Un amico ed un collega

Quando domenica scorsa di  buon mattino Mauro Ungaro, annunciandomi la morte di don Renzo, mi ha chiesto di scrivere un ricordo, ho avuto un momento di indecisione. Non per il dolore di una notizia, temuta e purtroppo non inattesa, ma perché mi ero subito chiesto se don Renzo avesse gradito, da buon giornalista, “pistolotti” lacrimosi. E’ stato un attimo e pur con gli occhi gonfi di lacrime per mille ricordi, vicini e lontani, mi sono detto che era giusto ricordare don Renzo, amico e collega, per ringraziarlo per quanto ci ha regalato nei suoi intensi anni di vita. Se in tanti appuntamenti della mia vita lo ha avuto vicino, voglio ricordarlo come giornalista, una passione che ha coltivato fin dagli anni giovanili e che ha saputo trasmettere a tanti giovani attratti dal mondo della carta stampata. E molti di noi hanno poi percorso la strada nel mondo professionistico dei mass media come Nicolò Bortolotti, Guido Baggi, Nicola Cossar, Clemente Borando tanto per citarne alcuni. Una collaborazione nata con Voce Isontina magari all’inizio con breve articoli, cronache dalle parrocchie, quando il settimanale era ai suoi primi anni di esperienza e direttore era don Maffeo Zambonardi. Ma già allora don Renzo era l’anima del settimanale in un periodo in cui anche la Chiesa goriziana, guidata da mons. Pietro Cocolin, viveva il fermento post conciliare. Una vitalità che don Renzo aveva saputo trasferire nelle pagine di Voce, diventata in quelli anni sempre più “voce” attenta ai bisogni delle comunità promuovendo redazioni nei decanati per far conoscere le realtà parrocchiali, ma allargando il confronto e il dialogo sui vari temi – scuola, giovani, associazionismo, politica – che emergevano in una società complessa come quella degli anni Settanta. In quei primi anni Settanta la redazione, in un paio di stanze nell’Arcivescovado, era una fucina di idee e di proposte, di incontri e di amicizie. Accanto a noi giovani, più esuberanti, c’erano la sapiente penna ma anche la saggezza di Celso Macor, l’allegria siciliana di Salvatore Colella, gli incoraggiamenti mai venuti meno di Arnolfo De Vittor e del vescovo Pietro Cocolin.  Una Voce diventata sempre più autorevole che don Renzo ha saputo difendere tenendo la barra dritta anche quando era al centro di critiche, talvolta feroci ma spesso interessate che giungevano da un mondo politico, che si definiva cattolico, ma che non sapeva cogliere lo spirito di cambiamento che la società, ma anche la Chiesa, chiedeva a quel tempo.Ha saputo pure far crescere il settimanale dal punto tecnico trasformandolo in un più agevole tabloid, passando dall’inadeguato sistema a piombo – quante pagine abbiamo fatto e rifatto sui banconi della tipografia – fino alla videoimpaginazione. E Voce se l’è portata sempre nel cuore anche quando venne sostituito nella direzione e fino all’ultimo non ha fatto mancare il contributo settimanale di idee e proposte. Un giornalismo a tutto tondo quello che don Renzo ha vissuto ricoprendo vari incarichi – era direttore di Iniziativa Isontina da decenni – e collaborando a diverse pubblicazioni sostenendo l’importanza di far crescere la comunità anche sotto il profilo culturale. E si è battuto perché la memoria del mondo culturale cattolico non andasse disperso. Una delle sue ultime iniziative, che non è riuscito a vedere, è stata la ristampa del libro di Camillo Medeot sui preti internati durante la Prima guerra mondiale.Don Renzo ha sempre risposto “Eccomi” a chi gli chiedeva di cambiare incarichi, dinanzi a decisioni calate dall’alto e che non sempre ha condiviso; pure questo è un insegnamento che ci ha lasciato e di cui diciamo ancora una volta grazie.