Un Dio che cerca

Con “Il nome di Dio è misericordia”: volevo aiutare i lettori a comprendere perchè nella vita del Bergoglio uomo, sacerdote, vescovo ed ora papa sia sempre stata così importante la Misericordia”.Così – al termine della conferenza tenuta martedì 12 luglio nella Sala Romana di Aquileia in occasione della solennità dei Santi Ermagora e Fortunato – il vaticanista della Stampa, Andrea Tornielli, ha spiegato la genesi della pubblicazione che raccoglie la sua conversazione con papa Francesco sul tema che connota l’Anno giubilare.

Come si è giunti alla pubblicazione di questo libro?

L’idea mi è venuta nel sentire l’annuncio del Giubileo straordinario della Misericordia. Da quando è stato eletto vescovo di Roma, ho già avuto modo di intervistare due volte per il mio giornale papa Francesco; avendo partecipato a tutti i suoi lunghi viaggi apostolici, poi, sono stato presente alle conferenze stampa che tiene abitualmente in aereo e dunque non avevo nessuna curiosità o domanda di “attualità” da porgli sullo Ior piuttosto che sulla riforma della Curia…L’annuncio del Giubileo ha colto molti di sorpresa: se uno però segue abitualmente il Papa, leggendo quello che dice o che scrive, sa che il tema della Misericordia è sempre stato centrale nel suo Pontificato.Con questo libro, quindi, volevo far emergere il suo cuore, far comprendere al lettore perchè la Misericordia è sempre stata così importante nella sua vita di uomo, di sacerdote, di vescovo ed ora di Papa.Ho provato quindi a proporgli l’idea di questo libro. La sua prima risposta è stata un “ni”: non voleva affrontare il tema teologico della Misericordia. Alla mia obiezione che volevo parlarne dal punto di vista esperienziale ha detto “vediamo” ed alla fine ha accolto la proposta, per pura amicizia nei miei riguardi.Un paio di giorni prima del nostro incontro, gli ho inviato l’elenco di una trentina di possibili temi che potevano essere affrontati: quando ha letto il testo uscito dalla nostra conversazione ha, infine, deciso che potevamo pubblicarlo.

Che cosa l’ha maggiormente colpita di quanto emerso nella conversazione col Papa?

Due sono le cose che mi hanno maggiormente colpito.Una è sostanziale ed la percezione di un volto di Dio (e dunque anche di una Chiesa) che tenta tutte le strade possibili per venirti incontro. È un Dio che cerca ogni spiraglio che noi lasciamo aperto per poter entrare, per poterci richiamare alla verità della nostra vita, per poterci avvicinare ed abbracciare. Dunque un Dio che ci cerca.Delle tante cose che Papa Francesco ha raccontato, quella che mi è rimasta di più impressa è legata al periodo in cui era rettore in Argentina del Collegio Massimo per i giovani studenti gesuiti. Bergoglio aveva avviato un’opera vocazionale abbastanza intensa trovandosi con un centinaio di ragazzi provenienti soprattutto da famiglie che non potevano permettersi di pagare la retta del Collegio ed a cui, quindi, molto spesso non sapeva cosa dare da mangiare. È per questo motivo, fra l’altro, che ha cominciato a portare avanti un allevamento di bestiame, facendo discernimento e direzione spirituale un po’ nel suo studio ma anche mentre si occupava di quegli animali. Aveva inoltre adattato una specie di deposito adiacente al Collegio (che si trova ad una sessantina di chilometri da Buenos Aires) trasformandolo in una cappella dove la gente veniva a messa: era nata una specie di parrocchia. Fra i fedeli c’era una donna, ancora abbastanza giovane, che era stata abbandonata dal marito con due bambini piccoli: alcuni mesi all’anno riusciva a lavorare ma quando rimaneva senza occupazione si prostituiva per dare da mangiare ai figli. Bergoglio cercava di tanto in tanto di aiutarla (aveva comunque un centinaio di giovani da sfamare) regalandole qualche pacco di viveri. Un giorno, pochi giorni prima di Natale, questa donna si presentò con i due bambini al Collegio Massimo chiedendo di lui. Quando Bergoglio la raggiunse, lei lo ringraziò “perchè durante tutto questo tempo lei non ha mai smesso di chiamarmi signora!”. Per questa donna, il fatto che il parroco – pur sapendo la vita che faceva – non avesse mai smesso di chiamarla “signora” – riconoscendole tutta la sua dignità – era più importante persino dell’aiuto materiale dei viveri che riceveva. Questo fatto per me è una grande lezione: ci dice come dobbiamo stare attenti quando giudichiamo ma anche della grande delicatezza che dobbiamo avere nei confronti delle situazioni più disparate per non togliere mai la dignità a ciascun uomo ed a ciascuna donna. In qualsiasi situazione essi si trovino. Questo alla fine risulta essere la cosa più importante.

