Un Dio che incontra

La memoria liturgica di San Francesco d’Assisi che abbiamo celebrato lo scorso 4 ottobre, ha fatto andare la nostra mente e il nostro cuore alla storia di questo Alter Christus, alla sua vita, al suo esempio, al suo insegnamento. Ebbene, tra gli episodi più importanti e forse meno noti della vita di San Francesco, si deve senza dubbio ricordare il suo viaggio missionario in Egitto e Siria nell’inverno del 1219, durante la quarta crociata.L’incontro tra Francesco d’Assisi e Malik Al-Kâmil, sultano della dinastia degli ayyubidi, avvenuto a Damietta nel 1219, è divenuto ben presto un “luogo della memoria”, cioè uno di quegli episodi che si sono caricati di letture e interpretazioni nel corso dei secoli, che ne hanno di volta in volta modificato i connotati ed i tratti di partenza. In effetti, ancora oggi si registra una certa discussione e un acceso dibattito tra coloro che vedono in questo incontro un tentativo di “convertire” il sultano alla religione cristiana e coloro che vi intravvedono – al contrario – un tentativo di bloccare la carneficina delle crociate, di sconfessare queste imprese di guerra e di salvare la pace.Dal punto di vista storico, stupisce rilevare che i primi a riferire di questo incontro non sono stati i francescani, bensì i cronisti della crociata. Il primo a parlarne è infatti Giacomo da Vitry, vescovo e predicatore, che aveva nella Crociata un ruolo ufficiale. Egli parla della visita di Francesco al sultano per la prima volta in una lettera del febbraio o al massimo del marzo 1220, cioè a una distanza di pochi mesi dall’avvenimento. Il commento dell’alto prelato, che non fa il nome di Francesco ma dice che si tratta del fondatore dell’Ordine dei Frati Minori, è che, con la sua iniziativa, egli “non ha ottenuto granché”. Giacomo ritornò poi a parlare dell’incontro qualche anno più tardi, tra il 1223 e il 1225, nella sua opera maggiore: la Historia Occidentalis, composta quando ormai la crociata si era rivelata un fallimento. In questo contesto la valutazione dell’iniziativa di Francesco (di cui adesso si fa esplicitamente il nome) è tutt’altra perché, a dire di Giacomo, adesso “i saraceni ascoltano volentieri i frati minori quando predicano la fede in Gesù Cristo e l’insegnamento del Vangelo”.La seconda fonte è un anonimo redattore di una cronaca della crociata, o meglio, di una continuazione di una cronaca precedente. L’anonimo è verosimilmente schierato dalla parte di Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme che, nel corso della crociata, si era più volte scontrato con il delegato papale, cardinal Pelagio. Questa fonte, che risale probabilmente agli anni 1227-1229, mette in cattiva luce il cardinal Pelagio, mentre presenta Malik Al-Kâmil come un saggio sovrano che dialoga cortesemente con i due “chierici” cristiani (anche questa fonte non fa il nome di Francesco) che si erano recati da lui. Le fonti successive alla canonizzazione di Francesco (avvenuta nel 1228) sono legate al problema di conciliare l’incontro di Damietta con l’immagine di santità che si intendeva proporre attorno alla vita di Francesco. Il primo a tentare l’operazione fu Tommaso da Celano nella sua Vita beati Francisci. L’idea di Tommaso è che Francesco si fosse recato in Oriente (anzi, come lui dice, in Siria) per la sua sete di martirio. Anche San Bonaventura da Bagnoregio, che mentre scriveva la sua Legenda Maior, era anche Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, dilatò in modo sorprendente il breve racconto di Tommaso da Celano, introducendo in particolare l’episodio dell’ordalia, cioè della “prova del fuoco”. L’incontro fra Francesco e il sultano assume i contorni di un incontro fra dotti teologi e Francesco, davanti al rifiuto dei dotti musulmani, avrebbe proposto al sultano una prova del fuoco: avrebbe cioè camminato sui carboni ardenti per provare la verità della sua fede.Perfino Dante Alighieri riporta questo episodio nella Commedia e scrive: “E poi che, per la sete del martiro, ne la presenza del Soldan superba predicò Cristo e li altri che ’l seguiro,” (Paradiso XI, 100-102).Per lungo tempo non si trovò traccia nelle fonti arabo-musulmane della cronaca di questo incontro. La mancanza della ricezione in ambito musulmano di questo fatto così importante faceva dubitare alcuni commentatori che un simile incontro fosse mai realmente avvenuto. Poi, verso gli anni Venti del Novecento, fu merito del grande “convertito” arabista francese Louis Massignon la scoperta di un Kawâkib (elogio funebre) di un saggio musulmano, Ibn al-Zayyât, che era consigliere spirituale di Malik Al-Kâmil, nel quale si dice che questo saggio ebbe una hikâya mashhûra (un’avventura memorabile) con un râhib (un monaco cristiano). Massignon non ebbe dubbi nel riconoscere in questo accenno che si trattava di un riferimento alla visita di San Francesco a Damietta. Tale opinione sarà poi avvalorata anche dagli studi successivi del famoso islamologo francescano Giulio Basetti Sani.Al di là del fatto che nella storiografia islamica l’epopea delle crociate ha avuto un ruolo del tutto marginale, quello che le fonti arabo-musulmane ci confermano è che l’incontro ci fu “storicamente”, e che fu “memorabile” per l’importanza, gli interlocutori e i contenuti. In sintesi quindi, al di là delle manipolazioni di cui l’incontro di Francesco con il sultano è stato oggetto, sembra di poter giungere alla seguente conclusione: esso fu anzitutto un vero incontro e fu un incontro di dialogo e di conoscenza. Francesco non ebbe paura del Corano o di Maometto e il sultano d’Egitto non ebbe paura di ascoltare questo “monaco” cristiano che giungeva a lui dalle fila del nemico e parlava di Gesù Cristo.Se si prende la Regola francescana del 1221, quella conosciuta come “non bollata”, vi si troverà che ai frati che vogliono andare “tra i saraceni e gli altri infedeli”, viene raccomandato come prima cosa “che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio (1 Pt 2,13) e confessino di essere cristiani”. Poi, “quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio (Gv 3,5)”.In conclusione, quello che il ricordo di questo incontro ci suggerisce, può essere proprio in questo coraggio dell’incontro, nella consapevolezza che l’alterità dice quacosa di Dio che è anche profondamente radicato nell’uomo. Ripartire nel dialogo interreligioso dalla cronaca di questo incontro fra frate Francesco e il sultano d’Egitto credo allora che ci possa incoraggiare a proseguire sulla via del dialogo e del vero incontro, senza paura, consapevoli delle diversità, ma consapevoli vieppiù che la Verità – che è Dio – si pro-pone a noi proprio con un atteggiamento di dialogo, di una Parola che ci incontra. Il nostro dialogo sarà allora una “sillaba” del dialogo più grande di Dio con noi.