Un posto per la Pastorale del lavoro

Il rischio – per tutti – è sempre quello: di considerare la pastorale sociale (ma anche quella dei malati, dei giovani, delle famiglie…) come un capitolo dell’azione della Chiesa. Un capitolo – come avveniva e forse avviene ancora oggi! – al quale si dedicano alcuni accenni; ma non lo si considera  costituivo né oggetto di grande attenzione: spesso, solo di una scorsa veloce…Un capitolo come tanti. Sepolto nel silenzio. E, purtroppo, non solo nelle aule accademiche, ma anche nella vita della comunità ecclesiale e, in particolare, nella ideazione e stesura delle linee di programmazione delle chiese locali, delle comunità cristiane. La pastorale sociale è come una “cenerentola”.Non è una novità. Diventa un segno eloquente del presente della chiesa e della società. Un segno dei tempi, alla rovescia, quando la pastorale si riduce ad organizzazione che non prende cioè lo spunto dalla condizione di vita in cui vivono gli uomini e le donne del nostro tempo e non legge bisogni ed urgenze alla luce della Parola di Dio e all’imperativo della evangelizzazione di luoghi e  ambienti vitali. Il problema non è di consultare gli incaricati del settore o di aggiungere alcune iniziative o attività (che poi si aggiungono ad altre in un colluvie di incontri e riti autoreferenziali), quanto invece di sollecitare tutti alla lettura coraggiosa del “sociale”, dentro al quale stanno il lavoro prima di tutto, poi la vita relazionale, il futuro delle generazioni, il bene comune, la cultura e la vita comunitaria. La stessa dottrina nel sociale che non è considerata un “criterio di lettura” della realtà  ma una specie di elenco di precetti. On questo modo diventa una ideologia come le altre…Come si può -senza conoscere le situazioni- annunciare la buona novella del vangelo, la gioia della fede, l’impegno della vita cristiana? Come può essere possibile -senza questa immersione- riconoscere le strade possibili di tale evangelizzazione, l’inserimento dei sacramenti, la promozione della vita di carità e della testimonianza che deve avere a cuore quel bene comune descritto non da teorie, ma dalla preghiera del Padre nostro? Come è possibile inverare la verità evangelica, evangelizzare la cultura, senza conoscerla e senza metterla al primo posto nella promozione di qualcosa iniziativa pastorale?La mancanza di teologia nella pastorale sta alla base di questo che è diventato un vero e proprio condizionamento; senza una teologia che fonda l’azione e prima ancora che ispira il pensiero e le scelte (e non semplicemente le dottrine), ci si muove nel nulla; una teologia capace di fecondare motivazioni e strategie. Soprattutto indica una prospettiva, offre un progetto.Un progetto in uscita, si direbbe oggi; un progetto di inculturazione reale della fede. Un progetto in grado di offrire reale fondamento alle diverse opzioni pastorali.  La ragione è presto detta: il radicamento nella vita, vissuta e condivisa; in una comunità reale e in un servizio che non è autoreferenziale.Tutto questo, e tanto altro, è venuto alla luce in una riunione a Zelarino dei responsabili o direttori degli uffici di pastorale sociale di alcune diocesi della regione pastorale del Triveneto o del Nord-est (Trento, Bolzano, Venezia, Pordenone, Rovigo e Chioggia, Vittorio Veneto, Pordenone, Venezia, Treviso e Gorizia) convocati per un incontro con don Giuseppe, responsabile della Pastorale del lavoro della Conferenza episcopale italiana.I presenti – coordinati dalla religiosa suor Gabriella – hanno condiviso le riflessioni sopra indicate e si sono impegnati a farne oggetto di comunicazione con i singoli vescovi delle Chiese diocesane.Il direttore nazionale – ufficio inserito dentro alla Cei – ha condiviso con tutti alcune linee di “teologia pastorale” che possono essere così riassunte: aiutare la comunità cristiana a fare proprio il progetto  dell’ecologia integrale sottolineato nella lettera di papa Francesco Laudato sì; riscoperta della dimensione familiare e laicale della pastorale ed in essa della responsabilità; valorizzazione della dottrina della chiesa nel sociale come approccio sulla realtà; rielaborazione del pensiero politico della cattolicesimo democratico nella sua dimensione vocazionale. E, soprattutto promozione di una presa d’atto della condizione ecclesiale che vive in uno stato grave di spaesamento, con un modello sfilacciato di appartenenza, dopo il fallimento del clericalismo con l’impegno di creazione di nuovi modelli di presenza di servizio, di testimonianza, individuati insieme alle componenti laicali.I presenti alla riunione – considerata la rilevanza delle tematiche ed in forza delle loro appartenenze a diverse esperienze associative laicali – si sono fatti carico di fare presenti in diocesi le difficoltà e di sollecitare un rinnovato impegno della commisione specifica della Conferenza episcopale triveneta.