Leggendo il libro, si rimane colpiti dalle figure sacerdotali di cui il Papa parla invitando quasi ogni presbitero a divenire lui il “protagonista” del Giubileo della Misericordia…

Ci sono esempi molto belli di grandi figure sacerdotali raccontati dal Papa.Uno di questi è padre Luis Gri. Francesco ha parlato di lui già otto volte in situazioni pubbliche ricordando quanto questo confessore gli disse un giorno a Buenos Aires: “talvolta esco dal confessionale con lo scrupolo di avere perdonato troppo”. L’Arcivescovo Bergoglio gli chiese cosa facesse in quelle occasioni. “Vado davanti al Santissimo – fu la risposta – è gli chiedo perdono dicendogli: Gesù perdonami perchè ho perdonato troppo. Ma sei tu che mi hai dato il cattivo esempio!”.Qualcosa di simile è avvenuto, fra l’altro, nella vita straordinaria di un altro grande confessore vissuto vicino a noi: San Leopoldo Mandic.Il Papa ha parlato per otto volte di questa persona ma non ne rivelava mai il nome, descrivendolo, anzi, come più giovane di lui.Mi rimaneva questa curiosità. Lo scorso maggio sono stato invitato in Argentina a presentare il libro conversazione con il Papa. La domenica, insieme a mia figlia che mi accompagnava, sono voluto andare nel santuario della Madonna di Pompei: ero riuscito a sapere che quel sacerdote di cui parla il Papa è ancora vivo e confessa proprio in quel santuario dove ogni giorno giungono fedeli da tutto il Paese. Entro, passo per la Porta Santa e vedo due confessionali illuminati: mi infilo nel primo e trovo un anziano frate. Mi presento spiegando che ho scritto il libro col Papa e gli dico che cerco quel confessore. “Sì, ne ho sentito parlare” dice lui ma vedo che ogni tanto gli viene da sorridere: dopo cinque minuti ammette di essere proprio lui il cappuccino di cui parla Francesco (per inciso: non è più giovane del Papa visto che ha 89 anni…). Viene da una famiglia poverissima di nove fratelli di cui otto sono diventati religiosi: i maschi frati Cappuccini e tutte le femmine religiose in vari ordini religiosi. Padre Luis (nella foto a sinistra in alto)è rimasto orfano di padre all’età di quattro anni (ma la mamma non ha mai osteggiato la scelta religiosa dei figli…): ha sempre vissuto facendo le Missioni popolari dei Cappuccini nei quartieri più poveri in Uruguay, Argentina….  Ad un certo punto è stato inviato in questo santuario dove confessa a tempo pieno, tre ore e mezza la mattina e quattro il pomeriggio. Bergoglio da arcivescovo mandava molti preti ed anche qualche vescovo a confessarsi da lui ed è rimasto molto colpito dal suo atteggiamento. Lui dice: “Per la mia vita, per come sono stato povero, per come ho vissuto su di me la Misericordia, credo che il primo approccio debba essere quello di spalancare le braccia”.È questa è una prima figura di sacerdote.L’altra di cui parla il Papa è quella di padre Aristi, un sacramentino che è stato un confessore molto noto a Buenos Aires da cui si recavano moltissimi sacerdoti e dinanzi al cui confessionale c’era sempre una lunga fila di penitenti. Morì la vigilia di Pasqua del 1996. Bergoglio era vescovo ausiliare e ricevette per fax la notizia della sua morte: la mattina dopo, giorno di Pasqua, verso l’ora di pranzo si recò a venerarne la salma. Scese nella cripta del santuario e trovò padre Aristi nella bara aperta completamente solo e senza fiori. Andò a comperare dei fiori e quando si accorse che il religioso aveva fra le mani il rosario di legno la cui croce faceva stringere al penitente ogni qualvolta confessava e dava l’assoluzione: un gesto molto bello che mi ricorda, fra l’altro, le liturgie delle Chiese Orientali dove il confessore appoggia la stola sulla testa del penitente in un abbraccio simbolico che testimonia quanto la Misericordia di Dio ricopra l’uomo. Il Papa ammette di non avere resistito e di avere staccato la croce dal Rosario dicendo a padre Aristi: “A te non serve più. Dammi metà della tua misericordia”. Da allora lui porta sempre sotto la talare, nella camicia, quella croce e racconta che ogni volta che gli viene un pensiero cattivo o poco buono, porta la mano al cuore e la tocca.C’è un’immagine che gira su internet dove Bergoglio in clergyman in metropolitana a Buenos Aires ha la mano infilata sotto la veste (per inciso, su quella foto hanno costruito tutta una pantomima dicendo che questo era un segno massonico…). Era successo (vedi foto in basso a sinistra di pagina 6, n.d.r.) che un fotografo aveva voluto fotografarlo: all’arcivescovo era venuto un pensiero non molto positivo su di lui… ed allora aveva subito portato la mano alla croce del padre Aristi, chiedendo Misericordia…

