mi aiuta, oltre ad essere un grande impulso alla missione.I numeri non contano, anzi proprio la piccola dimensione della chiesa in Giappone permette che ci si conosca più da vicino e forse anche come sacerdote sono meno impegnato in molte attività pastorali e non, che a volte pesano sulle spalle dei sacerdoti.

Com’e’ vissuta la religione dai fedeli? È un approccio comunitario o si vive la propria fede in maniera forse più intima?La Chiesa cattolica in Giappone, pur essendo una minoranza rispetto ad altre religioni, è presente nella società come un piccolo seme. Ci sono diversi asili e scuole cattoliche che sono molti frequentati e apprezzati. Mi è capitato più volte di incontrare persone che avevano frequentato questi asili e ne conservavano un bel ricordo.Alcuni, pur non essendo battezzati, scelgono di sposarsi in chiesa con una liturgia adatta a loro.Sia a livello diocesano che nelle parrocchie ci sono diverse attività con una attenzione particolare per i catecumeni.

Quali sono oggi i rapporti con le altre religioni presenti nel Paese?Il dialogo ecumenico e interreligioso viene molto curato. In diverse parrocchie ci si incontra mensilmente al mattino per una preghiera comune con i pastori protestanti. La diocesi di Hiroshima, dove vivo attualmente, è molto attiva per quanto riguarda la promozione della pace nel mondo. Il giorno 6 di agosto, anniversario dello sganciamento della bomba atomica, i rappresentanti di diverse confessioni religiose fanno una preghiera in comune ricordando le vittime e pregando per la pace nel mondo.

Il Giappone in passato ha conosciuto anche una forte persecuzione verso i cristiani. Che ripercussioni ha lasciato ciò nel modo di vivere e di approcciarsi alla fede cattolica?La testimonianza dei martiri è forte e viva nella chiesa giapponese.Alcuni vescovi e fedeli che conosco sono loro discendenti diretti.Nel 2017 è stato beatificato nella cattedrale di Osaka Yusto Takayama Ukon, un signore feudale e samurai che ha dovuto subire l’esilio per essere cristiano.La lista dei martiri in Giappone sarebbe lunghissima.Nella diocesi di Hiroshima ci sono vari luoghi che ricordano il martirio di cristiani in particolare il piccolo villaggio di Tsuwano. Qui, nel 1868 sono stati deportati circa 150 cristiani di Nagasaki, al tempo della seconda grande persecuzione. Alcuni hanno subito il martirio.In particolare, è toccante la storia di Mori Yasutaro che venne messo nudo in una gabbia di 90 cm cubici in mezzo alla neve, per costringerlo ad abiurare. Due compagni di prigionia andarono a consolarlo di nascosto durante la notte e gli dissero: “È duro affrontare la morte da solo…”, e Yasutaro rispose: “Dalle dieci della sera fino all’alba, una donna vestita di blu, con un velo blu, e con il volto che assomiglia a quello di Maria, viene a parlarmi: non sono nemmeno un po’ afflitto. Ma, finché sono ancora in vita, non raccontatelo a nessuno”. Jinzaburo, uno dei due compagni, chiese a Yasutaro: “Vuoi lasciar detto qualcosa a tua madre?”, e lui: “In questa gabbia io sono sulla croce; ditele che sono contento di morire”. Cinque giorni dopo entrò nel riposo eterno.Tutti gli anni, i fedeli della diocesi di Hiroshima vanno in pellegrinaggio a Tsuwano, si fa una processione fino al luogo del martirio e poi si celebra la Messa all’aperto.

Per concludere, quali impegni pastorali la attendono al suo rientro? Ci sarà qualche appuntamento particolare che vivrete verso il Sinodo?Riguardo al Sinodo, so che è cominciata intanto la consultazione diocesana.Per quanto riguarda me, al mio rientro tornerò a Iwakuni. Anche in Giappone siamo alle prese con la pandemia anche se in forma più leggera rispetto a qui. Spero che potremo continuare a radunarci per le celebrazioni liturgiche senza particolari restrizioni. Vi chiedo una preghiera per noi.