In tanti affermano che Francesco è troppo misericordioso…

Sì, sono in tanti a dirlo. Però la mia domanda è: “Qualcuno di noi può dire, Signore troppa Misericordia!”? Lo diciamo perchè stiamo pensando ai peccati degli altri ma se siamo onesti con noi stessi quando mai potremo dire “troppa misericordia” pensando a noi? Sarà sempre poca! Diremo piuttosto “Ma ancora più Misericordia per le mie meschinità!” Chi si preoccupa della troppa Misericordia, secondo me, dovrebbe usare l’antidoto della mamma di padre Smith, il protagonista del famoso romanzo di Bruce Marshall, citato anche dal Papa in un’udienza generale: “Ricordati sempre che dentro l’anima degli altri non ci puoi guardare, ma dentro la tua sì; e che, quindi, per quanto è dato a te di sapere con certezza, non c’è al mondo creatura più cattiva e più ingrata al Signore di te”. “Troppa misericordia” lo può dire soltanto qualcuno che ritenga di non averne bisogno ma, cristianamente parlando, è già un po’ patologico un pensiero simile! La legge “segreta” del cristianesimo è quella dell’umiltà, del riconoscersi totalmente bisognosi: quanto più ci sentiamo bisognosi di aiuto perchè siamo niente, tanto più abbiamo necessità di una mano che ci sostenga.Diceva Santa Teresina che certi scalano la montagna con le loro forze; ma altri Dio li mette sul palmo della propria mano e li porta su lui. Con l’ascensore.Noi abbiamo bisogno della grazia di Dio ma l’unico grande “segreto” è chiederla per riceverla. Ed allora come si può dire “troppa Misericordia”?Dobbiamo poi fare un’altra considerazione.Non è possibile giudicare il Pontificato di papa Francesco da una frase estrapolata da una delle sue conferenze stampa o magari dal singolo passaggio di una delle sue interviste. Io credo che il Papa innanzitutto bisogna leggerlo ed ascoltarlo per quello che scrive e dice proprio in quanto Papa.Se uno ha la Fede e non pensa che Dio giochi con la storia, allora sa che le parole del Papa e la sua testimonianza non sono rivolte esclusivamente ai cardinali, ai vescovi, ai parroci…: sono, piuttosto, una testimonianza, una provocazione che mi riguardano direttamente! Ed allora devo chiedermi come mi interpella quello che Francesco dice sull’uso del denaro o sull’atteggiamento verso gli immigrati…Quest’ultima è una questione, poi, che affrontiamo troppo spesso scordandoci che nella Natività noi contempliamo una famiglia di migranti rifugiati. E se l’Egitto non avesse mantenuto alzate le barriere del confine, probabilmente nemmeno loro sarebbero sfuggiti alle spade di Erode…Allora, se il mio Dio è stato migrante e rifugiato, – fermi restando tutti i diritti degli Stati – io cristiano non posso guardare ai migranti e rifugiati di oggi senza ricordare che proprio queste persone sono il volto di Gesù! E che esiste un “protocollo” ben preciso (ce lo ricorda il capitolo 25 di Matteo) in base al quale saremo giudicati: “Ero nudo e forestiero… e mi hai accolto, mi hai dato da bere…”Quindi, se uno ha lo sguardo di fede, se uno crede nello Spirito Santo e non considera la Chiesa alla stregua di una realtà politica, comprende che deve mettersi in discussione non solo difronte al Papa ma difronte a tutto ciò a cui egli ci chiama e ci provoca singolarmente a cambiare.